Instanz: | Bundesverwaltungsgericht |
Abteilung: | Abteilung II |
Dossiernummer: | B-6229/2019 |
Datum: | 30.04.2021 |
Leitsatz/Stichwort: | Atto illecito (LBCR, LBVM, LICol) |
Schlagwörter : | FINMA; Banca; Quot;; ;autorità; LFINMA; Tribunale; ORD-FINMA; ;intermediario; ;affari; ;attività; Pertanto; Divisione; ;obbligo; Nella; Secondo; ;ultima; Responsabile; ;inchiesta; ;interno; Tuttavia; Banking; ;ambito; ;incaricato; ;ufficio; ;altro; ;interesse; ;autorizzazione; Private; ;organizzazione; Infatti |
Rechtsnorm: | Art. 17 OR ;Art. 18 OR ; |
Referenz BGE: | - |
Kommentar: | -, Praxis Verwaltungsverfahrensgesetz, Art. 29 VwVG, 2016 |
Corte II
B-6229/2019
Composizione Giudici Pietro Angeli-Busi (presidente del collegio), Jean-Luc Baechler, Eva Schneeberger, cancelliera Maria Cristina Lolli.
Parti X. ,
[…],
patrocinato dall'avv. Paolo Bernasconi,
Studio legale Bernasconi Martinelli Alippi & Partners, […],
ricorrente,
contro
[…],
autorità inferiore.
Oggetto Divieto di esercizio della professione.
I fatti rilevanti e all'origine della presente procedura hanno avuto luogo dal 2006 al 2016 in Svizzera e concernono le attività di X. (in seguito: il ricorrente) in seno alla A. PRIVATBANK SA (Registro di commercio del Cantone Ticino: CHE-[…], iscritta il 13 dicembre 2000 a Lugano; [in seguito: la Banca o A. ]) integrata, con altre entità, nel Gruppo A. . A. è un istituto bancario privato di medie dimensioni specializzato nel private banking e dispone di un'autorizzazione concessa dall'Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari FINMA (in seguito: FINMA o autorità inferiore) ad operare quale banca e commerciante di valori mobiliari.
Il ricorrente è stato alle dipendenze della Banca dal 1995 al 2017 ed ha svolto negli anni varie funzioni all'interno di quest'ultima. Inizialmente è stato assunto quale Vice-Direttore con la mansione di consulente alla clientela privata ed in seguito, ha svolto la funzione di Condirettore. Dal 2005 al
7 giugno 2016, è stato un membro della Direzione Generale (in seguito: DG) e Direttore Generale Responsabile della Divisione 1 (Private Banking & Asset Management). Contemporaneamente, egli è stato responsabile e coordinatore del progetto di sviluppo della Banca sul mercato latino-americano.
In data 21 aprile 2016, la FINMA ha informato la A. dell'apertura di un procedimento amministrativo di enforcement nei suoi confronti. Il motivo sarebbe stato il sospetto che la Banca avesse commesso gravi violazioni dei suoi obblighi in materia di lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, così come in materia dell'adeguata gestione dei rischi nell'ambito dell'apertura e della gestione delle relazioni d'affari con la clientela brasiliana, con particolare riferimento a quella coinvolta nella vicenda di corruzione concernente le società brasiliane Petrobras/H. .
Con decisione provvisionale del 5 agosto 2016, la FINMA ha nominato l'avv. B. , […] studio legale e notarile, Lugano, quale incaricato dell'inchiesta, il quale ha trasmesso alla FINMA il rapporto richiesto, accompagnato dagli allegati, il 29 maggio 2017.
In data 31 maggio 2017, l'autorità inferiore ha inoltrato il rapporto e i suoi allegati alla Banca, invitandola a formulare eventuali osservazioni entro il 30 giugno 2017, osservazioni che le sono state trasmesse il 28 luglio 2017.
Dopo aver sottoposto il progetto di decisione alla Banca e aver tenuto conto delle osservazioni di quest'ultima, la FINMA ha emesso in data 17 gennaio 2018 una decisione nella quale ha constatato gravi violazioni del diritto in materia di vigilanza. Segnatamente, vi sarebbero state delle inadempienze nell'identificazione, rispettivamente limitazione e sorveglianza dei rischi, nonché delle violazioni degli obblighi di diligenza generali e particolari in materia di riciclaggio constatate tanto all'apertura delle relazioni, quanto nell'aggiornamento dei Know your customer (in seguito: KYC) e/o nella sorveglianza delle relazioni a rischio superiore. Pertanto, la Banca avrebbe gravemente violato i propri obblighi di allestimento e conservazione dei documenti, il principio dell'adeguata gestione dei rischi e la garanzia di un'attività irreprensibile. Tale decisione è cresciuta in giudicato.
Con scritto del 13 marzo 2018, la FINMA ha informato il ricorrente dell'apertura di un procedimento amministrativo di enforcement nei suoi confronti, in seguito a degli indizi emersi nell'ambito del procedimento contro la Banca. Secondo tali indizi, il ricorrente sarebbe stato responsabile, in qualità di membro della DG e di Responsabile della Divisione 1, di violazioni gravi delle disposizioni legali in materia di vigilanza.
La FINMA ha dato al ricorrente la possibilità di esprimersi in merito alla decisione resa contro la Banca, nonché in merito al rapporto dell'incaricato d'inchiesta (cfr. fatti B.b). Il ricorrente ha inoltrato le proprie osservazioni sui sopracitati documenti in aprile 2018.
Il ricorrente è stato interrogato dall'autorità inferiore in data 21 marzo 2019, ed ha inoltrato, nei mesi di giugno fino ad agosto, le proprie osservazioni su vari progetti di decisione contro di lui.
In data 18 ottobre 2019, la FINMA ha deciso che:
È fatto divieto a X. di assumere una posizione dirigente presso un istituto autorizzato dalla FINMA per una durata di tre anni.
L'inosservanza di tale divieto è punibile con una pena ai sensi dell'art. 48 LFINMA:
"Chiunque, intenzionalmente, non ottempera a una decisione passata in giudicato intimatagli dalla FINMA con la comminatoria della pena prevista dal presente articolo o a una decisione delle autorità di ricorso è punito con la multa sino a 100'000 franchi."
I costi di procedura di CHF 30'000 sono posti a carico di X. , saranno fatturati con lettera separata e dovranno essere pagati in un termine di 30 giorni dalla crescita in giudicato della presente decisione.
Nella decisione impugnata, l'autorità inferiore ha in sintesi ritenuto che il ricorrente, in qualità di membro della Direzione Generale della Banca, nonché di Responsabile della Divisione 1 Private Banking & Asset Management, avrebbe ripetutamente e gravemente disatteso i doveri più elementari di dirigente imposti dalla sua funzione, coprendo il suo subordinato C. (in seguito: C. ) e concedendo alla sua attività un'autonomia troppo elevata e non adeguatamente controllata nella gestione della clientela latino-americana. Così facendo, egli avrebbe permesso, facilitato e tollerato il realizzarsi di gravi violazioni delle disposizioni in materia di vigilanza da parte della Banca. Pertanto, risulterebbe "responsabile" ai sensi dell'art. 33 LFINMA, di tali gravi violazioni.
In data 17 ottobre 2019, il ricorrente ha impugnato la sopracitata decisione del 18 ottobre 2019 con ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo federale (in seguito: il Tribunale o TAF). Il ricorrente postula:
In via preliminare
La FINMA procede a mettere a disposizione tutti i mezzi di prova richiesti mediante l'istanza di complemento istruttorio datata 9.01.2019.
La FINMA mette a disposizione tutte le sue comunicazioni al Dipartimento Federale delle Finanze e i relativi procedimenti penali in applicazione dell'art. 37 LRD avviati nei confronti delle persone della Banca A. identificate come responsabili per le omesse rispettivamente tardive comunicazioni al MROS menzionate nella decisione impugnata nonché nella decisione datata 17.01.2018.
In via principale
Il presente ricorso viene accolto integralmente e di conseguenza la decisione datata 18.10.2019 viene annullata integralmente.
In via subordinata
Il ricorso in epigrafe viene accolto parzialmente, per cui il divieto di esercizio della professione impartito nei confronti di X._ viene ridotto al periodo di 6 mesi.
In ogni caso
Viene accertato che la FINMA non ha la facoltà di verificare la garanzia di un'attività irreprensibile di X. , dopo la scadenza del divieto all'esercizio della professione.
A tal proposito, il ricorrente censura una violazione del diritto federale (art. 49 lett. a PA), nel senso di una violazione del divieto di "venire contra factum proprium"; l'incompleto ed inesatto accertamento dei fatti (art. 49 lett b PA), la violazione del suo diritto di essere sentito, in quanto la FINMA non avrebbe sufficientemente motivato alcune sue affermazioni, non avrebbe tenuto conto delle prove a discarico del ricorrente e non avrebbe dato la possibilità al medesimo di esprimersi a riguardo; la mancanza di causalità, del requisito di colpevolezza e della gravità delle violazioni; nonché la determinazione arbitraria del periodo di divieto e dei costi della procedura. Gli argomenti a sostegno del ricorso verranno esposti per esteso nei considerandi in diritto.
Con risposta del 17 marzo 2020, l'autorità inferiore si è riconfermata in maniera generica nelle proprie posizioni, richiedendo il rigetto integrale del ricorso e la conferma della decisione impugnata. Segnatamente, la FINMA chiede il rigetto della richiesta del ricorrente, che gli vengano messi a disposizione tutti i mezzi di prova richiesti mediante l'istanza di complemento istruttorio del 9 gennaio 2019. Da respingere sarebbe anche la richiesta di versare agli atti del procedimento eventuali comunicazioni al Dipartimento federale delle finanze (DFF) ed eventuali atti relativi a procedimenti penali nel contesto del procedimento contro la Banca, in quanto non risulterebbero pertinenti per la presente procedura e non avrebbero funto da mezzo di prova per il procedimento di enforcement. Il semplice fatto che il ricorrente abbia qualità di parte nel presente procedimento, non gli consentirebbe, per intercessione della FINMA, vedersi accordare un diritto di accesso ad altri incarti (di carattere penale) che, per di più, quest'ultima ritiene essere strumentale ad altri utilizzi e che esulerebbe dall'oggetto della presente procedura.
Con replica del 17 aprile 2020, il ricorrente ha trasmesso la propria presa
di posizione circa la risposta della FINMA, riaffermando gli argomenti e le conclusioni già esposti nel ricorso.
In data 30 giugno 2020, l'autorità inferiore ha inoltrato a codesto Tribunale una duplica, nella quale ribadisce la sua posizione e quanto espresso nella decisione impugnata e nella risposta. Segnatamente, la FINMA sottolinea come la misura del divieto di esercizio della professione, sancito all'art. 33 LFINMA, rappresenti, nonostante l'aspetto repressivo, una misura amministrativa e non penale, poiché mancherebbe l'intenzione di sanzionare.
Ulteriori fatti ed argomenti addotti dalle parti negli scritti verranno ripresi nei considerandi qualora risultino decisivi per l'esito della vertenza.
Il Tribunale esamina d'ufficio e liberamente l'ammissibilità dei ricorsi che gli vengono sottoposti (cfr. DTAF 2007/6 consid. 1).
Il Tribunale giudica i ricorsi contro le decisioni ai sensi dell'art. 5 della Legge federale del 20 dicembre 1968 sulla procedura amministrativa (PA, [RS 172.021]; art. 31 della Legge del 17 giugno 2005 sul Tribunale amministrativo federale [LTAF, RS 173.32]). Contro le decisioni dell'autorità inferiore è ammesso il ricorso al Tribunale (art. 33 lett. e LTAF in collegamento con art. 54 cpv. 1 LFINMA). Nell'evenienza, non sussistono eccezioni a norma dell'art. 32 LTAF.
Inoltre, le disposizioni relative alla rappresentanza e patrocinio (art. 11 PA), al termine di ricorso (art. 50 cpv. 1 PA), al contenuto e alla forma dell'atto di ricorso (art. 52 cpv. 1 PA), all'anticipo delle spese processuali (art. 63 cpv. 4 PA), nonché ai rimanenti presupposti processuali (art. 44 e segg. PA), sono rispettate.
Pertanto, nulla osta alla ricevibilità del ricorso, su riserva di quanto indicato al consid. 16.2.
Nella decisione impugnata, la FINMA ha pronunciato nei confronti del ricorrente un divieto di esercitare ai sensi dell'art. 33 LFINMA per un periodo di tre anni.
Se constata una grave violazione delle disposizioni legali in materia di vigilanza, la FINMA può vietare al responsabile l’esercizio di un’attività dirigente presso una persona sottoposta a vigilanza.
Il divieto di esercizio della professione può essere ordinato per una durata massima di cinque anni.
La fattispecie legale dell'art. 33 cpv. 1 LFINMA è data, se una persona ha causato con la propria condotta individuale, in maniera colpevole e causale, una grave violazione di disposizioni legali in materia di vigilanza presso l'istituto assoggettato a vigilanza (cfr. DTF 142 II 243 consid. 2.2. e seg.).
A tal proposito, si noti che il divieto di esercizio della professione oltrepassa il principio della vigilanza istituzionale, ai sensi dell'art. 3 lett. a LFINMA (cfr. sentenza del TAF B-686/2016 dell'11 giugno 2018 consid. 2.1), secondo cui, assoggettate alla vigilanza sono segnatamente le persone che, in virtù delle leggi sui mercati finanziari, necessitano di un'autorizzazione, di un riconoscimento, di un'abilitazione o di una registrazione dell'autorità di vigilanza sui mercati finanziari. Responsabili con funzioni dirigenti sono, invece, garanti (ogni persona che, in virtù della sua autorità all'interno della Banca, potrebbe compromettere la continuità dell'esistenza della medesima) e altre persone che svolgono funzioni dirigenziali e che hanno un certo grado di responsabilità all'interno dell'organizzazione.
Poiché il divieto di esercitare la professione può essere imposto ad una persona fisica, solo qualora venga accertata una grave violazione delle disposizioni in materia di vigilanza (art. 33 LFINMA), la questione della responsabilità della persona fisica non può essere valutata indipendentemente dalla violazione degli obblighi o del diritto in materia di vigilanza da parte dell'assoggettato a vigilanza, in questo caso la Banca. Gli obblighi di vigilanza, la cui violazione grave giustifica la pronuncia di un divieto di esercizio della professione ad una persona fisica, ricadono sulla persona giuridica sorvegliata e non sulla persona fisica (cfr. DTF 142 II 243 consid. 2.3; DTAF 2018IV/5 consid. 5.5). La domanda se il comportamento in questione rappresenti una violazione del diritto di sorveglianza, costituisce una questione di diritto che codesto Tribunale analizza tendenzialmente con pieno potere di cognizione. Tuttavia, la gravità di una violazione delle norme applicabili, costituisce un concetto giuridico indeterminato, la cui interpretazione e applicazione da parte della FINMA è esaminata con riserbo da codesto Tribunale. Infatti, gli aspetti tecnici che comporta la gravità di una violazione, giustificano di lasciare un margine di apprezzamento all'autorità inferiore, segnatamente tenuto conto delle conoscenze tecniche che quest'ultima possiede (cfr. sentenza del TF 2C_771/2019 del 14 settembre 2020 consid. 16.1 con rinvii; sentenza del TAF B-6370/2018 del 28 aprile 2020 consid. 2 con rinvii).
Pertanto, finché l'interpretazione dell'autorità inferiore non risulta insostenibile o non è stato commesso un errore manifesto di valutazione, il suddetto Tribunale non interviene (cfr. DTAF 2013/59 consid. 9.3.6).
Ciò premesso, dal requisito stesso di una violazione grave del diritto in materia di vigilanza risulta che non può bastare una violazione singola, puntuale e secondaria degli obblighi derivanti da tale diritto (cfr. decisione del TF 2C_1055/2014 del 2 ottobre 2015 consid. 4.2; decisione del TAF B-5756/2014 del 18 maggio 2017 consid. 3.1 non pubblicata in DTAF 2017 IV/7). Inoltre, nella scelta della misura da adottare, la FINMA deve rispettare i principi generali che regolano qualsiasi attività amministrativa, tra cui quello della proporzionalità (cfr. sentenza del TAF B-6370/2018 del 28 aprile 2020 consid. 2 con rinvii). Ne consegue, segnatamente, che più incisiva è la misura ordinata, tanto più elevati devono essere i requisiti alla gravità della violazione. È il caso, ad esempio, del divieto di esercitare ai sensi dell'art. 33 LFINMA nonché della pubblicazione di una decisione prevista dall'art. 34 LFINMA, che incidono sulla posizione giuridica dell'interessato in modo più intenso di una semplice decisione di accertamento ai sensi dell'art. 32 LFINMA (cfr. sentenza del TAF B-6370/2018 del 28 aprile 2020 consid. 2 con rinvii).
La procedura di enforcement è una procedura amministrativa di prima istanza, ma non è regolata in maniera più dettagliata né dalla PA, né dalla LFINMA. La FINMA è libera, nell'ambito del regolamento di procedura prescritto, di decidere come strutturare la procedura nel caso specifico. In linea di principio vi sono tre possibilità (cfr. sentenza del TAF B-686/2016 dell'11 giugno 2018 consid. 5):
In primo luogo, è possibile condurre procedimenti per ogni singola parte. I procedimenti individuali (Einzelpartei-Verfahren) sono procedimenti separati con qualità di parte per le rispettive parti (parti individuali), trattamento procedurale completo e file procedurali propri. Le procedure di enforcement possono essere dirette contro un istituto sorvegliato, un intermediario finanziario che opera illecitamente o una persona fisica sospettata di violare la legge di sorveglianza. Tuttavia, se più procedimenti individuali riguardano gli stessi fatti, i vantaggi di condurre vari procedimenti indipendenti l'uno dall'altro, sono limitati per ragioni di economia amministrativa. La FINMA può sì ordinare l'audizione di testimoni (art. 14 cpv. 1 lett. e PA). Tuttavia, la prova testimoniale è sussidiaria ad altre prove e misure probatorie. Anche l'audizione di persone fisiche come testimoni in un procedi-
mento contro un ente sorvegliato è regolarmente esclusa, dato che la condotta degli organi formali o di fatto dell'ente vigilato è imputabile a quest'ultimo, per cui la parte può essere interrogata solo come persona informata sui fatti (cfr. PHILIPPE WEISSENBERGER/ASTRID HIRZEL, in: Bernhard Waldmann/Philippe Weissenberger [ed.], Praxiskommentar Verwaltungsverfahrensgesetz, 2a ed., Zurigo/Basilea/Ginevra 2016 [in seguito: Praxiskommentar VwVG], art. 14 n 7).
In secondo luogo, è possibile una procedura unica con diverse parti. I procedimenti con più parti (Mehrparteien-Verfahren) hanno un trattamento procedurale uniforme e un solo incarto. Tali procedimenti devono essere distinti dalla "procedura collettiva" (art. 30a cpv. 1 PA) e dai procedimenti contraddittori, che si basano su un "rapporto tra controparti con interessi contrari" (art. 31 PA). Tuttavia, gli interessi delle parti coinvolte in un procedimento con più parti, non possono essere allineati o contrapposti (cfr. URS ZULAUF/DAVID WYSS/KATHRIN TANNER/MICHEL KÄHR/CLAUDIA M. FRI-
TSCHE/PATRIC EYMANN/FRITZ AMMANN, Finanzmarktenforcement, 2a ed.,
Berna 2014, pag. 107). In circostanze chiare, i procedimenti di enforcement sono spesso condotti come procedimenti a più parti, perché i fatti sono simili o uguali. In linea di principio, tutte le parti hanno pieno diritto di parte (cfr. OLIVER FRIEDMANN/CHRISTOPH KUHN/FLORIAN SCHÖNKNECHT, Enfor-
cement, in: Peter Sester/Beat Brändli/Oliver Bartholet/Reto Schildknecht [ed.], St. Galler Handbuch zum Schweizer Finanzmarktrecht [in seguito: SGHB], Finanzmarktaufsicht und Finanzmarktinfrastrukturen, Zurigo/San Gallo 2018, § 12 n 68). Di conseguenza, possono partecipare all'assunzione delle prove anche quando vi sono dei fatti che non li riguardano direttamente. Così, un fideiussore può partecipare in qualità di parte nel procedimento dell'istituto toccato, se si devono ordinare nel dispositivo della decisione misure sia nei suoi confronti che in quelli dell'istituto. Lo stesso vale per gli ordini contro le parti qualificate (cfr. ZULAUF/WYSS ET. AL., op. cit., pag. 104). Tuttavia, in caso di situazioni complesse, tale procedura non è praticamente più fattibile (cfr. KUHN, op. cit., pag. 54, secondo cui i procedimenti con più parti comportano un notevole lavoro aggiuntivo e richiedono regolarmente più tempo a causa della maggiore necessità di coordinamento).
In terzo luogo, c'è la possibilità di una procedura globale sotto un unico tetto. La procedura complessiva (Gesamtverfahren) consiste nell'effettuazione di una procedura principale e di ulteriori procedure che vengono eseguite successivamente (cfr. KUHN, op. cit., pag. 53; FRIEDMANN/KUHN/SCHÖNKNECHT, in: SGHB, § 12 n 67 e seg.). Si tratta di diversi procedimenti individuali con qualità di parte separata, gestione separata
degl'incarti, ma indagini congiunte, per cui non vi è più un trattamento procedurale completo nei procedimenti individuali. Il procedimento principale ha un impatto sui procedimenti successivi. Gli effetti riguardano la qualità di parte (le parti non hanno la qualità di parte negli altri procedimenti), la tenuta dell'incarto (trasferimento dell'incarto e acceso agli atti a causa di uno status di terza parte), l'indagine (la partecipazione alla raccolta delle prove è limitata), la raccolta delle prove (selezione delle prove), la pronuncia della decisione e la possibilità di ricorrere (protezione giuridica). Nonostante queste implicazioni, lo svolgimento di una procedura complessiva è prevista dal regolamento di procedura prescritto, a condizione che le garanzie procedurali siano rispettate.
Nella fattispecie, l'autorità inferiore ha trattato il procedimento principale riguardante la banca che ha portato alla decisione del 17 gennaio 2018, cresciuta in giudicato. In un secondo momento, la FINMA ha condotto dei procedimenti individuali per chiarire la responsabilità delle persone fisiche interessate, segnatamente del ricorrente. Nella decisione impugnata, l'autorità inferiore ha preliminarmente esaminato le violazioni commesse dalla Banca, prima di analizzare quelle rimproverate al ricorrente. Così facendo, la FINMA si è avvalsa della possibilità di una procedura complessiva di cui sopra (cfr. consid. 3.3), in conformità con la giurisprudenza sui procedimenti di enforcement della FINMA, secondo la quale una decisione contro l'ente sorvegliato in un procedimento principale non può avere valore giuridico contro una persona che lavora per tale ente.
Pertanto, nel procedimento riguardante il ricorrente spetta anche al Tribunale esaminare se, sulla base del comportamento di quest'ultimo, la Banca si sia resa colpevole di una grave violazione della legge sulla sorveglianza (cfr. sentenza del TAF B-6370/2018 del 28 aprile 2020 consid. 3).
Diritto applicabile
Appurata l'ammissibilità del ricorso, è necessario stabilire le normative applicabili. Infatti, visto lo spazio temporale nel quale si sono svolti i fatti rimproverati al ricorrente (cfr. fatti A), sono rilevanti le regole del diritto intertemporale.
In caso di modifica della base giuridica e in assenza di corrispondenti disposizioni transitorie nel relativo atto normativo, il diritto applicabile deve essere determinato secondo le norme generali intertemporali. Di conseguenza, in termini temporali, sono generalmente applicabili i principi giuridici sostanziali che erano in vigore al momento della realizzazione dei fatti
giuridicamente rilevanti (cfr. DTF 143 V 446 consid. 3.3, 137 V 105 con-
sid. 5.3.1, 130 V 445 consid. 1.2.1, rispettivamente con rinvii; sentenza del TAF B-3930/2016 del 25 novembre 2019 consid. 2 con rinvii; THIERRY TANQUEREL, Manuel de droit administratif, 2011, marg. 408; ALAIN GRIFFEL, in: Felix Uhlmann [ed.], Intertemporales Recht aus dem Blickwinkel der Rechtsetzungslehre und des Verwaltungsrechts, 2014, pag. 8 e segg.). Se si tratta di disposizioni formali, vale il principio generale secondo il quale, di regola, esse entrano immediatamente in vigore (cfr. sentenza del TAF B-3771/2012 del 12 marzo 2013 consid. 1.4.3.1 con rinvii).
Nella fattispecie, il periodo in cui si sono svolti i fatti rimproverati al ricorrente, rispettivamente in cui si è realizzato lo stato di fatto che deve essere valutato giuridicamente o che produce conseguenze giuridiche, va dal 2006 al 2016.
Pertanto, le normative applicabili (leggi, ordinanze, circolari) al caso in specie sono quelle in vigore dal 2006 al 2016, segnatamente:
la vecchia Ordinanza FINMA dell'8 dicembre 2010 sul riciclaggio di denaro, in vigore dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2015 (vORD-FINMA,
RU 2010 6295), nonché l'Ordinanza FINMA del 18 dicembre 2002 sul rici-
claggio di denaro, in vigore dal 1° luglio 2003 al 31 dicembre 2010
(ORD-FINMA 1, RU 2003 554),
l'Ordinanza del 17 maggio 1972 sulle banche e le casse di risparmio, in vigore fino al 31 dicembre 2014 (vOBCR, RU 1972 752), rispettivamente l'Ordinanza del 30 aprile 2014 sulle banche e le casse di risparmio, in vigore dal 1° gennaio 2015 (OBCR, RS 952.02),
la LRD, nella versione in vigore fino al 31 dicembre 2015.
Nonostante nel corso degli anni siano state effettuate delle modifiche a dette normative (vOBCR – OBCR, ORD-FINMA 1 – vORD-FINMA), il contenuto degli articoli applicabili nel caso in specie (cfr. sopra), è rimasto pressoché immutato. Pertanto, tali modifiche non influiscono in modo differenziato sul giudizio della causa.
Con ricorso al Tribunale amministrativo federale possono essere invocati, giusta l’art. 49 PA in combinato disposto con l’art. 37 LTAF, la viola-
zione del diritto federale, compreso l’eccesso o l’abuso del potere di apprezzamento (lett. a), l’accertamento inesatto o incompleto di fatti giuridicamente rilevanti (lett. b), nonché l’inadeguatezza (lett. c).
Il ricorrente fa valere una violazione del diritto federale, nella misura in cui la decisione impugnata sarebbe contraria al principio della buona fede processuale, nonché violerebbe vari principi fondamentali. Infatti, nell'ambito dell'accertamento dei fatti giuridicamente rilevanti nel caso in specie, la FINMA sarebbe venuta meno al divieto di "venire contra factum proprium", in quanto essi sarebbero stati in parte presentati nella decisione impugnata in modo fuorviante ed in contraddizione ai fatti accertati nella decisione contro la Banca. Oltre a ciò, l'accertamento stesso dei fatti sarebbe avvenuto in maniera incompleta ed inesatta, nonché in violazione del suo diritto di essere sentito (consid. 6-9).
Dal punto di vista materiale, il ricorrente afferma che i requisiti per ordinare il divieto di esercitare la professione non sarebbero soddisfatti (consid. 11-13). Infatti, egli avrebbe svolto la propria attività in qualità di membro della Direzione Generale della Banca, nonché di Responsabile della Divisione 1 Private Banking & Asset Management nel rispetto delle disposizioni legali. Mancando, pertanto, il nesso di causalità tra il suo comportamento e le violazioni commesse dalla Banca, nonché i requisiti della colpevolezza e della gravità delle eventuali violazioni da lui commesse, egli non risulterebbe responsabile delle violazioni delle disposizioni di legge sulla vigilanza da parte della Banca. La durata del divieto pronunciato dalla FINMA nonché i costi di procedura stabiliti nella decisione impugnata, sarebbero stati fissati in maniera arbitraria (consid. 15).
Oggetto della presente procedura di ricorso sono il divieto di esercizio della professione (punto 1 del dispositivo) e i costi della procedura dinanzi alla FINMA, fissati a fr. 30'000.– (punto 3 del dispositivo), pronunciati nella decisione impugnata del 18 ottobre 2019.
Non è invece oggetto della presente procedura la decisione emessa contro la Banca in data 17 gennaio 2018. Tutti i riferimenti alla procedura contro la Banca, nonché alla relativa decisione, possono servire tuttalpiù come elementi informativi atti ad una comprensione complessiva degli eventi accaduti tra il 2006 e il 2016. Non hanno tuttavia una valenza giuridica nei confronti del ricorrente.
Sul piano procedurale, il ricorrente censura in primo luogo la violazione di
garanzie procedurali penali, derivanti dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU, RS 0.101) in relazione al procedimento di enforcement. In particolare, il fatto che la FINMA rimproveri al ricorrente di non aver mai manifestato alcuna volontà di contribuire a far emergere la verità, di aver minimizzato le proprie responsabilità e di non aver dimissionato dalla Banca, costituirebbe secondo il medesimo una violazione del principio "nemo se ipsum detegere atque accusare", tutelato dall'art. 6 CEDU e dall'art. 14 cpv. 3 lett. g del Patto ONU II.
L'art. 6 CEDU, in relazione all'art. 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, entrato in vigore per la Svizzera il 18 settembre 1992 (Patto ONU II, RS 0.103.2), garantisce il diritto ad un equo processo, includendo segnatamente specifiche garanzie procedurali per i procedimenti penali, quali il principio nemo tenetur (art. 6 cpv. 1 CEDU e art. 14 cpv. 3 lett. g Patto ONU II), la presunta innocenza (risp. al cpv. 2), diritto all'informazione, difesa effettiva, diritto di difesa, diritto di interrogazione e confronto, diritto ad un interprete gratuito (risp. al cpv. 3), nonché il principio ne bis in idem (art. 14 cpv. 7 Patto ONU II, in relazione all'art. 4 del Protocollo
n. 7 alla CEDU).
Il diritto di non autoaccusarsi permette all'imputato di un'accusa penale ai sensi dell'art. 6 cpv. 1 CEDU di astenersi dal rispondere. Dal diritto dell'imputato di non dover contribuire alla propria condanna, deriva soprattutto l'obbligo per l'autorità inferiore di condurre la propria inchiesta, senza basarsi su mezzi di prova ottenuti con la forza o sotto pressione, in inottemperanza del volere del medesimo. Secondo la pratica del Tribunale federale, non tutti gli obblighi concernenti la messa a disposizione di informazioni che a loro volta richiederebbero una sanzione, sono illeciti. Piuttosto, è interdetta la cosiddetta "improper compulsion", ovvero una forma di costrizione abusiva o sproporzionata (cfr. DTF 142 II 243 consid. 3.3 con rinvii).
Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU), si tratta di un'accusa penale ai sensi dell'art. 6 CEDU, quando il diritto nazionale attribuisce un provvedimento statale al diritto penale, oppure quando la natura, la tipologia, la gravità e/o la sanzione della contravvenzione indicano un carattere penale (cfr. DTF 142 II 243 consid. 3.4 con rinvii).
Il divieto di esercizio della professione in oggetto, pronunciato nei confronti del ricorrente, verte sull'art. 33 LFINMA, trovando quindi la sua base legale nella sezione degli strumenti di vigilanza a disposizione della FINMA.
Il diritto di vigilanza non mira, contrariamente a quanto previsto dal diritto penale, ad una sanzione per un comportamento illecito. Infatti, giusta l'art. 4 LFINMA, la vigilanza sui mercati finanziari si prefigge la protezione dei creditori, degli investitori e degli assicurati, nonché la tutela della funzionalità dei mercati finanziari. Essa contribuisce in tal modo a rafforzare la reputazione e la concorrenzialità della piazza finanziaria svizzera, nonché la capacità di quest'ultima di affrontare le sfide future (cfr. art. 1 LFINMA).
A prescindere dagli elementi repressivi contenuti nel divieto di esercitare la professione di cui all'art. 33 LFINMA (cfr. Messaggio del 1° febbraio 2006 sulla LFINMA [FF 2005 2625, 2676 e segg.]), questa sanzione è da qualificare come amministrativa e non penale secondo il diritto nazionale (cfr. DTF 142 II 243 consid. 3.4).
Visto quanto precede, il divieto di esercizio della professione ai sensi dell'art. 33 LFINMA, non rappresenta una sanzione penale secondo l'art. 6 CEDU, bensì costituisce, per quanto riguarda la sua natura e la sua portata, una restrizione della libertà economica, limitata nel tempo. Il ricorrente si avvale, dunque, inutilmente dell'art. 6 CEDU e delle sue garanzie, le quali non trovano applicazione nei procedimenti di enforcement (cfr. DTF 142 II 243 consid. 3.2-3.4; sentenze del TF 2C_315/2020 del 7 ottobre
2020 consid. 4.1, 2C_771/2019 del 14 settembre 2020 consid. 5,
2C_790/2019 del 14 settembre 2020 consid. 4 e 2C_192/2019 dell'11 marzo 2020 consid. 3, rispettivamente con rinvii; sentenza del TAF B-686/2016 dell'11 giugno 2018 consid.4.3 con rinvii).
Diritto di essere sentito
Il ricorrente censura una violazione del suo diritto di essere sentito, in quanto l'autorità inferiore avrebbe, da un lato, motivato insufficientemente alcuni rimproveri mossi nei confronti del medesimo e alcune affermazioni fatte a tal proposito (ricorso margg. 68-69). Per di più, la FINMA avrebbe violato i propri obblighi motivazionali, nella misura in cui non avrebbe preso in considerazione accertamenti e decisioni di altre autorità federali che riguardano la stessa Banca e lo stesso sistema antiriciclaggio proprio nello stesso periodo qui in esame.
Dall'altro lato, la FINMA avrebbe ingiustificatamente ignorato alcuni documenti probatori inoltrati dal ricorrente mediante istanza di complemento istruttorio del 9 gennaio 2019.
Giusta l'art. 29 Cost., in procedimenti dinanzi ad autorità giudiziarie o amministrative, ognuno ha diritto alla parità ed equità di trattamento, nonché ad essere giudicato entro un termine ragionevole (cpv. 1). Le parti hanno diritto d'essere sentite (cpv. 2). Tale garanzia non serve solo a chiarire i fatti, bensì rappresenta anche un diritto individuale di partecipare alla pronuncia di una decisione mirata sulla persona in quanto tale. Il diritto di essere sentito è quindi, da un lato, il mezzo d'istruzione della causa, dall'altro lato, un diritto della parte di partecipare all'emanazione della decisione che concerne la sua situazione giuridica (cfr. DTF 144 II 427 consid. 3.1 con rinvii; sentenza del TAF B-4763/2017 del 29 giugno 2018 consid. 4.2).
Il principio del diritto di essere sentito garantisce all'interessato il diritto di prendere visione dell'incarto (cfr. artt. 26-28 PA), la facoltà di offrire mezzi di prova su fatti suscettibili di influire sul giudizio, di esigerne l'assunzione, di partecipare alla loro assunzione e di potersi esprimere sulle relative risultanze, nella misura in cui esse possano influire sulla decisione (cfr. art. 18 e artt. 32-33 PA), il diritto di esprimersi prima che sia resa una decisione sfavorevole nei suoi confronti (cfr. artt. 29-31 PA), nonché di ottenere una decisione motivata (cfr. art. 35 PA). Il diritto di essere sentiti fa parte del principio generale di un processo equo (cfr. DTF 140 I 99 consid. 3.4; 134 I 140 E. 5.2; BERNHARD WALDMANN, in: Bernhard Waldmann/Eva Maria Belser/Astrid Epiney [ed.], Basler Kommentar Bundesverfassung [in seguito: BSK-BV], 2015, art. 29 n. 40).
Il diritto di essere sentito è una garanzia di natura formale, la cui violazione implica, di principio, l'annullamento della decisione resa dall'autorità, indipendentemente dalle possibilità di successo del ricorso nel merito (cfr. DTF 132 V 387 consid. 5.1 con rinvii; DTAF 2009/36 consid. 7). Tale doglianza deve pertanto essere esaminata prioritariamente dall'autorità di ricorso (cfr. DTF 127 V 431 consid. 3d/aa; 124 I 49 consid. 1).
A titolo eccezionale, una violazione del diritto di essere sentito può essere sanata nella procedura di ricorso, se i motivi determinanti sono stati addotti in risposta dall'autorità, se il ricorrente ha potuto commentarli in un successivo memoriale e, soprattutto, se il potere d'esame della giurisdizione competente non è più ristretto di quello dell'istanza inferiore (cfr. DTF 133 I 201 consid. 2.2; sentenza del TF 1C_104/2010 del 29 aprile 2010 consid. 2.1).
Il sopra citato obbligo di motivare la propria decisione è soddisfatto quando l'interessato ha la possibilità di valutarne la portata e di deferirlo ad un'autorità superiore con piena cognizione di causa. È sufficiente che l'autorità inferiore menzioni almeno brevemente i motivi dai quali è stata guidata e su cui si è basata la sua decisione. Essa non è tenuta a pronunciarsi su tutti i motivi delle parti e può pertanto limitarsi ai punti essenziali per la decisione (cfr. DTF 143 III 65 consid. 5.2, 142 II 243 consid. 3.1 con rinvii,
142 II 154 consid. 4.2, 138 I 232 consid. 5.1, 137 II 266 consid. 3.2, 136 I
229 consid. 5.2; sentenza del TAF B-4920/2015 del 2 febbraio 2017 con-
sid. 6.1).
Il Tribunale considera che le motivazioni apportate dall'autorità inferiore (cfr. consid. 8 e 11.1), segnatamente le indicazioni dettagliate concernenti la questione relativa alla disposizione di vigilanza da cui scaturisce l'obbligo di compiere quale atto ed in quale misura il ricorrente avrebbe violato tali disposizioni, nonostante vi fosse un obbligo legale di agire, consentono al ricorrente di poter valutare la portata della decisione e di deferirla all'autorità superiore, ovvero il Tribunale, e illustrano sufficientemente su quali elementi essa ha basato la propria decisione, come, del resto, il ricorrente ha effettuato in maniera esaustiva.
Pertanto, risultando la decisione sufficientemente comprensibile, va considerato rispettato l'obbligo di motivazione ai sensi dell'art. 29 cpv. 2 Cost.
Il ricorrente censura una violazione del divieto di "venire contra factum proprium", in quanto la FINMA avrebbe fondato la propria decisione su una parte dei fatti, tralasciando quelli a carico di altri organi della Banca. Inoltre, egli afferma che la decisione impugnata ignorerebbe, senza fornirne una motivazione, i seguenti documenti probatori inoltrati mediante istanza di complemento istruttorio datata 9 gennaio 2019:
sentenza del Tribunale penale federale per l'assoluzione del signor D. dall'accusa di omessa comunicazione al MROS datata 18.10.2018 (doc. 1), dove si legge, fra l'altro, quanto segue:
"(…) riguardo alle "carenze strutturali", a livello organizzativo e di messa a disposizione delle risorse, tali da mettere in serie difficoltà il servizio di lotta contro il riciclaggio" (consid 4.5.6., pag. 18).
decreto di archiviazione emanato dal Ministero Pubblico della Confederazione nel procedimento datato 18.12.2017 contro la banca A. per carenze organizzative connesse al riciclaggio (doc. 2),
accertate e sottolineate nel considerando 17, pag. 7, ultimo capoverso.
decreto di archiviazione del Ministero Pubblico della Confederazione a favore della signora E._ datato 18.12.2017, per infrazioni analoghe nella sua qualità di dipendente della Banca A._ (doc. 3), dove si accerta fra l'altro:
"(...) il disfunzionamento dei compiti dei controlli di secondo livello di competenza dell'Ufficio Legal e Compliance di A._ come anche evidenziato dal Rapporto di Ernst Young SA, Lugano (...)" (consid. 12, pag. 6).
Tali decisioni ed i relativi atti istruttori, su cui si fondano, apparirebbero rilevanti dal punto di vista delle carenze sussistenti nel sistema compliance della banca A. , proprio nel periodo in cui era operativo anche il ricorrente. La rilevanza delle sentenze del Tribunale penale federale del 18 ottobre 2018 e del Tribunale federale del 28 novembre 2019 sarebbe data, in quanto, seppur concernono un'altra vertenza, esse riguardano la medesima Banca, ovvero la A. . Tali sentenze risulterebbero decisive per la presente procedura, poiché confermerebbero lo stato di disordine organizzativo, strutturale e funzionale riguardo al sistema antiriciclaggio e al funzionamento dei tre livelli di prevenzione antiriciclaggio. Pertanto, tali carenze strutturali costituirebbero un fatto accertato che non potrebbe più essere messo in discussione dall'autorità inferiore. La FINMA non avrebbe tenuto conto delle sopramenzionate carenze, venendo così meno al suo obbligo di motivare la propria decisione. Per gli stessi motivi, anche il decreto di abbandono del 18 dicembre 2017 del MPC risulterebbe importante per la presente procedura. L'importanza di tali documenti sarebbe dovuta al fatto che essi dimostrerebbero che al ricorrente non poteva e non potrebbe essere addebitata alcuna mancanza, dal momento che egli non poteva aspettarsi tali carenze in tutto il sistema antiriciclaggio della A. . Inoltre, tali accertamenti dimostrerebbero, qualora dovessero essere constatate delle mancanze da parte del ricorrente, l'assenza del requisito della gravità di quest'ultime. Infatti, le suddette carenze strutturali dovrebbero essere prese in considerazione, in quanto contribuirebbero a mitigare e ad alleviare un'eventuale mancanza del ricorrente. Pertanto, andrebbe verificata l'arbitrarietà della decisione impugnata, in considerazione del fatto che la FINMA avrebbe omesso di considerare quanto da lei già accertato nell'ambito della decisione contro la Banca.
L'autorità inferiore è invece dell'avviso che i documenti prodotti dal ricorrente in sede di ricorso non riguarderebbero la presente procedura, e, ad
ogni modo, avrebbero già fatto parte del procedimento di enforcement, in quanto già inoltrati nell'ambito di quest'ultimo.
Secondo l'art. 12 PA, l'autorità accerta d’ufficio i fatti e si serve, se necessario, dei seguenti mezzi di prova: documenti (lett. a); informazioni delle parti (lett. b); informazioni o testimonianze di terzi (lett. c); sopralluoghi (lett. d); perizie (lett. e).
Giusta l'art. 32 cpv. 1 PA, prima di decidere, l’autorità apprezza tutte le allegazioni rilevanti prodotte dalla parte in tempo utile. Le osservazioni tardive delle parti che sembrano essere decisive possono essere prese in considerazione nonostante il ritardo (cpv. 2). L'obbligo dell'esame delle allegazioni presentate, che scaturisce dal diritto di essere sentito, riguarda le osservazioni significative circa il procedimento e il merito. Di conseguenza, il termine "produrre" comprende le affermazioni di fatto, le prove presentate e le allegazioni giuridiche delle parti come delle richieste giuridiche, le eccezioni e le obiezioni (cfr. sentenza del TAF B-6791/2009 dell'8 novembre 2010 consid. 5.3.1; WALDMANN/BICKEL, in: Praxiskommentar VwVG, art. 32 n° 6). L'obbligo richiede che l'autorità ascolti effettivamente le osservazioni della persona toccata dalla decisione nella sua posizione giuridica, le esamini attentamente e seriamente e le lasci confluire nel processo decisionale, nella misura in cui sono pertinenti (cfr. DTF 137 II 266 consid. 3.2; DTAF 2013/46 consid. 6.2.3; WALDMANN/BICKEL, in: Praxiskommentar VwVG, art. 32 n° 18). L'obbligo di considerare l'offerta di prova è regolato dall'art. 33 PA.
L'art. 33 cpv. 1 PA stabilisce che l'autorità ammette le prove offerte dalla parte se paiano idonee a chiarire i fatti. L'obbligo di assumere prove è correlato al diritto della persona interessata di farne richiesta e di farle assumere. Il dovere di assumere prove esiste a condizione che le prove siano richieste nella forma e nel tempo dovuti, che la richiesta di prove sia pertinente e che le prove offerte siano ammissibili. Le prove devono riferirsi a una circostanza giuridicamente rilevante ed essere idonee a provarla. Anche se tutti i requisiti formali e materiali dell'obbligo di assunzione delle prove sono soddisfatti, l'autorità può astenersi dall'assumerle se i fatti giuridicamente rilevanti sono già stati sufficientemente chiariti (valutazione anticipata delle prove; cfr. DTF 141 I 60 consid. 3.3; WALDMANN/BICKEL, in: Praxiskommentar VwVG, art. 32 n° 21 e seg.).
Nell'ambito di una procedura dinanzi alla FINMA, il diritto di essere sentiti (art. 29 PA), con tutti i suoi aspetti, è disciplinato dalle disposizioni della PA (art. 53 LFINMA).
Il procedimento di enforcement deve rispettare le garanzie legali. Se è strutturato come una procedura complessiva (cfr. consid. 3.3), come nel caso in specie, deve essere rispettato il concetto procedurale della crescita in giudicato e della sua portata. Nella sentenza DTF 142 II 243, il Tribunale federale conclude che, la decisione che arriva alla constatazione di una violazione degli obblighi nel procedimento contro un assoggettato alla vigilanza sui mercati finanziari, non può essere utilizzata contro una persona fisica che lavora o ha lavorato per quest'ultimo. L'effetto vincolante è limitato alle decisioni tra le stesse parti (vincolo inter partes). In questo senso, la violazione dei suoi obblighi da parte della Banca, è una questione preliminare che riguarda un rapporto giuridico pregiudizievole di un terzo. Tuttavia, la questione preliminare è valutata secondo l'oggetto del contenzioso. La fattispecie del divieto di esercizio della professione è data, se una persona, attraverso il suo comportamento individuale, provoca in modo causale e colposo una grave violazione delle disposizioni di sorveglianza da parte della persona assoggettata a vigilanza (cfr. DTF 142 II 243 consid. 2.2). La grave violazione delle disposizioni di vigilanza costituisce un elemento di fatto. Ciò significa, da un lato, che i fatti rilevanti possono essere oggetto di prova nel procedimento contro la persona fisica e che l'autorità amministrativa deve stabilire i fatti. Tuttavia, significa anche che la decisione deve contenere una corrispondente motivazione (art. 35 PA). Poiché la persona fisica non è stata parte del procedimento contro l'assoggettato a sorveglianza, la decisione non può esserle obiettata dal punto di vista del passaggio in giudicato, vista l'assenza della qualità di parte (cfr. DTF 142 II 243 consid. 2.3). Il diritto di essere sentito, sancito dall'art. 29 e segg. PA, è violato se l'autorità inferiore non esamina delle allegazioni con la motivazione che la violazione dei propri obblighi da parte dell'assoggettato a vigilanza è già stata legalmente stabilita, il che equivale a un diniego formale di giustizia. La violazione del diritto di essere sentito porta, inoltre, ad una determinazione incompleta dei fatti, se i fatti giuridicamente rilevanti non emergono dalla decisione (cfr. DTF 142 II 243 consid. 2.4).
Nella procedura complessiva, il procedimento principale riguardante la banca sorvegliata si basa su atti procedurali propri e non per forza sui medesimi del procedimento contro la persona fisica, in quanto non si tratta della stessa cosa. Se l'autorità inferiore sceglie di condurre una procedura
complessiva, come nel caso in specie, essa non è tenuta a consultare l'intero incarto del procedimento contro la banca sorvegliata nel procedimento contro il ricorrente (cfr. sentenza del TAF B-686/2016 dell'11 giugno 2018 consid. 7.3; FRIEDMANN/KUHN/SCHÖNKNECHT, in: SGHB, § 12 n° 69 e seg.).
Poiché i rinvii non possono sostituire i necessari accertamenti fattuali della grave violazione in materia di vigilanza, l'estensione della crescita in giudicato porta ad un accertamento incompleto dei fatti. Una decisione amministrativa non è adatta a provare un fatto processualmente accertato nei confronti di terzi. Anche in caso di identicità delle parti, l'effetto del valore legale in termini di fatto si estende solo all'oggetto della controversia e non agli elementi della motivazione (cfr. sentenza del TF 1P.706/2003 del 23 febbraio 2004 consid. 2.6). Quindi, nella presente procedura, la decisione contro la banca non può sostituire delle constatazioni di fatto.
Pertanto, nella fattispecie, il fatto che la FINMA non riprenda tutti gli elementi analizzati ed esposti nella decisione contro la Banca, bensì esponga nuovamente come quest'ultima abbia violato i propri obblighi e analizzi in quale misura il ricorrente ne sia responsabile, non rappresenta un abuso di diritto, come invece sostenuto dal ricorrente. Al contrario, la FINMA ha rispettato quanto stabilito dalla giurisprudenza del Tribunale federale.
Infine, in virtù di quanto precede, né la FINMA né il Tribunale sono vincolati da quanto accertato nelle procedure penali sopracitate, conclusesi con dei crediti di archiviazione emanati dal MPC, o oggetto della sentenza del Tribunale penale federale del 18 ottobre 2018.
Il ricorrente afferma che "nel rispetto del principio della parità delle armi, fra I'Amministrazione statale, da una parte, e I'assoggettato alla vigilanza della FINMA, dall'altra parte, quest'ultimo deve poter disporre di tutti gli accertamenti fattuali dei quali dispone la FINMA. A questi accertamenti appartengono tutti quelli che sono contenuti negli atti dei procedimenti penali sia del Dipartimento federale delle finanze come pure nelle relative comunicazioni da parte della FINMA, sia al Dipartimento federale delle finanze sia al MPC" (replica marg. 19). Il ricorrente, consapevole dei limiti imposti dalla procedura e dal segreto d'ufficio, sostiene di non aver chiesto l'accesso a tutti gli atti dei relativi procedimenti penali e amministrativi condotti contro la Banca, bensì esclusivamente agli atti secondo i quali sarebbe stata accertata l'esistenza di carenze strutturali nel sistema antiriciclaggio
della Banca. Il ricorrente richiede segnatamente che, poiché da parte della FINMA si insisterebbe sulle conseguenze disciplinari a suo carico, vengano messi a disposizione tutti i documenti riguardanti le responsabilità dei membri del Consiglio di Amministrazione e dei responsabili pro-tempore del Servizio Compliance e legale. Ciò si giustificherebbe in particolare anche per il fatto che alcune di queste persone, dopo essersi allontanate dalla Banca, avrebbero potuto assumere funzioni di membro del Consiglio di Amministrazione in altre banche, senza nessuna restrizione, né temporale, né di altra natura da parte della stessa FINMA. Si dovrebbe pertanto verificare il rispetto o meno del principio della parità di trattamento, nonché l'arbitrarietà della decisione impugnata.
Tuttavia, la FINMA si limiterebbe ad affermare che tali documenti non avrebbero funto da mezzi di prova nella presente procedura e che la richiesta del ricorrente sarebbe strumentale ad altri utilizzi. Circa l'affermazione della FINMA, secondo la quale il ricorrente non si sarebbe licenziato dalla Banca una volta scoperte le violazioni da essa commesse, il ricorrente dichiara che sarebbe opportuno se la FINMA mettesse a disposizione tutta la corrispondenza intrattenuta con il CdA della Banca e le relative note di colloqui telefonici e di conferenze personali, dalle quali emergerebbero i reali motivi per i quali la Banca avrebbe deciso solo nel 2017 di scegliere il ricorrente come capro espiatorio.
In discussione è quindi, da un lato, la questione se e, in caso affermativo, in quale misura l'autorità inferiore sia obbligata a consentire l'accesso agli atti in un procedimento successivo a quello principale e, dall'altro, il diritto della persona fisica all'accesso agli atti di un procedimento condotto contro altre persone responsabili, sia, come in questo caso, agli atti di un procedimento riguardante l'istituto bancario sottoposto a vigilanza, sia agli atti di un procedimento di un'altra persona fisica.
L'art. 26 cpv. 1 PA prevede che nella sua causa, la parte o il suo rappresentante ha il diritto di esaminare alla sede dell’autorità che decide o di una autorità cantonale, designata da questa, gli atti seguenti: le memorie delle parti e le osservazioni delle autorità (lett. a); tutti gli atti adoperati come mezzi di prova (lett. b); le copie delle decisioni notificate (lett. c). Il principio dell'esame degli atti prevede le eccezioni fissate all'art. 27 PA, secondo il cui cpv. 1, l'autorità può negare l’esame degli atti solamente se: un interesse pubblico importante della Confederazione o del Cantone, in particolare la sicurezza interna o esterna della Confederazione, esiga l’osservanza del segreto (lett. a); un interesse privato importante, in particolare di una controparte, esiga l'osservanza del
segreto (lett. b); l’interesse di un'inchiesta ufficiale in corso lo esiga (lett. c). Il cpv. 2 precisa che il diniego d'esame dev'essere ristretto agli atti soggetti a segreto. Infine, il cpv. 3 stabilisce che ad una parte non può essere negato l’esame delle sue memorie, dei documenti da essa prodotti come mezzi di prova e delle decisioni notificatele; l’esame dei processi verbali delle sue dichiarazioni le può essere negato soltanto fino alla chiusura dell’inchiesta.
Nella sua causa, la parte o il suo rappresentante ha il diritto di esaminare alla sede dell’autorità che decide o d’una autorità cantonale, designata da questa, gli atti indicati all'art. 26 cpv. 1 PA. Si tratta di atti e documenti che appartengono al rispettivo caso. Il diritto di accesso agli atti si riferisce solo al rispettivo caso e non oltre (cfr. sentenza del TAF B-686/2016 dell'11 giugno 2018 consid. 7.3 con rinvii). Il diritto presuppone che le autorità tengano un incarto e ciò rappresenta anche una condizione indispensabile per l'esercizio del diritto di essere sentiti (cfr. DTF 142 I 86 consid. 2.2; 132 V 387 consid. 3.1; WALDMANN/OE-
SCHGER, in: Praxiskommentar VwVG, art. 26 n° 6). L'accesso agli atti è legato sul piano personale, alla qualità di parte nel procedimento, poiché la "parte o il suo rappresentante ha diritto" all'accesso agli atti relativi al suo caso (art. 26 cpv. 1 PA). In linea di principio, solo le parti hanno tale diritto (cfr. DTF 139 II 279 consid. 2.2). Terzi hanno solo in casi eccezionali il diritto di consultare i dossier. A tal proposito si richiede che possano dimostrare in modo credibile un interesse particolarmente degno di protezione (cfr. sentenza del TAF B-686/2016 dell'11 giugno 2018 consid. 7.3 con rinvii).
Nella misura in cui la FINMA non ha consultato gli atti del procedimento contro la Banca e non era tenuta a farlo, il ricorrente ha un diritto di accesso agli atti solo a condizione che possa dimostrare in modo credibile un interesse particolare degno di protezione (art. 29 cpv. 2 Cost., cfr. WALDMANN BERNHARD/OESCHGER MAGNUS, VwVG - Praxiskommentar Verwaltungsverfahrensgesetz, 2a ed., 2016, pag. 554 e segg.). Il diritto di ispezionare gli atti può derivare da questo interesse. L'interesse è dato se si può dimostrare in modo credibile che gli atti sono adatti come prova a favore o contro una grave violazione delle disposizioni di vigilanza da parte della Banca.
Invece, qualora l'autorità inferiore abbia consultato o abbia dovuto consultare gli atti del procedimento contro la Banca (indagine congiunta), il ricorrente ha un diritto di accesso senza alcuna condizione particolare. L'ac-
cesso può essere rifiutato solo ai sensi dell'art. 27 PA. Il rifiuto è ammissibile solo per motivi di prevalenti interessi pubblici o privati alla segretezza (art. 27 cpv. 1 lett. a-b PA). Il diritto di consultazione non può essere rifiutato con la motivazione che gli atti in questione non sono rilevanti per la fattispecie, perché la valutazione della rilevanza dei medesimi deve essere lasciata alla parte (cfr. sentenza del TAF B-686/2016 dell'11 giugno 2018 consid. 7.3 con rinvii).
9.4 Nella fattispecie, il ricorrente ha qualità di parte nella procedura di enforcement diretta contro di lui (art. 6 PA). Invece, rispetto ai fascicoli redatti nel procedimento principale contro la Banca e nei procedimenti contro altri responsabili, egli ha una posizione di terzo, in quanto non era parte di questi procedimenti (cfr. DTF 142 II 243 consid. 2.3 in fine). Il ricorrente non fa valere in maniera credibile un interesse particolarmente degno di protezione per quanto concerne l'accesso agli atti di questi provvedimenti. Pertanto, un suo diritto di consultazione in tal senso deve essere negato.
A questo punto, è necessario esaminare se i fatti pertinenti identificati dall'autorità inferiore costituiscono una violazione del diritto di vigilanza (cfr. consid. 11), e poi se le violazioni in questione devono essere classificate come gravi (cfr. consid. 12). In seguito, andrà esaminato se la condotta individuale del ricorrente ha contribuito in modo colpevole e causale alle violazioni commesse dalla Banca (cfr. consid. 13).
Violazioni da parte della Banca
In sintesi, secondo la FINMA, la Banca avrebbe violato i vari obblighi di chiarimento (vedi consid. 11.2.1.1-11.2.1.3 e 11.2.2), non identificando correttamente l'avente diritto economico (in seguito: ADE) delle relazioni e gestendo così dei conti di F. (in seguito: F. _) sotto mentite spoglie fino a luglio 2019; l'obbligo di comunicazione a MROS (vedi consid. 11.2.1.5); dell'obbligo di allestimento e conservazione dei giustificativi necessari alle transazioni effettuate (art. 7 LRD; vedi consid. 11.2.1.4); il proprio obbligo di allestimento di un efficace sistema di controllo interno e di un'adeguata gestione dei rischi (vedi consid.11.2.3 e 11.2.3.1); nonché della garanzia di un'attività irreprensibile (vedi consid. 11.2.3 e 11.2.3.2).
Nella decisione impugnata, la FINMA riassume quanto constatato nella decisione contro la Banca, ovvero "la FINMA ha constatato che, a seguito delle inadempienze appurate nell'identificazione, rispettivamente limitazione e sorveglianza dei rischi, nonché delle violazioni degli obblighi di di-
ligenza generali e particolari in materia di riciclaggio constatate tanto all'a- pertura delle relazioni quanto nell'aggiornamento dei KYC e/o nella sorveglianza delle relazioni a rischio superiore (sia per quanto riguarda le 83 relazioni legate allo scandalo Petrobras in cui sono emerse diffuse criticità che per quanto attiene ad altre relazioni analizzate dall'incaricato dell'inchiesta pressa la Banca), A. ha ripetutamente violato gravemente gli obblighi di diligenza che le incombevano in materia di lotta al riciclaggio di denaro e di allestimento e conservazione dei documenti, il principio dell'adeguata gestione dei rischi e la garanzia di un'attività irreprensibile" (decisione impugnata marg. 37).
Nel 2004, A. ha acquisito G. (Suisse) e con lei un pac- chetto di clientela sudamericana, seguita dal funzionario C. . La DG ha deciso allora di provare a sviluppare il mercato latino-americano, progetto affidato alla coordinazione del suo membro X. (cfr. incarto dell'autorità inferiore, alleg. "Rapporto del 29 maggio 2017 dell'incaricato d'inchiesta" pag. 1-278 e segg.).
Nel 2006, la Banca ha aperto un ufficio di rappresentanza a Montevideo (Uruguay), sotto la sorveglianza del ricorrente. Nell'ambito delle sue indagini, la FINMA è arrivata a constatare che nel corso del medesimo anno, al fine di acquisire come clienti della Banca alcuni membri della famiglia H. , C. ha presentato al ricorrente due dipendenti del dipartimento finanziario della filiale della società H. SA, ovvero la F. , entrambe con sede principale in Brasile. Per le relazioni aperte
presso la Banca per conto di H.
(segnatamente I. ,
L. , M. . e N. ), non risultava fino al 5 luglio 2009 la F. come ADE, bensì altre persone. Tali relazioni rappresentavano dei conti di passaggio su cui far transitare per brevi periodi denari destinati ad altre controparti e dagli scambi di corrispondenza risulta che C. e il ricorrente ne fossero a conoscenza (cfr. incarto dell'autorità inferiore, alleg. "Rapporto del 29 maggio 2017 dell'incaricato d'inchiesta" pag. 1-085 e seg., 1-291 e seg., "lntervista del 9 febbraio 2017 a X. ", alleg. al Rapporto C.11.1-24 a C.11.1-35).
Nel 2008 C.
ha informato il ricorrente che alcune società del
gruppo H. erano già state coinvolte in procedimenti penali per titolo di corruzione in Ecuador, dove erano stati arrestati alcuni alti dirigenti
e sequestrati USD 800 milioni. Il 30 luglio 2009, il medesimo ha comunicato al ricorrente di aver modificato i formulari A per tutte le relazioni aperte nel frattempo, indicando quale ADE la F. , senza ricevere alcuna reazione dal ricorrente (cfr. decisione impugnata marg. 24; incarto dell'autorità inferiore, alleg. "Rapporto del 29 maggio 2017 dell'incaricato d'inchiesta" pag. 1-089 e segg., "Intervista del 20 aprile 2017 a X. ").
In seguito ad un viaggio in Brasile nel 2009, al quale hanno preso parte sia
C.
che il ricorrente, nonché il CEO della Banca, nel 2010
C. ha messo in contatto il ricorrente e il CEO di A. anche con O. , gestore indipendente in Brasile, grazie al quale sono state introdotte in Banca quali clienti anche le controparti del Gruppo H. .
Nel novembre 2010 e stata così aperta presso A.
la relazione
P. SA, il cui ADE era Q. , direttore esecutivo della società brasiliana statale R. SA, che ha dato inizio allo scandalo Petrobras/Lava Jato (cfr. decisione impugnata marg. 25; incarto dell'autorità inferiore, alleg. al Rapporto C.12.13 e segg.).
Nel febbraio del 2014, in seguito alle lamentele di un cliente, la DG ha ispezionato per il tramite della Revisione interna gli uffici del Team Emerging Markets (in seguito: Team EM, di cui il ricorrente era il responsabile all'e- poca), trovando diversi formulari A e numerose procure e fascicoli di apertura firmati in bianco e non compilati. Nell'aprile 2014, senza formulare alcun divieto o proporre al Presidente della DG alcuna misura disciplinare nei confronti del personale coinvolto, il ricorrente si è limitato a chiedere a C. di inoltrare la documentazione necessaria, aggiungendo che sarebbe potuto essere utile un po’ di formazione relativa alle formalità di apertura (cfr. decisione impugnata marg. 27; incarto dell'autorità inferiore, alleg. "Rapporto del 29 maggio 2017 dell'incaricato d'inchiesta" pag. 1-086 e segg.).
II 21 luglio 2014, il Legal & Compliance Office (in seguito: l'ufficio L&C) ha prodotto un rapporto dal quale è emersa una situazione preoccupante, ovvero gravi lacune e manchevolezze tanto nei profili KYC quanto nei chiarimenti Know your transactions (in seguito: KYT), constatando rilevanti movimenti di denaro in/out in un arco temporale ridotto (e ciò in contrasto con la strategia della Banca volta al private banking). Dall'agosto 2014, il ricorrente è stato sostituito nella sua funzione di Responsabile della Divisione 1 da S. , con l'incarico di risanare la situazione. Nel marzo 2015, la Banca ha segnalato a MROS varie relazioni aventi quali ADE H. . Con lettera del 28 settembre 2015, la Banca ha licenziato con effetto immediato C. per le criticità notificate e non sanate, ma soprattutto
per il motivo che, a seguito del procedimento penale in Brasile contro Q. , condannato dalle autorità brasiliane per riciclaggio e partecipazione ad un'organizzazione criminale, sarebbero stati acquisiti nuovi e gravi elementi che proverebbero la totale mancanza di diligenza e di doveri di lealtà nei confronti del datore di lavoro (cfr. decisione impugnata marg. 31; incarto dell'autorità inferiore, alleg. "Rapporto del 29 maggio 2017 dell'incaricato d'inchiesta" pag. 1-089 e segg.).
Nell'ambito del rapporto "Brazil Case" del 31 maggio 2016, condotto dal Comitato di Audit, è stato ritenuto che il ricorrente avrebbe violato i suoi obblighi di Responsabile della Divisione 1, sorvegliando in maniera insufficiente l'agire di C. (cfr. decisione impugnata marg. 32; cfr. incarto del ricorrente, alleg. 4).
Con decisione del 7 giugno 2016, il CdA di A. ha rimosso il ricorrente dalla carica di membro della Direzione Generale Responsabile della Divisione 1 Private Banking & Asset Management per fargli assumere la posizione di Responsabile dello sviluppo della clientela privata. Con lettera del 22 febbraio 2017, A. ha infine comunicato al ricorrente la decisione di sospenderlo dal servizio a fronte dei nuovi elementi emersi dalla procedura di enforcement, rescindendo due giorni dopo (24 febbraio 2017) con effetto immediato il suo contratto di lavoro (cfr. decisione impugnata marg. 35).
Gli obblighi di diligenza imposti agli intermediari finanziari sono descritti nella LRD (versione in vigore fino al 31 dicembre 2015), nell'ORDFINMA 1 (versione in vigore dal 1° luglio 2003 al 31 dicembre 2010), nonché nella vORD-FINMA (versione in vigore dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2015).
Per combattere il riciclaggio di denaro e garantire la diligenza nelle transazioni finanziarie, la LRD impone agli intermediari finanziari diversi obblighi di diritto pubblico, tra cui gli obblighi di diligenza (cfr. artt. 3-8 LRD), da un lato, e gli obblighi in caso di sospetto di riciclaggio di denaro (cfr. artt. 9-11 LRD) dall'altro lato.
un'operazione di cassa di valore rilevante secondo l'art. 3 cpv. 2 (lett. c). Se nel corso della relazione d'affari sorgono dubbi in merito all'identità della controparte o dell'ADE, l'intermediario finanziario deve procedere nuovamente ad un'identificazione o ad un accertamento conformemente agli artt. 3 e 4 (art. 5 cpv. 1 LRD).
Oltre a ciò, l'intermediario finanziario deve identificare l'oggetto e lo scopo della relazione d'affari auspicata dalla controparte. L'estensione delle informazioni da raccogliere è in funzione del rischio rappresentato dalla controparte (art. 6 cpv. 1 LRD). Egli deve chiarire le circostanze e lo scopo di una transazione o di una relazione d'affari, se la transazione o la relazione d'affari appare inusuale, a meno che la sua legalità sia manifesta (art. 6 cpv. 2 lett. a), se vi sono sospetti che i valori patrimoniali provengano da un crimine, sottostiano alla facoltà di disporre di un'organizzazione criminale (art. 260ter cpv. 1 CP) o servano al finanziamento del terrorismo (art. 260quinquies cpv. 1 CP; [art. 6 cpv. 2 lett. b LRD]).
Le operazioni presentano particolari rischi di riciclaggio, ad esempio, quando la loro costruzione indica una finalità illecita, quando la loro finalità economica non è riconoscibile, quando appaiono economicamente assurde, o quando non sono compatibili con le informazioni e le esperienze dell'intermediario finanziario riguardanti il cliente o la finalità del rapporto d'affari. Deve altresì essere considerato come sospetto qualsiasi cliente che fornisca informazioni false o fuorvianti all'intermediario finanziario, o che, senza un motivo plausibile, rifiuti di fornirgli le informazioni e i documenti necessari, ammessi dall'esercizio dell'attività in questione. L'intermediario finanziario deve chiedere al contraente di fornire informazioni che chiariscano eventuali situazioni insolite, o dissipino ogni ragionevole dubbio. Egli deve ottenere le informazioni, di cui deve verificare la plausibilità e che gli consentono di avere una comprensione sufficiente dei retroscena, nonché del contesto economico delle transazioni. Pertanto, egli non può accettare una spiegazione qualsiasi da parte del suo contraente e, nonostante il rapporto di fiducia che ha con il proprio cliente, deve procedere, con spirito critico, ad un esame della verosimiglianza delle sue dichiarazioni. Il grado di tale analisi dipende in particolare dalla natura della relazione d'affari come pure dalle ragioni che hanno portato alla chiarificazione. Ciò deve riguardare, in particolare, la fonte dei fondi depositati, l'attività professionale o commerciale del contraente e la sua situazione finanziaria (cfr. DTF 136 IV 188 consid. 6.3.1 con rinvii; sentenza del TAF B-3625/2014 del 6 ottobre 2015 consid. 6.2.2).
Ai sensi dell'art. 6 cpv. 2 lett. b LRD, sono sufficienti dei leggeri dubbi perché l'intermediario finanziario debba effettuare dei chiarimenti supplementari (cfr. sentenza del TAF B-6815/2013 del 10 giugno 2014 consid. 4.2; WERNER DE CAPITANI, in: Kommentar Einziehung, Organisiertes Verbrechen, Geldwäscherei, vol. II, 2002, art. 6 marg. 156 e segg.).
Oltre all'obbligo di chiarire l'intermediario finanziario ha anche l'obbligo di documentare (cfr. sentenza del TAF B-7096/2013 del 16 novembre 2015 consid. 5.1; CAPITANI, op. cit., Introduzione al cap. 2, marg. 21). In tal senso l'intermediario finanziario deve allestire i documenti relativi alle transazioni effettuate e ai chiarimenti previsti dalla LRD in modo da consentire a terzi con competenze specifiche di formarsi un giudizio attendibile sulle transazioni e sulle relazioni d'affari come pure sull'ottemperanza alle disposizioni della LRD (art. 7 cpv. 1), nonché conservare i documenti in modo da soddisfare entro un congruo termine eventuali richieste di informazioni e di sequestro da parte delle autorità di perseguimento penale (cpv. 2), ovvero per almeno dieci anni a contare dalla cessazione della relazione d'affari o dalla conclusione della transazione (cpv. 3). Le informazioni possono essere raccolte per iscritto o oralmente (art. 15 cpv. 1 lett. a vORD-FINMA, nonché art. 18 cpv. 1 lett. a ORD-FINMA). Tuttavia, l'intermediario finanziario deve verificare la plausibilità dei risultati delle chiarificazioni e documentarli. Pertanto, le informazioni risultanti dalle indagini devono essere annotate e conservate per iscritto. I documenti devono, quindi, consentire la tracciabilità di ogni singola transazione (cfr. sentenza del TAF B-7096/2013 del 16 novembre 2015 consid. 5.1 con rinvii).
Gli obblighi in caso di sospetto comprendono, ai sensi dell'art. 9 LRD, che l'intermediario finanziario dia senza indugio comunicazione al MROS secondo l'art. 23 LRD, se (lett. a) sa o ha il sospetto fondato che i valori patrimoniali oggetto di una relazione d'affari (punto 1) sono in relazione con un reato ai sensi degli articoli 260ter cpv. 1 o 305bis CP, (punto 2) provengono da un crimine, (punto 3) sottostanno alla facoltà di disporre di un'organizzazione criminale, o (punto 4) servono al finanziamento del terrorismo (art. 260quinquies cpv. 1 CP); (lett. b) interrompe le trattative per l'avvio di una relazione d'affari a causa di un sospetto fondato di cui alla lett. a.
A tal proposito, i beni derivanti da un reato sono in particolare beni ottenuti attraverso un reato ai sensi dell'art. 10 cpv. 2 CP (cfr. DTF 126 IV 255 consid. 3a con rinvii). Un sospetto è considerato fondato se è basato su un'informazione concreta, o su più indizi che indicano un'origine criminale dei beni (cfr. sentenza del TF 4A_313/2008 del 27 novembre 2008 consid. 4.2.2.3). Se l'intermediario finanziario è concretamente a conoscenza del fatto che sia stata avviata contro il proprio cliente una procedura penale per un reato grave e che i valori patrimoniali in questione potrebbero essere collegati a tale reato, deve di regola optare per la comunicazione ai sensi dell'art. 9 LRD (cfr. CARLO LOMBARDINI, Banques et blanchiment d'argent, 2a ed., 2013, marg. 501 e seg.). In caso di dubbio, l'intermediario finanziario deve sempre optare per una comunicazione ai sensi dell'art. 9 LRD. Quest'ultima deve essere fatta immediatamente, ovvero nel momento in cui si è venuti a conoscenza, o è stato comprovato il sospetto che nella relazione d'affari siano coinvolti beni con un retroscena illecito (cfr. per tutto la sentenza del TAF B-6815/2013 del 10 giugno 2014 consid. 4.3).
Inoltre, deve bloccare senza indugio i valori patrimoniali affidatigli che sono oggetto della comunicazione di cui all'art. 9 LRD (art. 10 LRD).
Infine, si considera che, secondo il Tribunale federale, gli obblighi imposti dalla LRD di cui sopra mettono l'intermediario finanziario in una situazione giuridica particolare. Essi, infatti, creano una posizione di garante, per la quale l'intermediario finanziario ha l'obbligo, nei limiti previsti dalla legge (artt. 3 a 10 LRD), di cooperare con le autorità competenti e può rendersi colpevole di riciclaggio di denaro, anche solo se non adempie a detti obblighi per omissione (cfr. DTF 136 IV 188 consid. 6.2.2 e 6.3.4).
dall'ORD-FINMA 1 (1° luglio 2003 – 31 dicembre 2010).
Secondo l'art. 12 vORD-FINMA (art. 7 ORD-FINMA 1), l'intermediario finanziario stabilisce criteri per il riconoscimento di relazioni d'affari che comportano rischi superiori (cpv. 1). In funzione dell'attività dell'intermediario finanziario entrano in considerazione segnatamente i criteri di cui al cpv. 2.
Le relazioni d'affari con persone esposte politicamente (in seguito: PEP) e quelle con banche estere per le quali un intermediario finanziario svizzero effettua operazioni quale banca corrispondente sono considerate in ogni caso a rischio superiore (cpv. 3). L'intermediario finanziario determina le
relazioni d'affari che comportano un rischio superiore conformemente ai cpv. 2 e 3 e le designa come tali per l'uso interno (cpv. 4).
Per PEP, ai sensi dell'art. 2 cpv. 1 lett. a vORD-FINMA (art. 1 lett. a ORD-FINMA 1), si intende:
le seguenti persone che occupano una funzione pubblica preminente all'estero: capi di Stato e di Governo, politici di alto rango a livello nazionale, alti funzionari dell'amministrazione, della giustizia, dell'esercito e dei partiti a livello nazionale, organi superiori delle imprese pubbliche d'importanza nazionale,
le imprese e persone che sono riconoscibilmente legate per motivi familiari, personali o d'affari alle persone sopra elencate.
Giusta l'art. 13 vORD-FINMA (art. 8 ORD-FINMA 1), l'intermediario finanziario stabilisce criteri per il riconoscimento di transazioni che comportano rischi superiori (cpv. 1). In funzione dell'attività dell'intermediario finanziario entrano in considerazione segnatamente i criteri di cui al cpv. 2. Sono considerate in ogni caso transazioni che comportano un rischio superiore le transazioni mediante le quali all'inizio di una relazione d'affari vengono fisicamente apportati valori patrimoniali per un controvalore superiore a fr. 100'000.– in una volta o in modo scaglionato (cpv. 3; inoltre, secondo l'art. 8 cpv. 3 lett. b ORD-FINMA 1 [e non presente nella vORD-FINMA], sono considerate in ogni caso transazioni che comportano un rischio superiore le transazioni che presentano un indizio di riciclaggio di denaro).
Conformemente all'art. 14 vORD-FINMA (art. 17 ORD-FINMA 1), l'intermediario finanziario procede, in misura proporzionata alle circostanze, a chiarificazioni complementari riguardanti le relazioni d'affari o le transazioni che presentano rischi superiori (cpv. 1). A seconda delle circostanze, occorre chiarire, giusta il cpv. 2, segnatamente (lett. a) se la controparte è l'ADE dei valori patrimoniali consegnati; (lett. b) qual è l'origine dei valori patrimoniali consegnati; (lett. c) a quale scopo i valori patrimoniali prelevati vengono utilizzati; (lett. d) il retroscena economico e la plausibilità di versamenti in entrata importanti; (lett. e) qual è l'origine del patrimonio della controparte e dell'ADE; (lett. f) qual è l'attività professionale o commerciale esercitata dalla controparte e dall'ADE; (lett. g) se la controparte o l'ADE è una persona politicamente esposta; e (lett. h) per le persone giuridiche: chi le controlla (inoltre, secondo l'art. 17 cpv. 2 lett. i ORD-FINMA 1 [e non presente nella vORD-FINMA], nelle relazioni con banche corrispondenti: quali controlli effettua la controparte per lottare contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo).
Secondo l'art. 16 vORD-FINMA (art. 20 ORD-FINMA 1), non appena i rischi superiori di una relazione d'affari diventano visibili, l'intermediario finanziario intraprende senza indugio i chiarimenti complementari e li porta a termine al più presto.
Ai sensi dell'art. 19 vORD-FINMA (art. 12 ORD-FINMA 1), l'intermediario finanziario provvede a un'efficiente sorveglianza delle relazioni d'affari e delle transazioni, assicurando che siano individuati i rischi superiori (cpv. 1). Per la sorveglianza delle transazioni l'intermediario finanziario secondo l'art. 3 cpv. 1 lett. a, ad eccezione degli istituti assicurativi, gestisce un sistema informatico che lo aiuti a rilevare le transazioni che comportano un rischio superiore secondo l'art. 13 (cpv. 2). Le transazioni rilevate dal sistema di sorveglianza informatico devono essere valutate entro un congruo termine. Se necessario, devono essere espletati i chiarimenti complementari di cui all'art. 14 (cpv. 3). Gli intermediari finanziari con un numero ristretto di controparti e ADE o quelli che effettuano un numero limitato di transazioni possono rinunciare all'uso di un sistema di sorveglianza delle transazioni se incaricano la loro società di audit di eseguire un controllo annuale sulla loro sorveglianza delle transazioni con assicurazione di grado elevato (cpv. 4).
A tenore dell'art. 25 vORD-FINMA (art. 11 ORD-FINMA 1), la lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo esige personale integro e adeguatamente formato (cpv. 1). L'intermediario finanziario provvede alla selezione accurata del personale e alla formazione regolare di tutti i collaboratori interessati sugli aspetti per loro essenziali della lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo (cpv. 2).
Le condizioni di cui all'art. 3 LBCR relative all'autorizzazione devono essere soddisfatte in qualsiasi momento (cfr. sentenza del TF 2C_163/2014 del 15 gennaio 2015 consid. 2.3).
Giusta l'art. 3 cpv. 2 lett. c LBCR, l'autorizzazione necessaria della FINMA (lett. a) è concessa se le persone incaricate dell'amministrazione e direzione della banca godono di ottima reputazione e garantiscono un'attività irreprensibile. Inoltre, giusta l'art. 3f cpv. 1 e 2 LBCR, il gruppo finanziario deve essere organizzato in modo da essere in grado, in particolare, di individuare, limitare e controllare tutti i rischi essenziali.
Al fine di poter meglio valutare quanto accaduto in seno alla Banca, è necessario comprendere la ripartizione dei compiti e delle responsabilità all'interno della Banca. Di centrale importanza nella struttura organizzativa della Banca sono soprattutto il Consiglio di Amministrazione (in seguito: CdA), la DG e l'ufficio L&C.
Fra gli altri compiti, il CdA è competente per la regolamentazione, l'istituzione, il mantenimento, la sorveglianza e la verifica dell'esistenza regolare di un sistema di controllo interno (in seguito: SCI) adeguato alla dimensione, alla complessità, alla struttura e al profilo di rischio della Banca. Le predette competenze sono in parte delegate al Comitato di Audit (in seguito: AC).
Alla DG sono attribuiti, tra gli altri, la regolamentazione, l'istituzione, il mantenimento, la sorveglianza e la verifica regolari dell'esistenza di un controllo intero adeguato alla dimensione, alla complessità, alla struttura e al profilo di rischio della Banca.
Al Presidente della DG/CEO, al quale sono subordinati gli altri membri della DG, incombe segnatamente la supervisione generale sulla con-
duzione e sull'andamento della Banca, la quale è suddivisa nelle quattro divisioni operative seguenti, ciascuna sotto la responsabilità di un membro della DG:
Private Banking & Asset Management (Divisione 1, nella quale si trova dal 1° marzo 2013 anche il Team EM che ha cambiato denominazione nel giugno 2015 diventando il Team LATAM affidato al ricorrente fino all'agosto 2014),
Corporate Banking (Divisione 2),
Operations, Organization & ICT (Divisione 3),
Financial & Risk Management e Compliance (definita Divisione 4 dal 2015).
All'ufficio L&C spetta il monitoraggio dei profili avente diritto economico (KYC) e delle transazioni (KYT), il quale effettua mensilmente, in modo mirato, dei controlli sulla completezza e la sostenibilità dei KYT come pure sulla loro conformità con i rispettivi KYC. L'ufficio L&C controlla a campione e se del caso interviene puntualmente presso il funzionario informandone il suo superiore diretto, che le giustificazioni portate a suffragio delle operazioni segnalate dal sistema siano tempestive e in linea con quanto richiesto dalla norma operativa. Di questa attività di controllo, l'ufficio L&C riferisce regolarmente alla DG. Dal settembre 2011, i responsabili dei team Private Banking e Corporate Banking hanno il compito di valutare mensilmente i KYT relativi a tutte le relazioni High Risk e con PEP. Dove necessario, devono effettuare un reporting al Capo Divisione.
Secondo il ricorrente, la FINMA non spiegherebbe come e perché sostenga il coinvolgimento della Banca e di membri dei suoi organi riguardo al flusso di averi patrimoniali che sarebbero provento di corruzione. La FINMA non sarebbe in grado di produrre nessuna prova al riguardo. Pertanto, non potrebbe trattarsi di averi patrimoniali provento di corruzione, perché questi sarebbero reperibili nei conti bancari intestati ai funzionari di Petrobras o a funzionari e responsabili politici. Nessuno di questi risulterebbe avere mai avuto conti presso la A. . Né risulterebbe alcun coinvolgimento del ricorrente nella gestione di fondi provento di corruzione.
Il medesimo afferma che non gli si potrebbe imputare di aver tollerato l'accensione e la persistenza di "conti di passaggio", in quanto la FINMA
stessa avrebbe constatato nella decisione contro la Banca che, nel periodo dal 2010 al 2015, i ricavi lordi generati dalle relazioni d'affari della Banca legati allo scandalo Petrobras si attestano a franchi svizzeri 2'518'968.–. A detta del ricorrente, i cosiddetti "conti di passaggio" non generano, per loro definizione e per loro fisiologia, ricavi né tantomeno ricavi dell'importo milionario suddetto. Inoltre, lo stesso C. avrebbe manifestato la propria soddisfazione per "il mantenimento" dei fondi di H. , il che confermerebbe il fatto che i suddetti conti venivano considerati da tutti come conti di gestione della tesoreria societaria.
L'affermazione della FINMA, secondo la quale il ricorrente avrebbe permesso che la F. fosse cliente dell'istituto bancario sotto mentite spoglie fino al luglio 2009, viene categoricamente smentita da quest'ultimo. Egli porta come motivazione il viaggio a San Paolo nel 2009, effettuato dal ricorrente e dal CEO della Banca. Ciò dovrebbe dimostrare il convincimento del CEO di voler acquisire il gruppo H. come cliente. Pertanto, non si potrebbe parlare di mentite spoglie.
Visto quanto precede, segnatamente del susseguirsi degli eventi sopra descritti (cfr. consid. 11.1) e di quanto fatto valere dal ricorrente, il Tribunale constata che quest'ultimo cita spesso nel suo ricorso la decisione contro la Banca, utilizzandola a sostegno dei propri argomenti. Egli non contesta le violazioni da parte della A. , nuovamente constatate nella decisione impugnata, bensì si limita a contestare qualsiasi rimprovero nei suoi confronti. Il ricorrente afferma a più riprese la totale mancanza di un coinvolgimento da parte sua in tali attività, ma soprattutto l'assenza del nesso di causalità tra il suo comportamento e quanto imputato alla Banca.
Risulta dagli atti e da quanto esposto sopra (cfr. consid. 11.1) che la Banca abbia agito indubbiamente troppo tardi rispetto alle esigenze dell'obbligo legale di identificare da subito l'oggetto, lo scopo e il retroscena dei conti e dell'ADE, non dando così prova dell'attitudine proattiva e dello spirito critico dovuti in materia di lotta contro il riciclaggio di denaro. Considerato che l'oggetto dell'obbligo di documentazione si basa sulle informazioni da raccogliere e le misure da adottare giusta gli obblighi di cui agli artt. 3-6 LRD e appurata la violazione di quest'ultime, nonché l'assenza delle necessarie informazioni, il Tribunale conclude che la A. ha violato anche l'obbligo di documentazione. È constatata, in virtù di quanto esposto sopra, anche l'insufficienza del sistema di controllo interno e di conseguenza l'i- nadeguata gestione dei rischi, utilizzata per di più come argomento principale da parte del ricorrente a giustificazione delle sue eventuali manchevolezze. Viste tali violazioni, ne consegue che le attività svolte dalla Banca
risultano insufficientemente irreprensibili. Pertanto, sussiste una violazione della garanzia di un'attività irreprensibile.
Resta da esaminare se le suddette violazioni debbano essere qualificate come gravi.
Il ricorrente non contesta in alcun modo la gravità delle violazioni commesse dalla Banca, anzi, basa buona parte della sua argomentazione in sua difesa, sulla mancata organizzazione e il disfunzionamento diffuso ed esteso a numerosi organi della A. riguardo agli obblighi antiriciclaggio e agli obblighi di vigilanza e di gestione del rischio. Il medesimo si limita ad argomentare l'assenza di un suo coinvolgimento o conoscenza di quanto accadeva in seno alla Banca.
L'espressione "grave violazione" costituisce un concetto giuridico indeterminato. Secondo la giurisprudenza, la gravità di una violazione deve essere commisurata principalmente in base a quanto richiesto dalla norma violata o non rispettata (ad es. dal grado della dovuta diligenza, dall'intensità del comportamento richiesto, ecc.), ossia dal grado di deviazione dal comportamento secondo normativa. In base al principio di proporzionalità, devono essere valutate l'intensità del comportamento deviante (violazione singola o ripetuta o addirittura continuata) e la motivazione del medesimo. Se la questione centrale rimproverata ad una parte in causa, come in parte nel caso di specie, consiste in un'omissione, va osservato che per le possibili misure prese dalla FINMA sono rilevanti esclusivamente le omissioni di azioni in violazione dei doveri ai sensi delle disposizioni di vigilanza. Di conseguenza, un'omissione può rappresentare una grave violazione di un obbligo di vigilanza solo se una persona sottoposta a vigilanza omette un atto richiesto dal diritto di vigilanza (cfr. DTF 142 II 243 consid. 3.1; sentenze del TAF B-4763/2017 del 29 giugno 2018 consid. 13.3 e B-5756/2014 del 18 maggio 2017 consid. 4.3 con rinvii; BÖSCH, BSK-FINMAG, art. 35 LFINMA n. 18).
Il ricorrente sembra confondere il requisito della gravità delle violazioni commesse dall'assoggettato a vigilanza e la misura in cui il suo comportamento ha contribuito a ciò. La condizione della gravità si riferisce alle violazioni commesse (cfr. consid. 2.1; DTF 142 II 243 consid. 2.3). Il fatto che ci siano altri organi e persone responsabili per le violazioni commesse non è in alcun modo atto a "scagionare" il ricorrente dalle proprie responsabilità. Le violazioni da parte della Banca sono state commesse in un lasso di
tempo piuttosto esteso (vari anni, cfr. fatti A) e ripetutamente, ciò che corrisponde ad una gravità elevata delle medesime.
Comportamento individuale del ricorrente
A questo punto, è necessario analizzare se il ricorrente abbia causato con il suo comportamento individuale le sopracitate violazioni da parte della Banca, in maniera colpevole e causale e se egli possa, dunque, essere ritenuto responsabile ai sensi dell'art. 33 cpv. 1 LFINMA.
Con osservazioni del 24 e del 27 aprile 2018, il ricorrente ha sostanzialmente contestato che una qualsivoglia violazione gli possa essere addebitata e ha pertanto chiesto che nessuna misura venga intrapresa nei suoi confronti, precisando che quanto descritto, tanto nella decisione contro A. quanto nel rapporto dell'incaricato dell'inchiesta del 29 maggio 2017 relativamente al suo comportamento, non sarebbe costitutivo di violazioni del diritto in materia di vigilanza, che non emergerebbe nessuna ragione (e prova) dagli atti per negargli la garanzia di un'attività irreprensibile. Dagli atti non trasparirebbe un comportamento da parte sua in violazione delle disposizioni di legge. Relativamente alle verifiche delle 40 relazioni scelte a campione dall'incaricato dell'inchiesta, il ricorrente ha precisato che le suddette non sarebbero state sottoposte alla sua vigilanza e che dunque non si potrebbe dedurre alcun indizio di violazione nei suoi confronti, ma che, anzi, si potrebbe concludere che l'intero sistema antiriciclaggio, il suo funzionamento e la vigilanza sul medesimo sarebbero stati insufficienti riguardo all'insieme della clientela della Banca e non solo quella connessa direttamente o indirettamente alla vicenda Petro-
bras/H. . Per di più, l'attività di C.
ricadeva solo da un
punto di vista amministrativo e commerciale sotto la sua responsabilità, mentre gli aspetti legati alla gestione del rischio, nonché alla legislazione antiriciclaggio, non gli incombevano.
Le verifiche di svariate operazioni segnalate dal sistema, le quali sarebbero state effettuate oltre i 14 giorni previsti dalla normativa interna, non potrebbero essere imputate al ricorrente, in quanto mancherebbe il nesso di causalità.
La FINMA avrebbe descritto nella decisione contro la Banca del 17 gennaio 2018 le carenze e le omissioni nel sistema di vigilanza antiriciclaggio, di vigilanza prudenziale e di vigilanza sui rischi all'interno della A. . Secondo tale descrizione, queste carenze sarebbero state importanti, diffuse presso numerosi organi e divisioni della Banca, si sarebbero protratte nel tempo per vari anni, avrebbero riguardato centinaia di transazioni per
centinaia di milioni complessivamente. In tal senso, il ricorrente afferma che "Di conseguenza, anche se X. avesse messo in atto quelle misure di vigilanza che nella decisione impugnata gli si rimprovera di non avere messo in atto, il risultato sarebbe stato il medesimo" (ricorso marg. 42).
Anche rispetto alle cosiddette "strutture opache", non comunicate dalla A. a MROS, il ricorrente afferma che anche se lui "avesse provveduto a segnalare le suddette strutture opache, malgrado ciò non rientrasse nei suoi compiti, ciò sarebbe stato inutile ai fini antiriciclaggio, dal momento che A. , comunque, anche quando ne ha avuto conoscenza e in tempi in cui i sospetti erano diventati colossali antiriciclaggio, era rimasta passiva" (ricorso marg. 44). Lo stesso varrebbe per le "mentite spoglie" circa la F. quale cliente della Banca. La FINMA avrebbe accertato la violazione dell'art. 9 LRD da parte di A. , la quale però non potrebbe essergli imputata, in quanto non vi sarebbero stati dei procedimenti penali da parte del Dipartimento federale delle finanze nei confronti del ricorrente per violazione di tale norma.
Per quanto concerne il rimprovero di non aver reagito ai numerosi indizi di riciclaggio nel 2014, ma soprattutto nel 2015 e nel 2016, il ricorrente sostiene che, anche se "avesse assolto quei doveri che nella decisione impugnata gli si rimprovera di avere negletto, all'interno di A. non sarebbe cambiato proprio nulla" (ricorso marg. 46).
ll ricorrente afferma che non potrebbe essergli imputata alcuna colpevolezza. A sostegno di ciò, egli riporta quanto scritto nel rapporto "Brazil case" del 31 maggio 2016 riguardo a C. , ovvero "the relationship manager Mr. C. was either unacceptably ignorant or almost willfully blind with regard to KYC/KYT when dealing with a number of Brazilian clients from 2006 to 2013, clients that have been involved in corrupt practices". Dunque, non potendo nemmeno concludere alla colpevolezza intenzionale di C. , la FINMA potrebbe ancor meno affermare quella del ricorrente, il quale avrebbe avuto, per di più, ancora meno informazioni all'epoca, di quelle alla base del suddetto rapporto (ricorso marg. 52-53).
Il ricorrente sarebbe stato legittimato a ritenere che tutta l'organizzazione e i processi di funzionamento di A. fossero performanti e funzionanti. Egli non avrebbe saputo, non avrebbe potuto sapere e immaginare che all'interno di A. , nel periodo in questione dal 2006 al 2013, esistessero carenze organizzative e di funzionamento cosi ampie, diffuse, persistenti e permanenti come descritte nella decisione contro la Banca.
Segnatamente per quanto concerne gli obblighi relativi al KYC, si sarebbe trattata di una competenza dell'ufficio L&C e il ricorrente non avrebbe avuto motivo di dubitare della sua organizzazione e funzionamento.
Il fatto che sia nel 2009 che nel 2010, il CEO della Banca fosse stato coinvolto nella visita agli uffici di H. a San Paolo e nella presentazione con O. (grazie al quale sarebbero state introdotte in Banca come clienti anche le controparti di H. ), il ricorrente sarebbe stato legittimato a ritenere che tutti gli organi della Banca, a partire dal CEO, approvassero e avessero verificato la legittimità delle relazioni d'affari intrattenute con le controparti di H. .
Il ricorrente elenca quali obblighi incombevano a quale organo di A. , indicando l'ufficio L&C come principale interessato. In tal senso, al ricorrente verrebbe addebitata una complicità nelle violazioni commesse, senza fare la medesima cosa con gli altri organi e membri di questi ultimi, invocando, quantomeno in maniera indiretta, una disparità di trattamento. Ad esempio, il mancato accertamento del reale cliente della Banca sarebbe spettato agli organi responsabili per le misure antiriciclaggio e non a lui. Anche per quanto concerne la classificazione delle relazioni d'affari con rischio basso/medio, tale compito non sarebbe spettato al ricorrente e, pertanto, non potrebbe essergli imputato.
A tal proposito va tenuto conto del fatto che una responsabilità ai sensi dell'art. 33 LFINMA può essere data sia in caso di intenzionalità che in caso di negligenza. Per poterla constatare, è necessario che sia possibile ricondurre ad un individuo i seguenti comportamenti: una violazione attiva del diritto della sorveglianza, un'attitudine passiva contraria ai propri doveri pur conoscendo le violazioni al diritto della sorveglianza o un'ignoranza colpevole delle violazioni commesse. Un'omissione può dare origine ad una grave violazione in materia di vigilanza solo se un istituto sottoposto a sorveglianza non ha commesso un atto richiesto dal diritto della sorveglianza; in tal caso l'omissione può dare origine ad un divieto di esercitare la professione. Dunque, è necessario che vi sia un nesso tra la violazione delle disposizioni e i compiti professionali esercitati dal responsabile.
La colpevolezza implica che una responsabilità individuale possa essere ascritta all'interessato, ossia che il comportamento contrario alle disposizioni legali gli possa essere personalmente attribuibile. Per di più, vi deve essere un nesso causale tra il comportamento individuale della persona in questione e le gravi violazioni di disposizioni legali in materia di
vigilanza (cfr. sentenze del TF 2C_422/2018 del 20 marzo 2019 consid. 2.4 e 2C_739/2015 del 25 aprile 2016 consid. 2.2).
Il campo d'applicazione personale dell'art. 33 LFINMA si estende alle persone attive nel settore della vigilanza della FINMA, per cui il divieto di esercizio secondo il diritto dei mercati finanziari può essere imposto anche dopo la fine del rapporto di lavoro con un istituto sottoposto a vigilanza (cfr. DTF 142 II 243 consid. 2.2 in fine). Secondo la chiara formulazione della disposizione, il divieto di esercizio può essere imposto anche a persone al di sotto della soglia di garanzia (cfr. Messaggio del 1° febbraio 2006 sulla LFINMA (FF 2005 2625, 2676 e seg.; sentenza del TAF B-686/2016 dell'11 giugno 2018 consid. 3.4 con rinvii). ll destinatario delle disposizioni di vigilanza è l'istituto vigilato (cfr. consid. 8.2.1). Tuttavia, poiché l'art. 33 LFINMA si basa su una norma di attribuzione, è irrilevante che il requisito di garanzia e di organizzazione si applichi alla banca e non alla persona fisica. È anche ininfluente che la persona responsabile della violazione del diritto di sorveglianza sia un garante o meno; per chiarire la responsabilità, non è decisivo che la persona in questione debba essa stessa fornire una garanzia, ma è sufficiente che abbia provocato con il suo comportamento individuale, in maniera causale e colpevole una grave violazione delle disposizioni del diritto di sorveglianza presso un ente sorvegliato (cfr. DTF 142 II 243 consid. 2.2 e seg.).
Nella fattispecie, il ricorrente ha svolto le sue attività in seno alla Banca, tra il 2006 e il 2016, in qualità di membro della DG, nonché di Responsabile della Divisione 1 Private Banking & Asset Management. Tra i suoi compiti e le sue mansioni rientravano, tre le altre, le seguenti:
In qualità di membro della DG, egli partecipava alla conduzione degli affari della Banca; rappresentava la Divisione 1 in seno alla DG; collaborava con i responsabili delle altre Divisioni, il CFO e il CRO alla risoluzione di problemi; sostituiva il Presidente della DG in caso di assenza; esercitava la supervisione sull'organizzazione della Segreteria della DG; favoriva lo scambio di informazioni all'interno della DG, tra le Divisioni e tra i colleghi subordinati.
In qualità di Responsabile della Divisione 1, egli era incaricato dell'elaborazione delle strategie di sviluppo della clientela privata e della loro implementazione; della supervisione e del coordinamento dell'attività di private banking; della supervisione sulle strutture responsabili della definizione e dell'attuazione della politica d'investimento.
Dal 2005 al 2016, il ricorrente è stato responsabile della Divisione 1 di A. , nella quale C. ha lavorato, dapprima nel Gruppo Private Banking (Capo gruppo: T. ), successivamente, nel 2011 e 2012, nel Private Banking I (Capo gruppo: U. ), dal 2013 direttamente subordinato al ricorrente nel Team EM (responsabile: il ricorrente) fino ad agosto 2014, ed in seguito subordinato al successore del ricorrente S. fino al 28 settembre 2015. Sia T. che U. erano sotto la responsabilità del ricorrente e in quanto tali, hanno dovuto talvolta verificare la plausibilità di alcuni dati o informazioni relative a dei clienti di C. , chiedendo all'occorrenza informazioni al ricorrente, il quale li avrebbe rassicurati (cfr. decisione impugnata marg. 16). Dunque, indipendentemente dal Capo gruppo, C. è sempre stato funzionalmente subordinato al ricorrente.
Il ricorrente è stato durante questo periodo responsabile gerarchico della conduzione e controllo delle unità operative presso le quali erano allocate le 83 relazioni del perimetro denominato Petrobras, fungendo da secondo funzionario (unitamente a C. che figurava quale primo funzionario) in 24 di queste relazioni (cfr. decisione impugnata marg. 38 e note di fondo).
È constatabile agli atti (cfr. incarto del ricorrente allegato 4, "rapporto Brazil case") l'esistenza al 31 dicembre 2014 di varie relazioni con delle caratteristiche simili: C. come primo funzionario e il ricorrente come secondo funzionario; come ADE figurava fino a luglio 2009 un'entità o una persona diversa da quella poi figurante in seguito (F. ); classificazione bassa/media nonostante dei movimenti in and out in termini di miliardi in totale. A titolo esplicativo e come illustrato nella decisione impugnata (marg. 39 e segg.), si notino le relazioni I. (movimenti in and out di oltre 250 milioni, con 91 operazioni segnalate dal sistema come a rischio superiore), L. (movimenti in and out di oltre 190 milioni, con oltre 70 operazioni), M. . (movimenti in and out di oltre 280 milioni), V. (movimenti in and out di oltre 400 milioni, con oltre 170 operazioni).
In merito alle operazioni segnalate dal sistema ed effettuate in ritardo, l'ufficio L&C ha indicato all'incaricato d'inchiesta che avrebbe periodicamente richiamato sia C. che il ricorrete (cfr. incarto dell'autorità inferiore, alleg. "Rapporto del 29 maggio 2017 dell'incaricato d'inchiesta" pag. 1-093 e segg.).
Visto quanto precede, risulta un nesso di causalità tra il comportamento del ricorrente e le gravi violazioni delle norme in materia di vigilanza da parte della A. . La sua condotta deve inoltre essere qualificata come colpevole, in quanto non è possibile parlare di negligenza o buona fede. Piuttosto, il ricorrente ha consapevolmente sostenuto le attività del suo subordinato C. , ha disatteso i suoi obblighi di Responsabile della Divisione 1, nonché di membro della DG della Banca, contribuendo così alle gravi violazioni delle disposizioni di vigilanza. Egli era o avrebbe dovuto essere, vista la sua posizione all'interno della Banca, sufficientemente a conoscenza delle violazioni e della gestione inadeguata del rischio in seno alla A. , e non ha fatto nulla al riguardo, in violazione del suo dovere (cfr. sentenza del TAF B-5041/2014 del 5 ottobre 2015 consid. 3.6.12). Come membro della DG aveva il compito di sorvegliare e verificare regolarmente l'esistenza di un controllo interno adeguato alla dimensione della Banca, mentre in qualità di Responsabile della Divisione 1, egli aveva la supervisione e il coordinamento dell'attività di private banking. Durante il periodo in questione, non vi era un'adeguata gestione del rischio e una struttura di controllo, come del resto affermato dal ricorrente, ma il cui rispetto era, tra gli altri, responsabilità del ricorrente. Quindi, un requisito per l'autorizzazione per il funzionamento della Banca, che doveva essere rispettato in ogni momento, non è stato soddisfatto. La condotta e la passività del ricorrente, dinanzi a quanto accadeva sotto la sua supervisione, ha messo significativamente in dubbio l'attività della Banca, in relazione al rispetto degli obblighi in materia di prevenzione antiriciclaggio.
Va da sé che il comportamento del ricorrente ha violato anche l'obbligo di un'ottima reputazione e un’attività irreprensibile, che egli era personalmente tenuto a rispettare in ogni momento (art. 3 cpv. 2 lett. c LBCR), mettendo così in pericolo i requisiti per l'autorizzazione della Banca (cfr. sentenza del TAF B-5041/2014 del 5 ottobre 2015 consid. 3.7).
Per di più, è fondamentale sottolineare che in discussione e problematico è il comportamento del ricorrente e non il risultato finale. Pertanto, l'affermazione del ricorrente, secondo cui il risultato non sarebbe cambiato anche qualora lui si fosse comportato in maniera diversa, non è adatta a relativizzare il ruolo che egli ha avuto e la gravità di ciò.
Per quanto concerne l'affermazione del ricorrente circa la disparità di trattamento subito, egli sembra voler censurare un’errata applicazione del principio della parità di trattamento nell’illegalità.
Secondo l'art. 8 cpv. 1 Cost., tutti gli esseri umani sono uguali davanti alla legge. Anche le persone giuridiche possono avvalersi di questo principio. Una decisione o un decreto viola il principio di uguaglianza sancito dall'art. 8 cpv. 1 Cost. se fa delle distinzioni giuridiche che non sono giustificate da alcun motivo ragionevole rispetto alla situazione di fatto da regolare, o se non fa delle distinzioni che sono necessarie in considerazione delle circostanze, cioè se ciò che è simile non viene trattato in modo identico e ciò che è dissimile non viene trattato in modo diverso. Il trattamento ingiustificatamente diverso o simile deve riguardare una situazione di fatto importante. La domanda se c'è un motivo ragionevole per una distinzione può avere una risposta diversa a seconda del periodo e delle idee prevalenti. Il legislatore ha un'ampia discrezionalità nel quadro di questi principi (cfr. DTF 142 I 195 consid. 6.1 con rinvii; sentenze del TAF A-4343/2018 dell'1° febbraio 2021 consid. 6.3 e B-5518/2016 del 10 luglio 2019 consid. 10).
Il diritto all’uguaglianza di trattamento nell’illegalità può essere ammesso in via eccezionale soltanto quando non in un caso isolato e neppure in alcuni casi, bensì secondo una prassi costante, un’autorità deroga alla legge e dà a vedere che anche in futuro non deciderà in modo conforme alla stessa (cfr. DTF 132 II 485 consid. 8.6 pag. 510; sentenza del TAF B-2961/2019
del 15 ottobre 2019 consid. 5.3.2).
Nel caso di specie, non solo le allegazioni del ricorrente sono prive di elementi sostanziali rispetto alla disparità di trattamento, ma per di più, in merito alla parità di trattamento nell’illegalità, non vi sono indicazioni secondo cui la FINMA non abbia più l'intenzione di perseguire chi adempie le condizioni di cui all'art. 33 LFINMA. Dunque, il ricorrente non può prevalersene.
Proporzionalità
Occorre, dunque, verificare se il divieto di esercizio in sé, e la sua durata di tre anni, corrispondano in concreto ai requisiti della proporzionalità, partendo dal presupposto che tale divieto, in quanto misura amministrativa costituisce una limitazione importante della libertà economica (art. 27 Cost.) del ricorrente (cfr. sentenza del TAF B-7062/2016 dell'8 dicembre 2017 consid. 9 con rinvii).
Secondo l'art. 5 della Costituzione federale della Confederazione Svizzera del 18 aprile 1999 (Cost., RS 101) il diritto è fondamento e limite dell’attività dello Stato. I requisiti alla base di un intervento nei diritti fondamentali risultano dall'art. 36 Cost. Le restrizioni dei diritti fondamentali devono avere una base legale. Se gravi, devono essere previste dalla legge medesima. Sono eccettuate le restrizioni ordinate in caso di pericolo grave, immediato e non altrimenti evitabile (art. 36 cpv. 1 Cost.). Le restrizioni dei diritti fondamentali devono essere giustificate da un interesse pubblico o dalla protezione di diritti fondamentali altrui (art. 36 cpv. 2 Cost.) ed essere proporzionate allo scopo perseguito (art. 36 cpv. 3 Cost.).
La LFINMA è una legge in senso formale che stabilisce l’organizzazione e gli strumenti di vigilanza della FINMA sui mercati finanziari ai sensi delle leggi sui mercati finanziari (art. 1 LFINMA). La FINMA esercita la vigilanza conformemente alle leggi sui mercati finanziari e alla LFINMA ed è competente per la loro esecuzione (art. 6 cpv. 1 in collegamento con l'art. 1 cpv. 1 e l'art. 56 LFINMA; cfr. sentenze del TAF B-686/2016 dell'11 giugno 2018 consid. 3.2 con rinvii). La Banca sottostà alla vigilanza sui mercati finanziari in quanto titolare di un'autorizzazione (art. 3 lett. a LFINMA in collegamento con l'art. 3 cpv. 1 LBCR). Le condizioni per l'ottenimento di un'autorizzazione, tra le altre l'esigenza di un'organizzazione proporzionata all'importanza degli affari e la garanzia di un’attività irreprensibile, devono essere permanentemente soddisfatte; la sorveglianza della FINMA è allestita come vigilanza continua.
L'art. 33. LFINMA è una disposizione giuridica generale e astratta in senso formale, sufficientemente definita (circa i requisiti per la determinatezza cfr. DTF 139 I 280 consid. 5.1). La determinatezza dal punto di vista personale risulta dall'attività della FINMA nell'ambito della vigilanza (cfr. MELANIE GOTTINI/HANS CASPAR VON DER CRONE, Berufsverbot nach Art. 33 FINMAG, in: SZW 2016, pagg. 640 e segg., 644). La determinatezza sotto il profilo sostanziale risulta dalle leggi sui mercati finanziari (nella fattispecie art. 1 cpv. 1 lett. d LFINMA in collegamento con art. 3 cpv. 2 lett. a e c, nonché art. 3f cpv. 1 e 2 LBCR [principio di un'adeguata gestione dei rischi e garanzia di un'attività irreprensibile]). La determinatezza in merito alle conseguenze giuridiche del divieto di esercizio della professione deriva, da un lato, dalla subordinazione organizzativa presso un istituto sottoposto a vigilanza (attività in posizione dirigenziale: garante e funzione al di sotto della soglia di garanzia, se la persona ha una responsabilità importante ["wesentliche Verantwortung"], cfr. HSU/BAHAR/FLÜHMANN, in: Rolf Watter/Nedim Peter Vogt [ed.], Basler Kommentar Finanzmarktaufsichtsgesetz [in se-
guito: BSK-FINMAG], 2a ed., 2011, art. 33 n. 20) e, dall'altro lato, dal periodo di tempo indicato. Sebbene la prevedibilità venga in qualche modo ridotta dal fatto che la "violazione grave" sia un concetto giuridico indeterminato (cfr. sentenze del TAF B- 686/2016 del'11 giugno 2018 consid. 3.3 con rinvii e B-3930/2016 del 25 novembre 2019 consid. 7.2.2), tuttavia, il medesimo consente di tenere conto di tutte le circostanze pertinenti nel singolo caso. Pertanto, le condizioni poste dalla Costituzione circa la base legale necessaria per una restrizione dei diritti alla libertà economica sono soddisfatte (cfr. HSU/BAHAR/FLÜHMANN, in: BSK-FINMAG, art. 33 n. 11 con rinvii).
L'interesse pubblico risulta dagli obiettivi della vigilanza, fissati nella LFINMA. Conformemente alle leggi sui mercati finanziari, la vigilanza sui mercati finanziari si prefigge la protezione dei creditori, degli investitori e degli assicurati, nonché la tutela della funzionalità dei mercati finanziari. Essa contribuisce in tal modo a rafforzare la reputazione e la concorrenzialità della piazza finanziaria svizzera, nonché la capacità di quest’ultima di affrontare le sfide future (cfr. DTF 136 II 43 consid. 3.2, 135 II 356 con-
sid. 3.1; sentenza del TAF B-5566/2016 del 16 luglio 2019 consid. 13).
Circa la sanzione da pronunciare, in generale, l'attività dello Stato deve rispondere al pubblico interesse ed essere proporzionata allo scopo (art. 5 cpv. 2 della Costituzione federale [Cost., RS 101]). In particolare, l'autorità non può adoperare un mezzo coattivo più rigoroso di quanto richiesto dalle circostanze (art. 42 PA). Da un punto di vista analitico, il principio della proporzionalità viene suddiviso in tre regole: l'idoneità, la necessità e la proporzionalità in senso stretto (cfr. DTF 136 I 17 consid. 4.4, 135 I 246 consid. 3.1, 130 II 425 consid. 5.2 e 124 I 40 consid. 3e). La prima impone che la misura scelta sia atta al raggiungimento dello scopo d'interesse pubblico fissato dalla legge (cfr. DTF 128 I 310 consid. 5b/cc), la seconda che, tra più misure idonee, si scelga quella che incide meno fortemente sui diritti privati (cfr. DTF 130 II 425 consid. 5.2), e la terza, detta anche regola della preponderanza dell'interesse pubblico, che l'autorità proceda alla ponderazione tra l'interesse pubblico perseguito e il contrapposto interesse privato, valutando quale dei due debba prevalere in funzione delle circostanze (cfr. DTF 129 I 12 consid. 6 a 9).
Circa la regola dell'idoneità, tenuto conto che la legge si prefigge principalmente la protezione dei creditori e degli investitori, ma anche la protezione della funzionalità dei mercati finanziari (art. 3 LBCR e 5 LFINMA), il divieto di esercizio della professione, indipendentemente dalla sua durata, è effettivamente idoneo a raggiungere questi scopi d'interesse
pubblico (cfr. sentenza del TAF B-5566/2016 del 16 luglio 2019 consid. 13). Ad ogni modo, dato che l'idoneità del divieto di esercizio della professione, quale misure per ristabilire la fiducia del pubblico nella qualità e affidabilità dei servizi di revisione, è contemplata dalla legge stessa (art. 33 LFINMA), questo Tribunale non può che constatarla anche nel caso in specie (art. 190 Cost.).
Per quanto concerne la necessità, si deve sottolineare non solo la gravità delle violazioni riscontrate e il ruolo del ricorrente nella loro commissione, ma anche il rischio che si ripetano. Infatti, gli argomenti addotti dal ricorrente nell'ambito della presente procedura, dimostrano che egli non ha ancora preso, allo stato attuale, coscienza della natura e della gravità delle violazioni con cui è confrontato a giusto titolo. Egli nega ogni tipo di violazione da parte sua, minimizzando il suo coinvolgimento in quelle constatate presso la Banca, affermando che il problema sarebbe stato molto grande a livello di struttura organizzativa, senza rendersi conto della sua posizione centrale ed influente in tale struttura e quindi, della sua responsabilità. Alla luce di questi elementi, si deve riconoscere che il ricorrente non ha compreso appieno la portata delle norme a cui era sottoposto e che, di conseguenza, il rischio che le violazioni si ripetano qualora egli ricoprisse nuovamente una posizione dirigenziale all'interno di un assoggettato a sorveglianza, sono elevate. Pertanto, una misura meno severa non entra in linea di conto.
Infine, per quanto riguarda la proporzionalità in senso stretto, si deve ammettere che l'interesse pubblico al buon funzionamento del mercato e alla tutela dei creditori e degli investitori supera chiaramente l'interesse del ricorrente a riprendere un'attività manageriale in un istituto sottoposto alla vigilanza della FINMA. Questa constatazione tiene conto, da un lato, della natura e della gravità delle violazioni di legge che il ricorrente si ostina a contestare e, dall'altro, del fatto che il divieto è limitato alle funzioni dirigenziali all'interno di un istituto soggetto alla vigilanza della FINMA. Il ricorrente è quindi libero di esercitare qualsiasi attività in un altro settore o una funzione non dirigenziale all'interno di un istituto assoggettato a vigilanza.
In relazione alla durata di tre anni, il ricorrente ne afferma la sproporzionalità, in quanto il procedimento amministrativo sarebbe iniziato il 13 marzo 2018 e, pertanto, il medesimo non eserciterebbe da allora alcuna funzione per la quale è prevista la garanzia di un'attività irreprensibile. Dunque, il ricorrente richiede che la durata del divieto di tre anni sia ridotta
tenendo conto del periodo già intercorso tra l'avvio del procedimento amministrativo, ossia il 13 marzo 2018 e la crescita in giudicato della decisione di divieto. La durata di tre anni sarebbe arbitraria, dato che la FINMA non avrebbe motivato tale scelta, ad esempio facendo riferimento alla sua prassi e alla giurisprudenza di codesto Tribunale.
Dapprima si constata che il ricorrente non fa valere un effetto anteriore di fatto del divieto insolitamente lungo che avrebbe dovuto essere preso in considerazione nell'esame della durata della misura (cfr. sentenza del TAF B-3626/2017 del 27 novembre 2019 consid. 6.4). Colui che desidera una riduzione della durata del divieto di esercizio, può ottenerla tramite richiesta di revoca dell'effetto sospensivo (cfr. sentenza del TF 2C_192/2019 consid. 5.4.2). Infatti, i divieti di esercizio della professione, giusta l'art. 33 LFINMA, sono generalmente pronunciati con effetto a partire dalla crescita in giudicato della decisione (URS BERTSCHINGER, Das Finanzmarktaufsichtsrecht vom vierten Quartal 2017 bis ins vierten Quartal 2018, SZW 2018, pag. 719). I ricorsi davanti al Tribunale amministrativo federale hanno generalmente effetto sospensivo ai sensi dell'art. 55 PA.
Nella decisione incidentale del TAF B-488/2018 del 28 marzo 2018, l'effetto sospensivo del ricorso è stato revocato in quel procedimento su richiesta del ricorrente, in quanto il divieto di esercizio ordinato dalla FINMA aveva un "effetto preliminare di fatto" ai sensi dell'art. 33 LFINMA. Tuttavia, questi effetti sono considerati dalla dottrina "come circostanze normali di accompagnamento di ogni procedura di controllo giurisdizionale di un divieto di professioni sotto il diritto di sorveglianza". Inoltre, l'esito di un ricorso non è di norma prevedibile. In linea di principio, è pensabile che un ricorrente possa vincere e ottenere l'annullamento di una decisione. In un caso del genere, non sarebbe necessariamente appropriato, dal punto di vista del ricorrente, eseguire in generale la misura ordinata dall'autorità inferiore, senza effetto sospensivo (cfr. sentenza del TAF B-4672/2017 del 27 febbraio 2020 consid. 4.2 con rinvii).
Nella fattispecie, il ricorrente non ha presentato alcuna domanda di revoca dell'effetto sospensivo del ricorso. Di conseguenza, non vi era motivo per codesto Tribunale di esaminare e, se necessario, ritirare l'effetto sospensivo sulla base dell'art. 55 PA.
tenze del TAF B-4827/2017 del 24 febbraio 2020 [Compliance Officer e responsabile dell'ufficio per il riciclaggio di denaro ha gravemente violato i suoi obblighi di diligenza]; sentenza del TF 2C_192/2019 dell'11 marzo 2020 che ha annullato la sentenza del TAF B-488/2018 del 17 gennaio 2019, confermando il divieto di due anni [Responsabile del Dipartimento L&C ha gravemente disatteso i suoi obblighi di diligenza]), a tre anni (cfr. sentenze del TAF B-6370/2018 del 28 aprile 2020 [membro del CdA e direttore della società ha gravemente violato i suoi obblighi si diligenza]; B-5527/2016 del 10 luglio 2019 [membro della Direzione della Banca e del CdA di altre società del gruppo ha violato gravemente i suoi obblighi di diligenza]; B-5553/2016 del 10 luglio 2019 [membro del CdA ha gravemente violato i propri obblighi di diligenza e fedeltà nei confronti della Banca], confermata dal TF con sentenza 2C_790/2019 del 14 settembre 2020), a quattro anni (cfr. sentenza del TAF B-4672/2017 del 27 febbraio 2020 [manipolazione dei prezzi del mercato azionario]), a cinque anni (cfr. sentenze del TAF B-4757/2017 del 27 febbraio 2020 [manipolazione dei prezzi del mercato azionario], confermata dal TF con sentenza 2C_315/2020 del 7 ottobre 2020; B-3626/2017 del 27 novembre 2019 [CEO e consulente bancario ha gravemente violato i suoi obblighi di diligenza]; B-5518/2016 del 10 luglio 2019 [presidente del CdA ha gravemente disatteso i suoi obblighi di diligenza], confermata dal TF con sentenza 2C_771/2019 del 14 settembre 2019); B-5566/2016 del 10 luglio 2019 [responsabile e fondatore del gruppo, nonché membro del CdA della Banca ha gravemente violato i propri obblighi di diligenza e fedeltà nei confronti di quest'ultima]; B-3625/2014 del 6 ottobre 2015).
Costi della procedura davanti alla FINMA
Infine, il ricorrente contesta il montante dell'emolumento richiesto dall'autorità inferiore (fr. 30'000.–). Infatti, a suo avviso, l'unico impiego di tempo dovuto al presente procedimento, e non ad altri procedimenti relativi alla Banca, sarebbe stato I'interrogatorio del ricorrente del 21 marzo 2019, neI
corso del quale sarebbero state poste domande su temi che erano già stati trattati ampiamente nei numerosi verbali effettuati da parte del MPC e richiamati agli atti. Fra questi figurerebbero i verbali di quattro lunghi e minuziosi interrogatori, rendendo l'interrogatorio del ricorrente inutile. Il ricorrente è dell'avviso che i costi di procedura davanti alla FINMA, fissati da quest'ultima a fr. 30'000.–, sarebbero eccessivi, sproporzionati e arbitrari. A tal proposito, secondo le decisioni della FINMA di cui il ricorrente è a conoscenza, apparirebbe che il montante di fr. 30'000.– venga applicato come tariffa costante.
Dall'altro lato la FINMA afferma che i costi reali generati dalla procedura sarebbero stati ben superiori a quelli ridotti e effettivamente posti a carico del ricorrente, conformemente al principio dell'equivalenza.
L'art. 46a della Legge del 21 marzo 1997 sull'organizzazione del Governo e dell'Amministrazione (LOGA [RS 172.010]), rappresenta la base legale per la riscossione di adeguati emolumenti per le decisioni e le prestazioni di servizi dell’amministrazione federale. Trattandosi della FINMA, l'art. 15 cpv. 1 LFINMA prescrive che quest'ultima riscuota emolumenti per singole procedure di vigilanza e per prestazioni di servizi. La regolamentazione dei costi segue il principio di causalità (art. 15 cpv. 1 LFINMA; cfr. sentenza del TAF B-205/2020 del 28 gennaio 2021 consid. 5.2.3). L'Ordinanza del 15 ottobre 2008 sulla riscossione di emolumenti e tasse della FINMA (Oem-FINMA [RS 956.122]) precisa i principi che reggono la riscossione di emolumenti. Questa prevede che, per quanto possibile, la FINMA imputi i suoi costi direttamente ad uno dei suoi ambiti di vigilanza e che i costi imputati a un ambito di vigilanza sono coperti in primo luogo dagli emolumenti riscossi in quell’ambito (art. 3 cpv. 1 e art. 4 cpv. 1 OemFINMA). Assoggettato all'emolumento è chiunque occasioni una decisione (art. 5 cpv. 1 lett. a Oem-FINMA). Secondo l'art. 8 Oem-FINMA, il calcolo degli emolumenti si basa sulle aliquote contenute nell’allegato (cpv. 1) e la FINMA fissa gli emolumenti dovuti attenendosi alle tariffe quadro contenute nell’allegato, in funzione del tempo medio impiegato per svolgere operazioni analoghe e dell’importanza dell’affare per la persona assoggettata (cpv. 2). Per decisioni, procedure di vigilanza e prestazioni per le quali non è fissata alcuna aliquota nell’allegato, l’emolumento è calcolato in funzione del tempo impiegato e dell’importanza dell’affare per la persona assoggettata (cpv. 3). La tariffa oraria prevista per gli emolumenti varia tra i 100 e i 500 franchi, a seconda della funzione che la persona incaricata del disbrigo dell’affare riveste in seno alla FINMA e dell’importanza dell’affare per la persona assoggettata (cpv. 4). Le tasse della FINMA, in quanto contributo causale, devono rispettare i principi di copertura dei costi e di equivalenza
(cfr. sentenze del TAF B-6421/2019 del 19 maggio 2020 consid. 5.1 e B-4672/2017 del 27 febbraio 2020 consid. 5.3).
Il principio di equivalenza stabilisce che l'importo del contributo richiesto a una determinata persona deve essere in relazione al valore oggettivo della prestazione che le è stata fornita (rapporto di equivalenza individuale) (cfr. DTF 139 III 334 consid. 3.2.2 e 135 I 130 consid. 2). Il valore della prestazione è misurato o in termini di utilità per il contribuente o in termini di costo rispetto alle spese complessive dell'attività amministrativa in questione (cfr. DTF 118 Ib 349 consid. 5 e 109 Ib 308 consid. 5b; sentenza del TAF B-5087/2010 del 1° marzo 2011 consid. 4.2.1). Affinché il principio di equivalenza sia rispettato, il canone deve essere ragionevolmente proporzionato al servizio fornito dall'amministrazione, il che non esclude tuttavia una certa schematizzazione. Non è necessario che, in ogni caso, la tassa corrisponda esattamente al costo dell'operazione amministrativa (cfr. DTF 139 III 334 consid. 3.2.4 e 128 I 46 consid. 4a). Tuttavia, le tasse devono essere stabilite secondo criteri oggettivi e non devono creare differenze che non siano giustificate da motivi pertinenti. L'aliquota della tassa non deve in particolare impedire o rendere eccessivamente difficile il ricorso a determinati istituti (cfr. DTF 106 Ia 241 consid. 3b e 106 Ia 249 consid. 3a).
Nella fattispecie, non vi sono elementi per poter considerare le ore di lavoro elencate nella Leistungsübersicht, inoltrata dall'autorità inferiore con la propria risposta, come eccessive per la trattazione del caso e la redazione della decisione impugnata. Del resto, lo stesso ricorrente afferma che tale importo sarebbe stato applicato anche in altre procedure di enforcement simili a questa, dando l'impressione che si tratti di una tariffa costante. Il Tribunale ritiene plausibile che delle procedure simili causino dei costi più o meno simili. Nello stesso tempo, è perfettamente ammissibile che, in caso di costi superiori l'autorità inferiore provveda a ridurli, fissandosi una sorta di tetto interno per le procedure di un certo tipo, come la medesima dichiara di aver effettuato nella fattispecie (cfr. risposta marg. 6). Sia come sia, se l'autorità inferiore prescinde parzialmente dal principio di causalità dei costi per ridurli a favore del ricorrente, ciò non può essere considerato né eccessivo, né sproporzionato, né arbitrario, nella misura in cui non è lesivo per il ricorrente.
Pertanto, l'emolumento di fr. 30'000.– risulta giustificato e a carico del ricorrente.
Art. 48 LFINMA - contra legem
In ultimo, rispetto all'affermazione della FINMA che essa si riserverebbe "la
facoltà anche dopo la scadenza del divieto, di verificare la garanzia di un'attività irreprensibile di X. , nel qual caso egli intenda nuovamente assumere una posizione che la richieda" (decisione impugnata marg. 93), il ricorrente contesta che si tratterebbe di una condizione contra legem. lnfatti, l'art. 33 LFINMA prevedrebbe esclusivamente la misura del divieto di professione e non la facoltà per la FINMA di prolungare questo divieto oltre la misura stabilita mediante la decisione impugnabile.
L'art. 48 LFINMA prevede una sanzione in caso di inosservanza delle decisioni della FINMA. Chiunque, intenzionalmente, non ottempera a una decisione passata in giudicato intimatagli dalla FINMA con la comminatoria della pena prevista dal presente articolo o a una decisione delle autorità di ricorso è punito con la multa sino a fr. 100'000.– (cfr. sentenza del TAF B-687/2016 del 27 febbraio 2020 consid. 4.2.4). Non si tratta di una misura indipendente (cfr. DTF 135 II 356 consid. 5.1). Dal momento che la decisione deve essere intimata all’assoggettato con la comminatoria della pena, il reato non può essere commesso per negligenza. È punito di conseguenza solo il reato commesso intenzionalmente (cfr. Messaggio del 1° febbraio 2006 sulla LFINMA [FF 2005 2625, 2684 e segg.]).
Anche quest'ultima censura del ricorrente risulta infondata, in quanto l'ammonimento nella decisione impugnata è previsto dalla legge stessa e, pertanto, la FINMA non è andata contra legem con la formulazione del punto 2 del dispositivo della decisione impugnata. Va da sé che un'eventuale multa ed il relativo importo dovrà, se del caso, essere oggetto di una decisione separata soggetta a ricorso. Visto quanto precede, nella fattispecie può essere lasciata aperta la questione dell'interesse del ricorrente all'accertamento della facoltà della FINMA di verificare la garanzia di un'attività irreprensibile dopo lo scadere del divieto dell'esercizio della professione e, quindi, dell'ammissibilità di questa censura.
Alla luce dei considerandi precedenti, il Tribunale giunge alla conclusione che, nella misura in cui l'autorità inferiore ha disposto un divieto di esercizio nei confronti del ricorrente, la medesima non ha violato il diritto federale, ma rispettato i limiti del proprio potere d'apprezzamento e del principio della proporzionalità (art. 49 lett. a), ha accertato in maniera esatta e completa i fatti qui rilevanti (art. 49 lett. b) ed ha rispettato il principio dell'adeguatezza (art. 49 lett. c). Pertanto, il ricorso è respinto e la decisione della FINMA del 18 ottobre 2019 è confermata.
Le spese processuali comprendono la tassa di giustizia e i disborsi sono posti, di regola, a carico della parte soccombente; se quest'ultima soccombe solo in parte, le medesime vengono ridotte (art. 63 cpv. 1 PA e art. 1 cpv. 1 del Regolamento del 21 febbraio 2008 sulle tasse e sulle spese ripetibili nelle cause dinanzi al Tribunale amministrativo federale [TS-TAF, RS 173.320.2]). La tassa di giustizia è calcolata in funzione dell'ampiezza e della difficoltà della causa, del modo di condotta processuale e della situazione finanziaria delle parti (art. 63 cpv. 4bis PA e art. 2 cpv. 1 TS-TAF).
Nella fattispecie, visto l'esito del ricorso e dell’onere di lavoro per trattare la procedura di merito, le spese processuali sono fissate a fr. 10'000.–. Tale importo è posto a carico del ricorrente totalmente soccombente e verrà compensato, dopo la crescita in giudicato della presente sentenza, dall'anticipo di fr. 10'000.– già versato dal ricorrente in data 20 dicembre 2019.
Infine, in virtù dell'art. 63 cpv. 2 PA, nessuna spesa processuale è messa a carico dell'autorità inferiore.
La parte, totalmente o parzialmente, vincente ha diritto alle ripetibili per le spese necessarie derivanti dalla causa (art. 64 cpv. 1 PA in relazione con l'art. 7 cpv. 1 e 2 TS-TAF). Le ripetibili comprendono le spese di rappresentanza o di patrocinio ed eventuali altri disborsi di parte (art. 8 TS-TAF).
Nella fattispecie, il ricorrente, totalmente soccombente, non ha diritto alla rifusione delle spese ripetibili.
L'autorità inferiore non ha diritto alle spese ripetibili (art. 7 cpv. 3 TS-TAF).
Il ricorso è respinto, nella misura in cui sia ammissibile.
Le spese processuali vengono fissate a fr. 10'000.– e poste a carico del ricorrente. Questo importo verrà compensato, dopo la crescita in giudicato della presente sentenza, dall'anticipo di fr. 10'000.– già versato dal ricorrente in data 20 dicembre 2019.
Non vengono accordate indennità a titolo di spese ripetibili.
Comunicazione a:
ricorrente (atto giudiziario)
autorità inferiore (n. di rif. […]; atto giudiziario)
I rimedi giuridici sono menzionati alla pagina seguente.
Il presidente del collegio: La cancelliera:
Pietro Angeli-Busi Maria Cristina Lolli
Contro la presente decisione può essere interposto ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale, 1000 Losanna 14, entro un termine di 30 giorni dalla sua notificazione (art. 82 e segg., 90 e segg. e 100 LTF). Il termine è reputato osservato se gli atti scritti sono consegnati al Tribunale federale oppure, all'indirizzo di questo, alla posta svizzera o a una rappresentanza diplomatica o consolare svizzera al più tardi l'ultimo giorno del termine (art. 48 cpv. 1 LTF). Gli atti scritti devono essere redatti in una lingua ufficiale, contenere le conclusioni, i motivi e l'indicazione dei mezzi di prova ed essere firmati. La decisione impugnata e – se in possesso della parte ricorrente – i documenti indicati come mezzi di prova devono essere allegati (art. 42 LTF).
Data di spedizione: 6 maggio 2021
Bitte beachten Sie, dass keinen Anspruch auf Aktualität/Richtigkeit/Formatierung und/oder Vollständigkeit besteht und somit jegliche Gewährleistung entfällt. Die Original-Entscheide können Sie unter dem jeweiligen Gericht bestellen oder entnehmen.
Hier geht es zurück zur Suchmaschine.