Instanz: | Bundesverwaltungsgericht |
Abteilung: | Abteilung IV |
Dossiernummer: | D-3770/2021 |
Datum: | 18.07.2024 |
Leitsatz/Stichwort: | Asilo (senza esecuzione dell'allontanamento) |
Schlagwörter : | ’autorità; ’interessata; Tribunale; ’asilo; ’insorgente; ’art; Kasai; Svizzera; ’identità; ’ultima; ’audizione; Inoltre; Congo; Burkina; ’avrebbe; Angola; Paese; ’allontanamento; ’uccisione; ’apprezzamento; Infatti; Stato; “Tantine”; L’interessata; Proseguendo; ’ammissione; ’esecuzione; ’annullamento; Pertanto; Ordinanza |
Rechtsnorm: | - |
Referenz BGE: | - |
Kommentar: |
Corte IV
D-3770/2021
Composizione Giudici Daniele Cattaneo (presidente del collegio), David R. Wenger, Gérald Bovier,
cancelliere Agostino Bullo.
Burkina Faso
patrocinata da Simona Cautela,
(…),
ricorrente,
contro
autorità inferiore.
Oggetto Asilo (senza esecuzione dell'allontanamento); decisione della SEM del 28 luglio 2021 / N (…).
Il 3 maggio 2021, l’interessata, dichiaratasi cittadina congolese, di religione mussulmana, nonché minorenne, ha presentato una domanda d’asilo in Svizzera (cfr. atto della Segreteria di Stato della migrazione [di seguito: “SEM”] n. [{…}]-10/2). Secondo le ricerche intraprese dall’autorità inferiore dopo consultazione dell’unità centrale del sistema europeo “CS-VIS”, l’interessata aveva ottenuto, dalle autorità del Burkina Faso, un visto Schengen con durata di validità dal (…) agosto 2019 al (…) settembre 2019 con il nome di C. (cfr. atto della SEM n. 8/1).
Con scritto del 17 maggio 2021, la rappresentante legale dell’interessata, ha trasmesso alla SEM il rapporto MayDay dell’11 maggio 2021, che evidenzia come dal racconto della richiedente vi fossero degli indizi di tratta di esseri umani (cfr. atto della SEM n. 18/13).
Durante la summenzionata audizione, la richiedente ha in sunto, e per quanto qui di rilievo, riferito che ella sarebbe ricercata dalla polizia del suo paese in quanto sospettata di possedere documenti appartenenti al presunto padre – a suo dire capo del villaggio nel Kasai – concernenti delle miniere site nella suddetta regione. Per tale motivo l’interessata sarebbe arrestata insieme alla madre e portata in un carcere a Kasumba dove sarebbe rimasta tre giorni. Nel corso della detenzione gli agenti le avrebbero mostrato un video dove la madre veniva uccisa e l’avrebbero minacciata dicendole che avrebbe subito le stesse sorti della genitrice se non avesse consegnato tali documenti. La richiedente sarebbe quindi fuggita dal Congo verso l’Angola grazie all’aiuto di una certa “Mami” (a suo dire amica di famiglia e incarcerata insieme all’interessata). In Angola la richiedente avrebbe vissuto per due o tre anni presso la sorella di Mami, prima di raggiungere il Burkina Faso dove accompagnata da una certa “Tantine” sarebbe successivamente espatriata verso l’Europa, raggiungendo dapprima
il Belgio e successivamente Zurigo. A questo punto “Tantine” l’avrebbe consegnata ad un certo “Tonton Toussaint” che l’avrebbe tenuta segregata nel suo appartamento per un anno e otto mesi. Successivamente sarebbe stata portata e lasciata da sola in stazione a Zurigo da quest’ultimo. Lì, la ricorrente, avrebbe incontrato uno sconosciuto ce le avrebbe consigliato di rivolgersi all’avvocato Alfred Ngoy. Quest’ultimo le avrebbe consigliato di recarsi a Boudry per deporre una domanda d’asilo.
A fronte degli indizi di possibile tratta di essere umani sorti dal racconto della richiedente, con quest’ultima si è tenuto, in data 15 giugno 2021, un colloquio apposito (cfr. atto della SEM n. 33/15). Nel corso del medesimo, l’interessata ha in particolare asserito che in carcere avrebbe trovato un’amica di famiglia tale “D. ” – anche lei imprigionata – con la quale sarebbe riuscita a fuggire dalla suddetta struttura. Le due si sarebbero dirette dal Congo all’Angola grazie ad un motociclista. Nel suddetto Paese l’interessata sarebbe rimasta presso l’abitazione della sorella di “D. _”, tale “E. ”, per due o tre anni fino al momento in cui F. – che a detta della ricorrente sarebbe stato un amico dei genitori
– avrebbe organizzato il viaggio verso il Burkina Faso tramite degli intermediari. La richiedente sarebbe stata portata da uno sconosciuto in Burkina Faso dove sarebbe stata consegnata ad una certa “Tantine” che l’avrebbe tenuta in un’abitazione per altri due o quattro mesi nei pressi della città di Tange (fonetico) fino all’espatrio in Europa. Resa edotta ed interpellata circa il suo diritto di prevalersi di un periodo di trenta giorni di recupero e di riflessione ai sensi dell’art. 13 della Convenzione sulla lotta contro la tratta di esseri umani del 16 maggio 2005 (RS 0.311.543), in particolare riguardo ad una sua collaborazione con le autorità competenti, in quanto sussisterebbero dei ragionevoli motivi per credere che ella sarebbe stata vittima di tratta; la richiedente ha espresso la sua volontà di beneficiare di tale periodo di riflessione (cfr. atto della SEM n. 33/15, D142 segg., pag. 13).
In data 13 luglio 2021 l’interessata ha trasmesso all’autorità inferiore la dichiarazione per mezzo della quale ha acconsentito ad essere contattata dalle autorità di perseguimento penale in caso di necessità (cfr. atto della SEM n. 48/2).
Per mezzo dell’audizione tenutasi il 20 luglio 2021, l’interessata è stata questionata in particolare riguardo ai suoi motivi d’asilo. Rispetto a quanto
riferito nel corso della prima audizione RMNA, ha dichiarato che il padre sarebbe diventato “chef coutumier del villaggio” nel 2012 e che dirigeva tutta la provincia del Kasai, mentre la madre si occupava di commercio di merce tra Kinshasa e il Kasai. L’interessata ha raccontato che, il 14 luglio 2016, dei soldati avrebbero fatto una prima incursione nella casa dove viveva con la madre in quanto i militari erano alla ricerca di statue “che portano i capi villaggi”. Durante tale avvenimento il padre: “[…] faceva ribellione a Mueka, c’erano disordini nel Kasai e mio papà voleva la pace in tutto il Kasai, così partecipava alla ribellione affinché la pace tornasse nel Kasai”. Inoltre, il padre avrebbe chiamato la madre dopo due giorni affermando che sarebbe stato arrestato a causa della sua partecipazione ai tumulti poc’anzi descritti. Proseguendo con il racconto, la richiedente ha affermato che alla fine del mese di luglio si sono nuovamente presentati dei poliziotti al domicilio di quest’ultima in quanto stavano cercando dei documenti di proprietà del padre. Madre e figlia sarebbero state portate via dagli agenti e separate. L’interessata sarebbe stata messa in cella e li avrebbe incontrato “D. ”. Successivamente sarebbe stata interrogata e picchiata con una frusta alfine di sapere dove fossero stati nascosti i documenti appartenenti al padre. “D. ” sarebbe intervenuta per difenderla, procurandosi una ferita alla gamba. L’interessata afferma inoltre che uno degli agenti l’avrebbe ferita al seno e avrebbe cercato di strapparle le mutande, ma sarebbe stato fermato da una poliziotta lì presente. Proseguendo con il racconto, il giorno successivo, alla cella si sarebbero presentati due agenti e uno di questi avrebbe mostrato un video nel quale la persona raffigurata sarebbe stata la madre della richiedente. Quest’ultima veniva impiccata e fucilata dai soldati presenti. La richiedente ha successivamente affermato che il giorno successivo avrebbe udito degli spari e visto persone con machete, coltelli e fucili, vestiti di rosso che saccheggiavano la prigione. In tale frangente la porta della cella sarebbe stata rotta e sarebbe riuscita a fuggire dalla prigione insieme a “D. ”. Mentre fuggivano avrebbero incontrato un uomo a bordo di una moto e che, dopo le suppliche delle due, le avrebbe portate in Angola. Qui “D. ” sarebbe riuscita a chiamare la sorella “E. ” dove le due si sarebbero rifugiate. Dopo due giorni dal loro arrivo la richiedente sarebbe riuscita a prendere contatto con “F. ”, tramite “D. ”, raccontandogli quanto accaduto. “F. ” le avrebbe risposto che avrebbe fatto di tutto per metterla in sicurezza (cfr. atto della SEM n 53/15, pag. 2 e segg., D7).
Agli atti vi sono anche diversi fogli d’informazione medica (F2) riguardo alla situazione di salute dell’interessata di cui si dirà, per quanto necessario,
nei considerandi (cfr. atti della SEM n. 21/2, 25/4, 26/3, 27/2, 28/2, 29/2, 32/2, 37/2, 38/3, 40/3, 41/2, 42/2, 43/2, 44/2, 46/2, 49/2, 50/3 e 51/2).
In data 22 luglio 2021 la richiedente, per il tramite della sua rappresentante legale, ha trasmesso uno scritto contenente informazioni e mezzi di prova (sottoforma di link) in merito all’identità e il ruolo svolto dal presunto padre della ricorrente (cfr. atto della SEM n. 55/2).
Il 27 luglio 2021, la rappresentate legale e persona di fiducia della richiedente, ha presentato il suo parere al progetto di decisione dell’autorità inferiore del 26 luglio 2021 (cfr. atti della SEM n. 56/11 e 57/6).
Con decisione datata 28 luglio 2021 – notificata il medesimo giorno (cfr. atto della SEM n. 59/1) – la SEM non ha riconosciuto la qualità di rifugiata all’interessata, ha respinto la sua domanda d’asilo, pronunciando al contempo l’allontanamento, ma ponendola al beneficio dell’ammissione provvisoria, per inesigibilità dell’esecuzione del suo allontanamento.
Con plico raccomandato del 25 agosto 2021 (cfr. risultanze processuali; data d’entrata: 26 agosto 2021) l’insorgente si è aggravata al Tribunale amministrativo federale (di seguito: il Tribunale) contro la decisione dell’autorità di prime cure summenzionata, postulando a titolo principale l’annullamento della decisione impugnata, il riconoscimento della qualità di rifugiato e la concessione dell’asilo in Svizzera e, a titolo subordinato, la restituzione degli atti all’autorità inferiore per un nuovo esame delle allegazioni e per completamento istruttorio. Contestualmente, ha presentato istanza di assistenza giudiziaria, nel senso dell’esenzione dal versamento delle spese di giustizia e del relativo anticipo.
Per mezzo della decisione incidentale del 3 settembre 2021, questo Tribunale, ha accolto la domanda di assistenza giudiziaria formulata dalla ricorrente, nel senso della dispensa dal versamento delle spese di giudizio e del relativo anticipo, invitando parimenti la SEM a inoltrare una risposta al ricorso.
Con osservazioni dell’8 settembre 2021, la SEM si è sostanzialmente
riconfermata nella propria posizione, sottolineando nuovamente come la ricorrente non avrebbe in alcun modo reso credibile di essere la figlia di G. , né tanto meno di essere stata perseguitata in Patria di riflesso a tale supposto rapporto di filiazione. Contestualmente ha ritenuto che anche l’identità dichiarata dalla ricorrente non fosse credibile.
il 23 settembre 2021 la patrocinatrice dell’insorgente si è espressa in replica producendo nel contempo un’attestazione dell’associazione H. con la quale si attesta che la ricorrente ha iniziato un percorso di sostegno specializzato per le vittime di tratta di essere umani.
Ulteriori fatti ed argomenti addotti dalle parti negli scritti, verranno ripresi nei considerandi, qualora risultino decisivi per l’esito della vertenza.
Le procedure in materia d’asilo sono rette dalla PA, dalla LTAF e dalla LTF, in quanto la legge sull’asilo (LAsi, RS 142.31) non preveda altrimenti (art. 6 LAsi). Fatta eccezione per le decisioni previste all’art. 32 LTAF, il Tribunale, in virtù dell’art. 31 LTAF, giudica i ricorsi contro le decisioni ai sensi dell’art. 5 PA rese dalle autorità menzionate all’art. 33 LTAF. La SEM rientra tra dette autorità (art. 105 LAsi) e l’atto impugnato costituisce una decisione ai sensi dell’art. 5 PA.
La ricorrente ha partecipato al procedimento dinanzi l’autorità inferiore, è particolarmente toccata dalla decisione impugnata e vanta un interesse degno di protezione all’annullamento o alla modificazione della stessa (art. 48 cpv. 1 lett. a–c PA). Pertanto è legittimata ad aggravarsi contro di essa.
I requisiti relativi ai termini di ricorso (art. 108 cpv. 1 LAsi e art. 10 dell’Ordinanza sui provvedimenti nel settore dell’asilo in relazione al coronavirus del 1° aprile 2020 [Ordinanza Covid-19 asilo, RS 142.318]; sentenza del Tribunale D-4820/2020 del 10 novembre 2020 consid. 7 [prevista per la pubblicazione come DTAF]), alla forma e al contenuto dell’atto di ricorso (art. 52 cpv. 1 PA), sono soddisfatti.
Occorre pertanto entrare nel merito del ricorso.
Preliminarmente il Tribunale osserva che, essendo stata la ricorrente posta al beneficio dell’ammissione provvisoria per inesigibilità dell’esecuzione dell’allontanamento nella decisione impugnata del 28 luglio 2021, e non avendo la medesima censurato la pronuncia dell’allontanamento, oggetto del litigio in questa sede risulta essere esclusivamente la questione del riconoscimento dello statuto di rifugiato e della concessione dell’asilo (cfr. DTF 142 I 155 consid. 4.4.2; MOOR/POLTIER, Droit administratif, vol. II, 3a ed., 2011, pag. 291-292).
Con ricorso al Tribunale, possono essere invocati la violazione del diritto federale e l’accertamento inesatto o incompleto di fatti giuridicamente rilevanti (art. 106 cpv. 1 LAsi). Il Tribunale non è vincolato né dai motivi addotti (art. 62 cpv. 4 PA), né dalle considerazioni giuridiche della decisione impugnata, né dalle argomentazioni delle parti (cfr. DTAF 2014/1 consid. 2).
Nella decisione oggetto di impugnativa, l’autorità di prime cure ha considerato inverosimile il racconto dell’insorgente. Ella avrebbe in primo luogo descritto in modo molto vago il ruolo svolto dal presunto padre in quanto “chef coutumier” e i motivi per i quali egli fosse inviso alla polizia o, più in generale, a “certe persone”. Tale descrizione secondo la SEM sarebbe inverosimile tanto da rendere incomprensibile, all’autorità inferiore, la motivazione per la quale la ricorrente e la madre siano state incarcerate. Inoltre, le dichiarazioni rilasciate dall’interessata circa gli eventi proposti e quelle descrittive del ruolo svolto da D. , sarebbero estremamente vaghe e confuse, seppur l’autorità di prime cure abbia ritenuto che la descrizione fornita del periodo di detenzione, così come della brutale uccisione della madre dell’insorgente, fosse piuttosto dettagliata e che lasciava trasparire indizi di reale coinvolgimento personale. La SEM ha altresì ritenuto che la giovane età al momento dei fatti non fosse sufficiente a giustificare la marcata inconsistenza delle allegazioni dell’insorgente. Dipoi, in merito allo scritto datato 22 luglio 2021, l’autorità inferiore ha valutato che lo stesso fosse inadeguato nella misura in cui non apportava alcuna rilevanza ai motivi d’asilo presentati dall’insorgente. Infine, neppure le considerazioni espresse dalla rappresentante legale nel parere al progetto di decisione della SEM, sarebbero atte a mutare tali conclusioni.
Con ricorso, l’insorgente, dopo aver richiamato e precisato i fatti oggetto del procedimento, ha contestato la valutazione dell’autorità di prima istanza. La ricorrente sostiene che le proprie allegazioni non fossero vaghe, poco circostanziate e contradditorie. In primo luogo, per quanto attiene le dichiarazioni rese relativamente al ruolo svolto dal padre come chef coutumier e i motivi per i quali lo stesso fosse inviso alla polizia e a “certe persone”, afferma che, stando alla realtà dei verbali, avrebbe raccontato tantissimi dettagli circa il ruolo del padre nella provincia del Kasai, nonostante all’epoca dei fatti ella fosse solamente una bambina e anche le dichiarazioni rese si ergono su una prospettiva infantile. Secondariamente, in merito al ruolo di D. , l’insorgente contesta la conclusione a cui è giunta l’autorità inferiore in quanto non avrebbe tenuto conto del trauma accorso all’interessata e che il fatto di non aver posto domanda a quest’ultima sul perché si trovasse in carcere, a detta della ricorrente, risulta plausibile visto il trauma subito relativamente alla separazione e alla successiva morte della madre. Ciò che, a suo dire, giustificherebbe il motivo per il quale, in quel momento, non poteva essere lucida per porre tali quesiti. La ricorrente solleva, a supporto della sua tesi, anche il fatto che la SEM, nella decisione avversata, abbia ritenuto verosimili le dichiarazioni rese dall’interessata in merito al periodo di detenzione e all’uccisione della madre, ma
che al contempo l’autorità di prime cure abbia valutato come inverosimili altre parti delle allegazioni dal lei rese, svuotandole di rilievo e imputandole lacune conoscitive senza tenere adeguatamente conto dell’età della ricorrente al momento in cui tali fatti si sarebbero svolti (in particolare le motivazioni in merito alle scelte effettuate da terze persone, come pure azioni e politiche delle autorità).
Anche per quanto attiene le prove presentate dall’insorgente, ella contesta che la tempistica per l’introduzione dei mezzi di prova fosse tardiva in quanto l’istruttoria di prima istanza era ancora aperta e il fatto di non aver analizzato i mezzi di prova presentati configurerebbe una carenza istruttoria, la quale comporterebbe un accertamento incompleto dei fatti giuridicamente rilevanti. In ragione di tale motivazione, secondo la ricorrente, la SEM avrebbe dovuto applicare alla fattispecie la procedura ampliata e non invece quella celere come in casu fatto. A mente dell’insorgente l’esame della fattispecie nell’ambito di una procedura ampliata avrebbe potuto permettere un accertamento realmente esaustivo della complessa fattispecie in esame.
Nel suo atto responsivo l’autorità di prima istanza sottolinea in primo luogo di aver debitamente tenuto in considerazione sia la giovane età della ricorrente al momento dei fatti, sia il suo vissuto traumatico di vittima di tratta di esseri umani, ciò che tuttavia, ribadisce, non giustifica la marcata inconsistenza delle allegazioni riferite al suo personale vissuto in quanto presunta figlia di G. . Secondariamente, l’autorità inferiore sottolinea che per quanto atteneva al periodo di detenzione e l’uccisione della madre la ricorrente abbia fornito delle dichiarazioni dettagliate e caratterizzate da un reale coinvolgimento personale, ciò che comproverebbe che nonostante la giovane età al momento dei fatti, l’interessata sarebbe perfettamente in grado di descrivere e sostanziare episodi realmente vissuti. Inoltre, l’autorità ritiene che la ricorrente non abbia in alcun modo reso credibile di essere la figlia di G. , né tanto meno di essere stata perseguitata in Patria di riflesso a tale supposto rapporto di filiazione e conseguentemente ritiene che anche l’identità dichiarata dalla ricorrente non sia credibile. Concludendo la SEM sottolinea di aver visionato, valutato e infine ritenuto non adeguato il mezzo di prova prodotto nella misura in cui non avvalora in alcun modo la verosimiglianza dei motivi d’asilo addotti dall’insorgente.
In sede di replica la ricorrente rileva come la SEM in realtà non abbia tenuto debitamente in considerazione la giovane età della ricorrente al momento dei fatti e il vissuto quale vittima di tratta di esseri umani nel processo
di valutazione della verosimiglianza. In effetti, l’autorità resistente si sarebbe concentrata solamente sulle dichiarazioni della giovane in merito al ruolo del padre senza valutare il complesso delle allegazioni determinanti nell’ottica della probabilità preponderante della verosimiglianza. La ricorrente, inoltre, sostiene che sia del tutto logico che la capacità di descrizione dei fatti personalmente vissuti - nel concreto quelli riguardanti l’incursione degli agenti presso la sua abitazione, la detenzione e l’uccisione della madre – sia dettagliata, ciononostante la valutazione dell’autorità di prime cure si baserebbe solamente su fatti vissuti dal padre, quando l’interessata era una bambina, e di cui la stessa conserva un ricordo solamente tramite quanto le è stato raccontato dalla madre. Altresì di rilievo in merito all’identità della ricorrente risulterebbe inoltre il fatto che la stessa ha sostenuto tre interrogatori formali da parte della SEM ove mai è stata messa in dubbio l’identità dell’insorgente e la tardività nel rilevare dubbi su tale questione da parte della SEM costituirebbe una grave violazione del diritto di essere sentito da parte dell’interessata. In conclusione, i mezzi di prova presentati dalla ricorrente dopo l’audizione sui motivi di asilo sono rilevanti, nella misura in cui forniscono gli strumenti per comprendere a pieno il profilo di alto livello ricoperto dal padre della ricorrente.
Dunque, per mezzo del proprio gravame, l’interessata ritiene come l’istruzione della causa da parte dell’autorità inferiore sia lacunosa e carente, in quanto a suo dire, dapprima la SEM non avrebbe, attraverso l’ausilio di strumenti che dispone (Servizi di ricerca interni, ricerche d’ambasciata, ecc.), dissipato i dubbi sulla verosimiglianza delle allegazioni della ricorrente, trattandosi di un onere che incombe all’autorità inferiore. Inoltre, censura l’applicazione della procedura celere al suo caso, invece che il suo smistamento in procedura ampliata, che avrebbe comportato anche un accertamento incompleto ed inesatto dei fatti giuridicamente rilevanti da parte dell’autorità inferiore, nonché la violazione del suo diritto di essere sentito in quanto i mezzi di prova depositati tramite lo scritto del 22 luglio 2021 non sarebbero stato analizzati dall’autorità inferiore. In conclusione, rimprovera alla SEM una sorprendente tardività nel rilevare dubbi in merito all’identità personale della richiedente asilo, ciò che a suo dire configurerebbe una grave violazione del diritto di essere sentito della minore.
Tali censure verranno esaminate in limine dal Tribunale, in quanto possono comportare l’annullamento della decisione avversata (cfr. DTF 138 I 232 consid. 5).
Nelle procedure d’asilo così come nelle altre procedure di natura amministrativa si applica il principio inquisitorio. Ciò significa che l’autorità competente deve procedere d’ufficio all’accertamento esatto e completo dei fatti giuridicamente rilevanti (art. 6 LAsi; art. 12 PA). In concreto, essa deve procurarsi la documentazione necessaria alla trattazione del caso, chiarire le circostanze giuridiche ed amministrare a tal fine le opportune prove a riguardo. Il principio inquisitorio non dispensa comunque le parti dal dovere di collaborare all’accertamento dei fatti ed in modo particolare dall’onere di provare quanto sia in loro facoltà e quanto l’amministrazione o il giudice non siano in grado di delucidare con mezzi propri (art. 13 PA ed art. 8 LAsi; DTAF 2019 I/6 consid. 5.1).
Dal canto suo, il diritto di essere sentito, disciplinato all’art. 29 cpv. 2 Cst. Comprende segnatamente il diritto per l’interessato di consultare l’incarto, di offrire mezzi di prova su punti rilevanti e di esigerne l’assunzione, di partecipare alla stessa e di potersi esprimere sulle relative risultante nella misura in cui possano influire sulla decisione (cfr. DTF 135 II 286 consid. 5.1; 135 I 279 consid. 2.3).
Innanzitutto, il Tribunale ritiene che la censura relativa alla mancata ulteriore istruzione dei motivi che hanno portato agli eventi raccontati dalla ricorrente a causa di dubbi sulla verosimiglianza di parte delle allegazioni, riguarda l’apprezzamento operato dall’autorità inferiore. Pertanto, il fatto solo che la ricorrente nel gravame non concordi con l’apprezzamento esposto dall’autorità inferiore nel provvedimento sindacato, non risulta contrario al principio inquisitorio, né men che meno all’obbligo di motivazione che si impone in materia. Piuttosto, con tale censura in realtà l’insorgente intende ottenere un apprezzamento differente nel merito rispetto a quello di cui all’impugnata decisione concernente la verosimiglianza delle dichiarazioni rese dall’interessata. Pertanto, tale censura, dal profilo formale, è da respingere.
Proseguendo nella disamina si rammenta che l’obbligo per l’autorità di motivare la sua decisione è corollario fondamentale del diritto di essere sentito (art. 29 cpv. 2 Cost.; art. 26 – 35 PA). Detta prerogativa è finalizzata a permettere ai destinatari e a tutte le persone interessate, di comprenderla, eventualmente di impugnarla, in modo da rendere possibile all’autorità di ricorso, se adita, di esercitare convenientemente il suo controllo (cfr. DTF 139 V 496 consid. 5.1, 136 I 184 consid. 2.2; sentenza del Tribunale F-5363/2019 del 20 maggio 2020 consid. 7.1). Ciò non significa che l’autorità sia tenuta a pronunciarsi in modo esplicito ed esaustivo su tutte le argomentazioni addotte; essa può occuparsi delle sole circostanze rilevanti
per il giudizio (cfr. DTF 133 III 439 consid. 3.3). Per adempiere a queste esigenze è necessario che menzioni, almeno brevemente, i motivi sui quali ha fondato la sua decisione, in modo da consentire agli interessati di apprezzarne la portata impugnandola in piena conoscenza di causa (cfr. DTF 136 I 229 consid. 5.2; 136 V 351; 129 I 232 consid. 3.2; DTAF 2011/37
consid. 5.4.1; sentenza del Tribunale federale 2C.1020/2019 del 31 marzo 2020 consid. 3.4.2). Al contrario, l’autorità commette una denegata giustizia formale proibita dall’art. 29 cpv. 2 Cost., se omette di pronunciarsi in relazione a delle censure che presentano una certa pertinenza, o di prendere in considerazione delle allegazioni e argomenti importanti per la decisione da rendere (cfr. DTF 141 I 557 consid. 3.2.1, 138 I 232 consid.
5.1,134 I 83 consid. 4.1, 133 III 235 consid. 5.2 e giurisprudenza ivi citata; DTAF 2013/23 consid. 6.1.1).
5.3.2 Ora, venendo al caso in parola, il Tribunale rileva d’ingresso come la questione circa lo smistamento tra la procedura celere (art. 26c LAsi) e la procedura ampliata (art. 26d LAsi), è già stata trattata dalla precitata autorità ricorsuale nella sua sentenza di principio E-6713/2019 del 9 giugno 2020 (prevista per la pubblicazione quale DTAF). Alla stessa si può pertanto senz’altro rinviare per ulteriori dettagli (cfr. anche tra le altre la sentenza del Tribunale D-1909/2020 del 12 gennaio 2021 consid. 4). Nel caso in rassegna, poiché la domanda d’asilo era stata presentata dalla richiedente l’asilo già in data 3 maggio 2021 (cfr. atto della SEM n. 2/1), sino all’inizio della procedura celere – ovvero con l’audizione sui motivi d’asilo tenutasi il 20 luglio 2021 – l’autorità inferiore ha pacificamente superato il termine ordinatorio e massimale di 21 giorni concernente la fase preparatoria (cfr. sentenza del Tribunale E-6713/2019 consid. 8.3 con ulteriore riferimento citato). Tale termine risulta essersi protratto segnatamente a causa dello stato di salute della ricorrente e degli accertamenti medici in tal senso che la SEM ha dovuto eseguire come pure in ragione agli elementi di TEU emersi nel rapporto MayDay, nella prima audizione RMNA e nell’audizione TEU del 15 giugno 2021. La fase successiva, ha invece rispettato il termine previsto di otto giorni lavorativi disposti dalla procedura celere, essendo che la decisione è stata emanata il 28 luglio 2021, ciò che rispetta ampiamente la finalità della procedura celere che è quella di giungere ad una decisione definitiva nei casi non complessi entro 140 giorni, compresa la durata dell’eventuale litispendenza ricorsuale (cfr. art. 24 cpv. 4 LAsi; BRUNNER ARTHUR, Beschleunigung des Asylverfahrens in der Schweiz: Verfahrensökonomie im Dienste eines fairen Verfahrens?, in: Zeitschrift für das gesamte Verfahrensrecht [GVRZ] 2020, pag. 8 e seg.). A fronte di tali elementi, vista la prevedibilità che i tempi d’evasione nella procedura preparatoria, sarebbero stati difficilmente rispettati, la SEM avrebbe dovuto
optare per la procedura ampliata, in quanto l’autorità inferiore ha ampiamente superato il termine di cui all’art. 26 cpv. 1 LAsi. Tuttavia, nel caso in parola la decisione dell’autorità inferiore è intervenuta nei tempi normativamente previsti per quanto attinente alla fase in procedura celere (art. 26c LAsi in relazione con l’art. 37 cpv. 2 LAsi), e la scelta di quest’ultima piuttosto che quella ampliata, non ha comportato per l’insorgente, a differenza di quanto sostenuto dalla stessa nel gravame, alcuna violazione del suo diritto di essere sentita. La ricorrente è stata difatti rappresentata legalmente durante il corso dell’intero iter procedurale; rappresentante che ha funto anche da persona di fiducia dell’interessata. La medesima ha potuto sempre presentare, lungo tutto il corso della procedura, i mezzi probatori che riteneva rilevanti, come pure esprimersi circa le risultanze determinanti dell’autorità inferiore (in particolare con la presentazione del suo parere del 27 luglio 2021 al progetto di decisione della SEM). Inoltre la ricorrente, anche se in applicazione dell’art. 10 dell’Ordinanza Covid-19 asilo, ha potuto interporre un ricorso entro il termine di 30 giorni, stesso termine previsto per la procedura ampliata, sufficientemente motivato e corposo. Per l’insorgente non è pertanto ravvisabile alcun pregiudizio arrecatogli dalla trattazione del suo caso in procedura celere piuttosto che in quella ampliata, avendo segnatamente potuto presentare tutte le sue argomentazioni con il parere al progetto di decisione della SEM, come pure successivamente con la procedura ricorsuale. Visto quanto precede, un rinvio all’autorità inferiore per il superamento del termine di 21 giorni per la fase preparatoria, anche ai fini d’economia processuale, non risulta essere opportuno, dato che la ricorrente non è incorsa in alcun pregiudizio dalla scelta della SEM. Il provvedimento impugnato, per quanto abbia superato il termine di 21 giorni legalmente previsto per la fase preparatoria (cfr. art. 26 cpv. 1 LAsi), non è quindi di per sé solo un elemento sufficiente che possa condurre il Tribunale ad annullare lo stesso.
Oltretutto, non si comprende quali aspetti l’autorità inferiore avrebbe erroneamente considerato rispettivamente insufficientemente accertato in violazione del principio inquisitorio. In tale contesto si osserva come l’autorità inferiore ha segnatamente effettuato con il richiedente sia un’audizione TEU articolata, onde interrogare ed individuare se costei fosse una potenziale vittima di tratta (cfr. atto SEM n. 33/15), nonché ha accertato in modo completo e sufficiente lo stato di salute della medesima, il quale nel frattempo risulta essere tornato in buona salute (cfr. atti della SEM n. 21/2, 25/4, 26/3, 27/2, 28/2, 29/2, 32/2, 37/2, 38/3, 40/3, 41/2, 42/2, 44/2, 46/2,
49/2, 50/3, 51/2, 68/3 e 70/3). Per il resto, le motivazioni generiche espresse su questo punto dalla ricorrente (cfr. p.to 11, pag. 12 segg. del ricorso), appaiono in realtà atte ad ottenere una valutazione differente delle
sue allegazioni rispetto a quanto deciso dall’autorità resistente, che però riguarda una valutazione del merito della questione.
La ricorrente, nel suo gravame, rimprovera inoltre alla SEM una sorprendente tardività nel rilevare dubbi in merito all’identità personale della richiedente asilo, ciò che a suo dire configurerebbe una grave violazione del diritto di essere sentito della minore. In concreto tale censura formale deve essere disattesa, in quanto si riferisce principalmente ad aspetti materiali del provvedimento impugnato, quale la verosimiglianza delle proprie allegazioni. Anche tale doglianza è in realtà tesa a rimettere in causa l’apprezzamento di merito compiuto dall’autorità inferiore.
Alla luce di quanto precede, le censure formali sollevate dall’insorgente nel senso sopra ritenuto, risultano malfondate e sono pertanto respinte.
La Svizzera, su domanda, accorda asilo ai rifugiati secondo le disposizioni della LAsi (art. 2 LAsi). L’asilo comprende la protezione e lo statuto accordati a persone in Svizzera in ragione della loro qualità di rifugiato. Esso include il diritto di risiedere in Svizzera. Sono rifugiati le persone che, nel Paese d’origine o d’ultima residenza, sono esposte a seri pregiudizi a causa della loro razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le loro opinioni politiche, ovvero hanno fondato timore d’essere esposte a tali pregiudizi. Sono pregiudizi seri segnatamente l’esposizione a pericolo della vita, dell’integrità fisica o della libertà, nonché le misure che comportano una pressione psichica insopportabile (art. 3 cpv. 2 LAsi).
A tenore dell’art. 7 LAsi, chiunque domanda asilo deve provare o per lo meno rendere verosimile la sua qualità di rifugiato. La qualità di rifugiato è resa verosimile se l’autorità la ritiene data con una probabilità preponderante (art. 7 cpv. 2 LAsi). Sono inverosimili in particolare le allegazioni che su punti importanti sono troppo poco fondate o contradditore, non corrispondono ai fatti o si basano in modo determinante su mezzi di prova falsi o falsificati (art. 7 cpv. 3 LAsi).
La giurisprudenza precisa che se la persona ascoltata è minorenne, l'età dev'essere presa in considerazione nel valutare la verosimiglianza delle sue dichiarazioni (cfr. sentenza del Tribunale E-3252/2016 del 22 giugno 2016 consid. 7.3). Infatti, non ci si può aspettare che un minore sia in grado di descrivere un'esperienza nello stesso modo di un adulto: potrebbe mancare la capacità di riconoscere quali informazioni sono importanti,
distinguere la realtà dall'immaginazione o fornire una descrizione cronologica degli eventi (cfr. NORA LISCHETTI, Unbegleitete Minderjährige im schweizerischen Asylverfahren, in: Asyl 1/12, § 5.3 pag. 9). Come d'altronde confermato dalla dottrina, più giovane è il minore richiedente l'asilo, minore è il grado di verosimiglianza richiesto (cfr. SYLVIE COSSY, Le statut du requérant d'asile mineur non accompagné dans la procédure d'asile, Lausanne 2000, n. 628). Per maggiori dettagli relativi alla giurisprudenza in materia di audizione di richiedenti d'asilo minorenni non accompagnati, si rinvia alla sentenza di principio DTAF 2014/30 consid. 3.
Nel caso oggetto del presente gravame il Tribunale giunge a conclusione che la questione di sapere se le dichiarazioni della ricorrente soddisfino o meno i criteri di verosimiglianza possa in specie essere lasciata aperta. Invero, quandanche realmente svoltisi così come esposti dall’interessata in occasione dell’audizione del 20 luglio 2021, i fatti alla base della sua domanda d’asilo, seppur di indubbia gravità, non risulterebbero ad ogni modo atti a giustificare il riconoscimento dello statuto di rifugiato e la concessione dell’asilo in Svizzera.
Infatti, l’interessata non è riuscita a rendere verosimile, almeno dal profilo oggettivo, il timore circa la concretizzazione di eventuali ripercussioni legate alla figura di politico esposto dell’asserito padre, in tutta probabilità e in un futuro prossimo (cfr. DTAF 2010/57 consid. 2.5 con giurisprudenza ivi citata; DTAF 2011/51 consid. 6.2). Difatti, secondo la giurisprudenza viene riconosciuto come rifugiato colui che dei motivi oggettivamente riconoscibili da terzi (elemento oggettivo) di temere (elemento soggettivo) d’essere esposto, in tutta verosimiglianza e in un futuro prossimo, ad una persecuzione (cfr. DTAF 2011/51 consid. 6.2; 2010/57 consid. 2.5). Sul piano soggettivo, deve essere tenuto conto degli antecedenti dell’interessata, segnatamente dell’esistenza di persecuzioni anteriori nonché della sua appartenenza ad una razza, ad un gruppo religioso, sociale o politico, che lo espongono maggiormente ad un fondato timore di future persecuzioni. Infatti, colui che è già stato vittima di persecuzione ha dei motivi oggettivi di avere un timore (soggettivo) di nuove persecuzioni più fondato di colui che ne è l’oggetto per la prima volta (cfr. DTAF 2010/57 consid. 2.5 e relativi riferimenti). Sul piano oggettivo, tale timore deve essere fondato su indizi concreti e sufficienti che facciano apparire, in un futuro prossimo e secondo un’alta probabilità, l’avvento di seri pregiudizi ai sensi dell’art. 3 LAsi. Non sono sufficienti, quindi, indizi che indicano minacce di persecuzioni ipotetiche che potrebbero prodursi in un futuro più o meno lontano. Devono invece sussistere prove sufficienti di una minaccia concreta passibile di
indurre chiunque si trovi nella stessa situazione a temere la persecuzione (cfr. DTAF 2014/27 consid. 6.1; 2010/57 consid. 2.5). Perché sia pertinente nella nozione di rifugiato, è tuttavia necessario che la situazione di persecuzione sia ancora attuale (cfr. DTAF 2013/11 consid. 5.1; 2011/50 consid. 3.1.2.2 e riferimenti citati; DTAF 2010/57 consid. 4.1; WALTER KÄLIN, Grundriss des Asylverfahrens, 1990, pag. 129).
Nel caso in disamina la richiedente sarebbe, a suo dire, figlia di G. , personaggio politico congolose che alla fine del 2012 è diventato il 6o “I. ”, ovvero uno dei principali “chef coutumier” del territorio di J. , nel futuro Kasai Centrale (cfr. […] consultato l’11 giugno 2024). Il padre dell’insorgente è deceduto da lunga data, nel 2016, e non v’è quindi alcuna ragione ravvisabile per la quale il Tribunale dovrebbe riconoscere una persecuzione riflessa ai danni della presunta figlia per l’attività politica esercitata in passato da G. . Infatti, anche se si volesse ritenere verosimile le dichiarazioni rilasciate dall’interessata, dapprima si denota come essa sarebbe, secondo il suo racconto, una dei figli avuti del presunto padre il quale intratteneva relazioni con tante altre donne e, a suo dire, viveva a K. vedendo l’interessata una o due volte al mese (cfr. atti della SEM n. 19/14, pt. 3.01, pag. 6 e n. 53/15 D72 e segg., pag. 11). Appare inverosimile in tale costellazione che essa possa rientrare nel mirino delle autorità congolesi anche tenuto conto del tempo intercorso dall’uccisione del presunto padre. Secondariamente, nel racconto esposto dall’interessata, ella sarebbe stata attenzionata dalle autorità congolesi, insieme alla madre, a causa di documenti appartenenti al presunto padre che avrebbero riguardato l’estrazione di cobalto (cfr. atti della SEM n. 19/14, pt. 7.01, pag. 12 e
n. 53/15 D50 e segg., pag. 9). Appare poco verosimile, visto il tempo trascorso dai fatti enunciati dalla ricorrente, che ella sia ancora invisa alle autorità a causa di tali documenti. Non risulta poi dalle dichiarazioni neppure che la ricorrente sia stata ricercata da terze persone dopo tali eventi. Alla luce di questi elementi, si constata come risulti inverosimile che la ricorrente, nel caso dovesse fare rientro in Congo, possa subire una futura persecuzione a causa delle attività politiche del presunto padre morto nel 2016. Una sola remota possibilità di una persecuzione futura non è sufficiente per motivare un timore oggettivo pertinente ai fini dell’asilo, in quanto occorre la sussistenza di indizi concreti che le conseguenze attese siano verosimili, perché il timore provato appaia essere realistico e condivisibile (cfr. DTAF 2010/57 consid. 2.5; cfr. anche nello stesso senso la sentenza del Tribunale E-1060/2022 del 22 marzo 2022 consid. 6.2.3). Tali indizi, non sono in casu ravvisabili e quanto sostenuto dalla ricorrente nel gravame a sostegno dei suoi asserti, non risulta essere dimostrativo del fatto
che simili rappresaglie possano effettivamente essere adempiute nei suoi
confronti nel caso di un suo rientro (ipotetico) nel Paese d’origine.
Altresì, la tratta di essere umani della quale sarebbe stata vittima l’insorgente nel suo Paese di origine sino alla Svizzera, non risulta essere determinante in specie per il riconoscimento della qualità di rifugiato e della concessione dell’asilo. Difatti, senza voler minimizzare in alcun modo gli avvenimenti traumatici che la ricorrente ha vissuto, risulta dalle sue dichiarazioni in merito, che lo scopo dei diversi passatori era di sfruttarla, in qualità di migrante, per il loro arricchimento personale, attraverso delle vie criminali, ed in nessun modo per uno dei motivi esaustivamente esposti all’art. 3 cpv. 1 LAsi (cfr. per analogia ad esempio la sentenza del Tribunale E-91/2021 dell’8 febbraio 2021 con ulteriori riferimenti citati).
Inoltre, dall’incarto non sono rilevabili degli indizi concreti che permettano di ammettere che l’insorgente, in ragione del fatto che ella sia stata vittima di tratta di esseri umani, rischi di essere socialmente esclusa o di trovarsi in una situazione assimilabile ad una persecuzione determinante in materia d’asilo in caso di un suo rientro in Congo (cfr. sentenze del Tribunale E-4710/2020 del 9 febbraio 2021 consid. 3.4.2, E-7216/2018 del 29 aprile 2020 consid. 3.6). Per quanto attiene poi il rischio di un eventuale “re-trafficking”, lo stesso dovrebbe essere esaminato nel quadro degli ostacoli all’esecuzione dell’allontanamento, dal profilo dell’ammissibilità della stessa misura, in rapporto con gli art. 3 e 4 CEDU (cfr. sentenze del Tribunale E-4710/2020 consid. 3.4.2, E-91/2021 dell’8 febbraio 2021, E- 7216/2018 consid. 3.7). Tuttavia, essendo che l’interessata è stata già posta al beneficio di un’ammissione provvisoria in ragione dell’inesigibilità del provvedimento, il Tribunale può esimersi dal suo esame, ferma considerata l’alternatività delle condizioni di cui all’art. 83 della legge federale sugli stranieri e la loro integrazione (LStrI, RS 142.20), siano esse da considerare in ambito di ammissibilità o di possibilità della stessa (cfr. tra le altre le sentenze del Tribunale E-2004/2020 del 29 maggio 2020 e D-647/2017 del 29 aprile 2020 consid. 8.4).
Ne consegue che il ricorso non merita tutela e la decisione impugnata va confermata. La SEM con la decisione impugnata non ha violato il diritto federale né abusato del suo potere d’apprezzamento ed inoltre non ha accertato in modo inesatto o incompleto i fatti giuridicamente rilevanti (art. 106 cpv. 1 LAsi)
Avendo il Tribunale statuito nel merito del ricorso, la domanda d’esenzione dal versamento di un anticipo equivalente alle presunte spese processuali, è divenuta senza oggetto.
Visto l’esito della procedura, le spese processuali che seguono la soccombenza, sarebbero da porre a carico del ricorrente (art. 63 cpv. 1 e 5 PA nonché art. 3 lett. b del regolamento sulle tasse e sulle spese ripetibili nelle cause dinanzi al Tribunale amministrativo federale del 21 febbraio 2008 [TS-TAF, RS 173.320.2]). Ciononostante, avendo il Tribunale, con decisione incidentale del 3 settembre 2021, accolto l’istanza di assistenza giudiziaria giusta l’art. 65 cpv. 1 PA, non sono riscosse le spese processuali.
La presente decisione non concerne una persona contro la quale è pendente una domanda di estradizione presentata dallo Stato che ha abbandonato in cerca di protezione per il che non può essere impugnata con ricorso in materia di diritto pubblico dinanzi al Tribunale federale (art. 83 lett. d cifra 1 LTF).
La pronuncia è quindi definitiva.
(dispositivo alla pagina seguente)
Il ricorso è respinto.
Non si prelevano spese processuali.
Questa sentenza è comunicata alla ricorrente, alla SEM e all'autorità cantonale competente.
Il presidente del collegio: Il cancelliere:
Daniele Cattaneo Agostino Bullo
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