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Bundesverwaltungsgericht Urteil F-2643/2017

Kopfdaten
Instanz:Bundesverwaltungsgericht
Abteilung:Abteilung VI
Dossiernummer:F-2643/2017
Datum:04.02.2019
Leitsatz/Stichwort:Divieto d'entrata
Schlagwörter : Della; Ricorrente; Consid; Ordine; Essere; Divieto; entrata; ordine; Sicurezza; Delle; Corso; Pubblici; Diritto; Federale; Ricorso; Decisione; D’entrata; Prese; Tribunale; Questo; Dell’ Svizzera; Durata; Dalla; L’ordine; LStrI; Gravi
Rechtsnorm: Art. 111 StGB ;
Referenz BGE:-
Kommentar zugewiesen:
Spühler, Basler Kommentar zur ZPO, Art. 321 ZPO ; Art. 311 ZPO, 2017
Weitere Kommentare:-
Entscheid

B u n d e s v e r w a l t u n g s g e r i c h t

T r i b u n a l a d m i n i s t r a t i f f é d é r a l

T r i b u n a l e a m m i n i s t r a t i v o f e d e r a l e T r i b u n a l a d m i n i s t r a t i v f e d e r a l

Decisione annullata dal TF con sentenza del 31.07.2019 (2C_173/2019)

Corte VI

F-2643/2017

S e n t e n z a d e l 4 f e b b r a i o 2 0 1 9

Composizione Giudici Daniele Cattaneo (presidente del collegio), Blaise Vuille, Martin Kayser,

cancelliere Dario Quirici.

Parti A. ,

patrocinato dall'avv. Laura Cansani,

Studio Legale e Notarile Costantino Delogu, Via Morena 9, casella postale 309,

6900 Massagno, ricorrente,

contro

Segreteria di Stato della migrazione (SEM), Quellenweg 6, 3003 Berna,

autorità inferiore.

Oggetto Divieto d'entrata.

Fatti:

A.

Il 23 febbraio 2015, la Corte delle assise criminali di Lugano (CAC) ha condannato A. (di seguito, il ricorrente), cittadino italiano nato il , ad una pena detentiva di due anni e sei mesi, sospesa in ragione di due anni e con un periodo di prova della stessa durata, per i reati di ricettazione qualificata, siccome commessa per mestiere, e ripetuta falsità in documenti.

Il 4 aprile 2016, su appello del ricorrente, la Corte di appello e di revisione penale del Canton Ticino (CARP) ha ridotto la pena a due anni, sospesa in ragione di due anni e con un periodo di prova della medesima durata, riconoscendo, in sostanza, che il ricorrente aveva agito soltanto per dolo eventuale. La sentenza della CARP è cresciuta in giudicato incontestata.

I fatti incriminati si sono svolti da luglio ad ottobre 2013, ed hanno interessato la compravendita di ventotto autovetture, provenienti da reati contro il patrimonio, unitamente all’allestimento fraudolento della relativa documentazione.

B.

Il 7 luglio 2016, venuta a conoscenza di questa condanna, la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) ha vanamente tentato, per via diplomatica, di prendere contatto con il ricorrente allo scopo di permettergli di esprimersi sull’eventuale emanazione di una decisione di divieto d’entrata in Svizzera e nel Liechtenstein.

C.

Il 5 settembre 2016, la SEM ha pronunciato l’allontanamento del ricorrente dal territorio della Svizzera e del Liechtenstein per la durata di dieci anni, ossia fino al 4 settembre 2026. La decisione, immediatamente esecutiva, è stata notificata al ricorrente il 6 aprile 2017.

La SEM adduce, come motivazione, che i comportamenti incriminati rappresentano una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblici ai sensi della legislazione federale sugli stranieri, la cui gravità giustifica una deroga alla libera circolazione delle persone sancita dal relativo accordo tra la Svizzera e l’Unione europea. La SEM mette in risalto le modalità con cui il ricorrente ha agito, per scopo di lucro e ripetutamente, osservando che non può essere escluso il rischio di recidiva. In aggiunta, la SEM sostiene che il ricorrente non disporrebbe più di un permesso di frontaliere e che non sussisterebbero motivi di carattere personale, rapportantisi al rispetto della

vita privata e familiare come intesi dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo, per rinunciare alla misura di allontanamento.

D.

L’8 maggio 2017, il ricorrente ha adito il Tribunale amministrativo federale (TAF), chiedendo, con la restituzione dell’effetto sospensivo, che il divieto d’entrata sia revocato (conclusione principale) oppure che la sua durata sia ridotta ad un anno al massimo (conclusione subordinata). Il ricorso è corredato dei documenti A a D.

In sostanza, il ricorrente afferma, prima di tutto, che la SEM non avrebbe spiegato i motivi che l’hanno spinta a pronunciare la sua decisione, per cui la stessa sarebbe immotivata. In seguito, egli fa valere che il divieto d’entrata rischierebbe di mettere in pericolo il suo attuale lavoro di soccorritore stradale in Italia, che esercita dal 15 febbraio 2017 e per il quale è chiamato ad intervenire anche in Svizzera (cfr. ricorso, doc. C). Peraltro, egli dimostra di avere sottoscritto, nel frattempo, un contratto di lavoro con un’azienda in Ticino, in qualità di “consulente del personale”, già valido a partire dal 18 aprile 2017, evidenziando che, in caso di non restituzione dell’effetto sospensivo al ricorso, perderebbe questa nuova opportunità lavorativa (cfr. ricorso, doc. D). In aggiunta, egli puntualizza che la sua condanna rappresenta un caso isolato e che ha agito soltanto per dolo eventuale, rilevando di essersi ormai allontanato dall’ambiente della compravendita di autoveicoli. Per finire, egli contesta che il suo comportamento passato, oggetto della condanna penale, costituisca un pericolo attuale per l’ordine e la sicurezza pubblici, esprimendo la convinzione che il divieto d’entrata sarebbe incompatibile con l’accordo sulla libera circolazione delle persone e che la sua durata, non essendo motivata e contravvenendo alla legislazione federale sugli stranieri nonché al principio di proporzionalità, sarebbe arbitraria.

E.

Il 24 maggio 2017, prendendo posizione sulla domanda di restituzione dell’effetto sospensivo, la SEM ha ribadito i suoi argomenti relativi al pericolo che il ricorrente rappresenterebbe per l’ordine e la sicurezza pubblici, aggiungendo che “l’attività che [egli] intende esercitare in Svizzera [consulente del personale] necessita di un permesso [di frontaliere], dimodoché l’impedimento all’inizio dell’attività non è da ricercarsi nell’impugnata misura”.

F.

Il 7 giugno 2017, questo Tribunale ha accolto la richiesta di restituzione

dell’effetto sospensivo, ingiungendo nel contempo al ricorrente di versare un anticipo equivalente alle presunte spese processuali di fr. 1’000.-, ciò che è avvenuto puntualmente.

G.

Il 9 agosto 2017, su invito di questo Tribunale, la SEM ha risposto al ricorso. Essa contesta le argomentazioni del ricorrente, ritenendo in particolare non lontane nel tempo le infrazioni commesse, e precisa che la conclusione della procedura penale nel giugno del 2016, con la crescita in giudicato della sentenza della CARP, relativizzerebbe la portata del comportamento corretto del ricorrente dopo la sua scarcerazione nel febbraio 2014. Essa ricorda, da ultimo, le modalità con le quali sono stati commessi gli atti incriminati, sottolineando l’alto numero di veicoli ricettati e di documenti falsificati nel corso di quattro mesi, e confuta l’opinione secondo cui l’aver agito per dolo eventuale attenuerebbe il grado della colpa.

H.

Il 15 novembre 2017, il ricorrente ha replicato, riaffermando in sostanza le argomentazioni espresse con l’impugnativa. Egli rimprovera alla SEM di non essersi confrontata con i motivi esposti nel ricorso e di non avere dimostrato l’esistenza di una minaccia sufficientemente grave ed attuale per l’ordine e la sicurezza pubblici atta a giustificare la pronuncia di un divieto d’entrata di dieci anni. Egli ha pure esibito diversi documenti, tra cui un certificato intermedio di lavoro del 14 settembre 2017, dal quale risulta che egli è attivo come “consulente del personale” in Ticino da giugno 2017 (cfr. replica, doc. F).

I.

Il 17 ottobre 2017, la SEM ha duplicato, pretendendo che il ricorrente abbia omesso di criticare, nella replica, le argomentazioni esposte nella risposta, ed ha quindi confermato le proprie conclusioni.

J.

Il 14 novembre 2017, il ricorrente si è di nuovo manifestato, specificando di avere puntualmente risposto alle argomentazioni della SEM e di avere compiutamente formulato i motivi per i quali la decisione impugnata dovrebbe essere annullata.

K.

L’11 dicembre 2017, questo Tribunale ha comunicato alle parti la conclusione dello scambio degli scritti, riservate eventuali ulteriori misure istruttorie.

Diritto:

1.

    1. Riservate le eccezioni previste all'art. 32 della legge federale sul Tribunale amministrativo federale del 17 giugno 2005 (LTAF, RS 173.32), questo Tribunale giudica, secondo l’art. 31 LTAF, i ricorsi contro le decisioni ai sensi dell'art. 5 della legge federale sulla procedura amministrativa del

      20 dicembre 1968 (PA, RS 172.021), prese dalle autorità menzionate all’art. 33 LTAF.

      In particolare, le decisioni in materia di divieto d'entrata in Svizzera rese dalla SEM, la quale costituisce un'unità dell'amministrazione federale (art. 33 lett. d LTAF), possono essere impugnate davanti a questo Tribunale, che nella presente fattispecie statuisce quale autorità di grado inferiore al Tribunale federale (cfr. art. 1 cpv. 2 LTAF in relazione con l'art. 11 par. 1 e 3 dell’Accordo tra la Svizzera e la Comunità europea, nonché i suoi Stati membri, sulla libera circolazione delle persone del 21 giugno 1999 [ALC, RS 0.142.112.681], e l'art. 83 lett. c cifra 1 della legge sul Tribunale federale del 17 giugno 2005 [LTF, RS 173.110]; cfr., inoltre, la sentenza del Tribunale federale 2C_270/2015 del 6 agosto 2015 consid. 1).

      Salvo i casi in cui la LTAF non disponga altrimenti, la procedura davanti a questo Tribunale è retta dalla PA (art. 37 LTAF).

    2. In concreto, il ricorrente, destinatario della decisione impugnata, ha presentato il suo ricorso tempestivamente e nel rispetto dei requisiti previsti dalla legge, versando inoltre l'anticipo di fr. 1’000.-, relativo alle presunte spese processuali, nel termine impartito. Ne discende che il ricorso è ammissibile e nulla osta quindi all’esame del merito del litigio (art. 48 cpv. 1, 50, 52 e 63 cpv. 4 PA).

2.

Con il deposito del ricorso, la trattazione della causa, oggetto della decisone impugnata, passa a questo Tribunale (effetto devolutivo), il quale dispone di un pieno potere d’esame riguardo all'applicazione del diritto, compreso l'eccesso o l'abuso del potere di apprezzamento, all'accertamento inesatto o incompleto dei fatti giuridicamente rilevanti, come pure, in linea di principio, all'inadeguatezza (art. 49 e 54 PA). È determinante, in primo luogo, la situazione fattuale al momento del giudizio (DTAF 2014/1 consid. 2 con i riferimenti giurisprudenziali). Questo

Tribunale è vincolato dalle conclusioni delle parti (principio dispositivo), a meno che siano soddisfatte le condizioni per concedere di più, di meno o un'altra cosa rispetto a quanto richiesto (art. 62 cpv. 1 a 3 PA: massima dell'ufficialità), ma non è vincolato in nessun caso dai motivi del ricorso (art. 62 cpv. 4 PA: principio dell'applicazione d'ufficio del diritto).

3.

    1. Innanzitutto, il ricorrente sostiene che la SEM avrebbe violato l’obbligo di motivare la decisione impugnata per non essersi conformata alle esigenze imposte dall’art. 35 cpv. 1 PA e, indirettamente, dall’art. 29 cpv. 2 della Costituzione federale del 18 aprile 1999 (Cost, RS 101). Egli rimprovera alla SEM di non avere spiegato le ragioni per cui i suoi comportamenti passati, sanzionati dalla CARP, implichino un pericolo attuale per l’ordine e la sicurezza pubblici (cfr. ricorso, pagg. 8 e 9).

    2. Tra le garanzie procedurali generali, previste all'art. 29 Cost., vi è anche il diritto di essere sentito (cfr. art. 29 cpv. 2 Cost.), il quale comprende il diritto della persona interessata di prendere conoscenza dell'incarto, di esprimersi in merito agli elementi rilevanti prima che una decisione sia emanata nei suoi confronti, di produrre delle prove pertinenti, di ottenere che sia dato seguito alle sue offerte di prove pertinenti, di partecipare all'amministrazione delle prove essenziali o almeno di poter esprimersi sul suo risultato quando ciò può influenzare la decisione da emanare. Nel quadro della procedura amministrativa il diritto di essere sentito è consacrato dagli art. 26 a 28 (diritto di esaminare gli atti), 29 a 33 (diritto di essere sentito stricto sensu) e 35 PA (diritto di ottenere una decisione motivata).

    3. La giurisprudenza ha dedotto, dal diritto di essere sentito, l'obbligo per l'autorità di motivare la sua decisione, così da permettere ai destinatari, ed a tutte le persone interessate, di comprenderla, eventualmente di impugnarla, in modo da rendere possibile all'autorità di ricorso eventualmente adita di esercitare convenientemente il suo controllo (cfr. DTF 139 V 496 consid. 5.1, 139 IV 179 consid. 2.2 e 138 I 232 consid. 5.1). Si è in presenza di una violazione del diritto di essere sentiti se l'autorità non soddisfa il suo obbligo di esaminare e di trattare i problemi pertinenti. Per adempiere a tali esigenze, è sufficiente che l'autorità menzioni, almeno brevemente, i motivi sui quali ha fondato la sua decisione, in modo da permettere all'interessato di apprezzare la portata di quest'ultima e di impugnarla in piena conoscenza di causa (cfr. DTF 141 II 28 consid. 3.2.4). Eccezionalmente può essere posto rimedio ad una violazione del diritto di

      essere sentiti, ma una violazione grave, pur tenendo conto delle esigenze di economia di procedura, non può essere sanata (cfr., ad es., DTF 138 III 225 consid. 3.3 e 137 I 195 consid. 2.2 e 2.3.2; DTAF 2013/46 consid. 6.3.7 e 2012/24 consid. 3.4 con i riferimenti).

    4. In concreto, questo Tribunale deve costatare che la SEM, seppure brevemente, ha esposto i motivi che l’hanno condotta a pronunciare il divieto d’entrata impugnato. Occorre inoltre sottolineare che, sebbene la SEM abbia tentato, senza successo, di prendere contatto con il ricorrente, per sentirlo, prima di rendere la decisione (cfr. consid. B), quest’ultimo ha avuto la possibilità di esprimersi compiutamente e liberamente in questa sede. Peraltro, dalla lettura del ricorso e dei successivi scritti, non si evince che egli non abbia effettivamente compreso i motivi per i quali la SEM ha pronunciato la decisione impugnata.

Ne discende che la censura relativa alla violazione del diritto di essere sentiti è infondata.

4.

Conformemente alle regole generali del diritto intertemporale sono applicabili le disposizioni materiali in vigore al momento della realizzazione dello stato di fatto che deve essere valutato giuridicamente o che produce conseguenze giuridiche (cfr. DTF 130 V 445 consid. 1, con riferimento a DTF 130 V 329). Se si tratta di disposizioni formali, vale il principio generale secondo il quale, di regola, esse entrano immediatamente in vigore (cfr. DTF 130 V 4 consid. 3.2; sentenza TAF B-3771/2012 del 12 marzo 2013,

consid. 1.4.3.1).

La legge federale sugli stranieri del 16 dicembre 2005 (LStr, RS 142.20) è stata, con effetto dal 1° gennaio 2019, parzialmente modificata e ridenominata legge federale sugli stranieri e la loro integrazione (LStrI; cfr. RU 2017 6521). Benché le sue modifiche materiali parziali non influiscano sulla trattazione della presente procedura, si utilizzerà in seguito la nuova abbreviazione LStrI.

L'ordinanza sull'ammissione, il soggiorno e l'attività lucrativa del 24 ottobre 2007 (OASA, RS 142.201) è pure stata modificata con effetto dal 1° gennaio 2019. In particolare, l’art. 80 OASA è stato abrogato (cfr. RU 2018 3173). Tuttavia, considerato che i fatti rilevanti del caso si sono svolti prima di questa data, benché i loro effetti perdurino tuttora, il detto articolo, che ha peraltro una valenza meramente illustrativa, rimane applicabile alla fattispecie e vi sarà pertanto fatto riferimento.

5.

    1. In virtù del diritto federale, la SEM può vietare l'entrata in Svizzera allo straniero che ha violato o espone a pericolo l'ordine e la sicurezza pubblici in Svizzera o all'estero (art. 67 cpv. 2 lett. a LStrI). Il divieto d'entrata è pronunciato per una durata massima di cinque anni; può essere pronunciato per una durata più lunga se l'interessato costituisce un grave pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblici (art. 67 cpv. 3 LStrI). Nell'esercizio del suo potere discrezionale, la SEM tiene conto degli interessi pubblici e della situazione personale dello straniero, nonché del grado d'integrazione dello stesso (art. 96 cpv. 1 LStrI).

    2. Il Consiglio federale ha messo a fuoco le nozioni d’ordine e di sicurezza pubblici nel suo Messaggio dell’8 marzo 2002 concernente la LStr (Messaggio LStr, FF 2002 3327). In proposito, esso ha sottolineato che “la sicurezza e l’ordine pubblici costituiscono il concetto sovraordinato dei beni da proteggere nel contesto della polizia: l’ordine pubblico comprende l’insieme della nozione di ordine, la cui osservanza dal punto di vista sociale ed etico costituisce una condizione indispensabile della coabitazione ordinata delle persone. La sicurezza pubblica significa l’inviolabilità dell’ordine giuridico obiettivo, dei beni giuridici individuali (vita, salute, libertà, proprietà, ecc.) nonché delle istituzioni dello Stato. Vi è violazione della sicurezza e dell’ordine pubblici segnatamente se sono commesse infrazioni gravi o ripetute di prescrizioni di legge o di decisioni delle autorità nonché in caso di mancato adempimento di doveri di diritto pubblico o privato. Ciò può anche essere il caso in presenza di atti che di per sé non giustificano una revoca ma la cui ripetizione lascia presupporre che l’interessato non è disposto ad osservare l’ordine vigente” (Messaggio LStr, pag. 3424).

      Riguardo alla natura e alla finalità del divieto d’entrata, il Consiglio federale ha precisato che lo stesso “mira a lottare contro le perturbazioni della sicurezza e dell’ordine pubblici, non già a sanzionare un determinato comportamento; si tratta dunque di una misura a carattere preventivo e non repressivo” (Messaggio LStr, pag. 3428).

    3. Più in particolare, l'art. 80 cpv. 1 vOASA sancisce che vi è violazione della sicurezza e dell'ordine pubblici in caso di mancato rispetto di prescrizioni di legge e di decisioni delle autorità (lett. a), in caso di mancato adempimento temerario di doveri di diritto pubblico o privato (lett. b) oppure se la persona interessata approva o incoraggia pubblicamente un crimine

contro la pace, un crimine di guerra, un crimine contro l'umanità o un atto terroristico oppure fomenta l'odio contro parti della popolazione (lett. c).

L’art. 80 cpv. 2 vOASA prevede che vi è esposizione della sicurezza e dell'ordine pubblici a pericolo, se sussistono indizi concreti che il soggiorno in Svizzera dello straniero porti, con notevole probabilità, ad una violazione della sicurezza e dell'ordine pubblici. In questo senso, dovrà quindi essere emessa una prognosi negativa, a meno che i motivi che hanno condotto l'interessato ad agire violando la sicurezza e l'ordine pubblici, non sussistano più (cfr. MARC SPESCHA ET AL., Migrationsrecht, 4a ed. 2015, n. 3 ad art. 67 LStr, pag. 270).

6.

    1. La LStrI è applicabile ai cittadini degli Stati membri della Comunità europea e ai loro familiari soltanto se l’ALC non contiene disposizioni derogatorie oppure se la LStrI prevede disposizioni più favorevoli (art. 2 cpv. 2 LStrI).

    2. Ai cittadini di una parte contraente, e ai membri della loro famiglia, è garantito il diritto di ingresso nel territorio dell'altra parte contraente dietro semplice presentazione di una carta di identità o di un passaporto validi (art. 3 ALC in relazione con gli art. 1 cpv. 1 e 3 cpv. 2 allegato I ALC). Questo diritto (libera circolazione) può essere limitato soltanto mediante misure giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità (art. 5 cpv. 1 allegato I ALC).

    3. Secondo la giurisprudenza, che si orienta alla direttiva 64/221/CEE del 25 febbraio 1964 del Consiglio per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento ed il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU P 56 del 4 aprile 1964, pagg. 851 a 857), ed alla prassi della Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) ad essa relativa (art. 5 cpv. 2 allegato I ALC), l'adozione di misure di allontanamento presuppone, al di là della turbativa insita in ogni violazione di legge, la sussistenza di una minaccia effettiva e sufficientemente grave per l'ordine pubblico da parte della persona che ne è toccata. Per “misura” va inteso, secondo l'art. 5 cpv. 1 allegato I ALC e la direttiva 64/221/CEE, ogni atto che ha delle ripercussioni sul diritto di ingresso e di soggiorno (cfr. DTF 130 II 176 consid. 3.1 e rinvii). Le deroghe alla libera circolazione vanno quindi interpretate in modo restrittivo (cfr. le sentenze della CGCE del 27 ottobre 1977 nella causa 3077 Bouchereau, Racc. 1977 pag. 1999 punti 33-a 35, e del 19 gennaio

      1999 nella causa C-348/96 Calfa, Racc. 1999 I-11 punti 23 e 25).

    4. I provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell'individuo nei riguardi del quale essi sono applicati (art. 3 par. 1 della direttiva 64/221/CEE). Ciò esclude valutazioni sommarie fondate unicamente su motivi generali di natura preventiva. La sola esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare l'adozione di tali provvedimenti (art. 3 par. 2 della direttiva 64/221/CEE). Una tale condanna sarà quindi determinante unicamente se, dalle circostanze che l'hanno originata, emerge un comportamento personale costituente una minaccia attuale per l'ordine pubblico (cfr. DTF 139 II 121 consid. 5.3 e 136 II 5 consid. 4.2 con la giurisprudenza citata, nonché la sentenza del Tribunale federale 2C_436/2014 del 29 ottobre 2014 consid. 3.3). Le autorità nazionali devono procedere ad un apprezzamento specifico, effettuato sulla base degli interessi inerenti alla salvaguardia dell'ordine pubblico, i quali non coincidono necessariamente con gli apprezzamenti all'origine delle condanne penali. In altre parole, queste ultime possono essere prese in considerazione unicamente se le circostanze in cui si sono verificate, lasciano trasparire l'esistenza di una minaccia attuale per l'ordine pubblico. Secondo le circostanze, non è comunque escluso che la sola condotta tenuta in passato costituisca una siffatta minaccia per l'ordine pubblico (cfr. DTF 130 II 176 consid. 3.4.1 con riferimenti, nonché le sentenze del Tribunale federale 2C_436/2014 del 29 ottobre 2014 consid. 3.3,

      2C_139/2014 del 4 luglio 2014 consid. 4.3, 2C_565/2013 del 6 dicembre

      2013 consid. 3.5, 2C_579/2013 del 15 novembre 2013 consid. 2.3 e

      2C_260/2013 dell'8 luglio 2013 consid. 4.1).

    5. L'adozione di un provvedimento di ordine pubblico non deve essere subordinata alla condizione di stabilita certezza che la persona toccata da una misura di divieto d'entrata commetta nuove infrazioni penali. Altrettanto sproporzionato sarebbe esigere che il rischio di recidiva sia nullo per rinunciare all'adozione di un simile provvedimento. Tenuto conto dell'importanza che riveste il principio della libera circolazione delle persone, questo rischio non deve essere ammesso troppo facilmente. In questa prospettiva, è necessario procedere ad un apprezzamento che consideri le circostanze della fattispecie e, in particolare, la natura e l'importanza del bene giuridico minacciato, così come la gravità della possibile violazione: più la potenziale infrazione rischia di compromettere un interesse della collettività particolarmente importante, meno rilevanti sono le esigenze quanto alla plausibilità di un'eventuale recidiva (cfr. DTF

      136 II 5 consid. 4.2, 134 II 25 consid. 4.3.2 e 130 II 493 consid. 3.3 con i riferimenti).

    6. Riassumendo, affinché un cittadino di uno Stato dell’Unione europea possa essere oggetto di una decisione di divieto d'entrata in Svizzera secondo l'art. 67 cpv. 2 lett. a LStrI, occorre che egli rappresenti una minaccia di una certa gravità per l'ordine e la sicurezza pubblici, atta a privarlo del diritto di entrare in Svizzera in conformità con l'art. 5 allegato I ALC.

    7. Bisogna ancora aggiungere che l'esame delle condizioni per la pronuncia di un divieto d’entrata deve essere effettuato, come nel caso di qualsiasi altro cittadino straniero, tenendo presente le garanzie derivanti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950 (CEDU, RS 0.101), e in applicazione del principio di proporzionalità (cfr. DTF 131 II 352 consid. 3.3 con i numerosi rinvii).

7.

    1. L'art. 67 cpv. 3 2a frase LStrI permette alla SEM di pronunciare un divieto d'entrata per una durata maggiore a cinque anni, anche nei confronti di un cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, se l'interessato costituisce un grave pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblici. In proposito, il Tribunale federale ha ritenuto che la graduazione delle esigenze prevista nella suddetta disposizione, a seconda che l'autorità intenda pronunciare un divieto per una durata inferiore o superiore a cinque anni, non si fonda sull'ALC e nemmeno sulla giurisprudenza ad esso relativa, bensì sulla direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio europei del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU L 348/98 del 24 dicembre 2008, pagg. 98 a 107), e meglio sull'art. 11 cpv. 2, il quale indica che “la durata del divieto d'ingresso è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni. Può comunque superare i cinque anni se il cittadino di un paese terzo costituisce una grave minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale” (cfr. DTF 139 II 121 consid. 6.2).

    2. Poiché la LStrI non opera alcuna distinzione tra cittadini di Stati membri dell’Unione europea e cittadini di Stati terzi, l'art. 67 cpv. 3 LStrI riprendendo, infatti, il contenuto dell'art. 11 cpv. 2 della direttiva

      2008/115/CE, e considerato che l'ALC è silente sulle misure di divieto d'entrata e, a fortiori, sulla possibile durata delle stesse, si deve intendere che il legislatore federale abbia voluto regolare i provvedimenti di divieto d'entrata superiori a cinque anni nello stesso modo per le due categorie di cittadini di Stati esteri (membri e non membri dell’Unione europea).

    3. A questo proposito, la giurisprudenza ha stabilito che la nozione di “pericolo grave” richiede un grado di gravità maggiore non soltanto riguardo al “semplice” pericolo o alla minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblici (cfr. art. 67 cpv. 2 lett. a LStrI), ma anche in relazione al “pericolo di una certa gravità” necessario per pronunciare un divieto d'entrata per un cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea. Rispetto alla nozione di “pericolo di una certa gravità” formulata all'art. 5 allegato 1 ALC (per una casistica, cfr. le sentenze del Tribunale federale 2C_923/2012 del 26 gennaio 2013 consid. 4.3.2 e 2C_238/2012 del 30 luglio 2012 consid. 3.1), il termine di “pericolo grave” dell'art. 67 cpv. 3 LStr presuppone l'esistenza di un “pericolo qualificato”. Questo grado di gravità, la cui ammissione costituisce l’eccezione (cfr. FF 2009 8043, pag. 8058 [in francese]), deve essere esaminato concretamente, con riferimento agli atti di causa (cfr. MARC SPESCHA, op. cit., ad art. 67 LStr, n. 5, pag. 271; ADANKSCHÄRER/ANTONIAZZA-HAFNER, Interdiction d’entrée prononcée à l’encontre d’un étranger délinquant, in: AJP/PJA 7/2018, pagg. 886 a 898). Esso è funzione della natura del bene giuridico in pericolo (ad es.: minaccia grave alla vita, all’integrità della persona, all’integrità sessuale o alla salute pubblica), della natura dell'infrazione commessa, come in caso di criminalità particolarmente grave a dimensione transfrontaliera (cfr. art. 83 par. 1 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea nella versione consolidata di Lisbona, che menziona gli atti di terrorismo, la tratta di esseri umani, il traffico di droga e la criminalità organizzata), oppure del numero delle infrazioni commesse (recidiva), anche alla luce della loro eventuale crescente gravità o dell'assenza di una prognosi favorevole (cfr. DTF 139 II 121 consid. 6).

    4. È ancora utile sottolineare che, secondo una consolidata giurisprudenza, l'autorità amministrativa non è, in virtù del principio della separazione dei poteri, vincolata dalle considerazioni del giudice penale. Tenuto conto delle finalità differenti perseguite dalla sanzione penale e dal divieto d'entrata, in linea di principio indipendenti tra di loro, entrambe le misure possono coesistere ed applicarsi ad una medesima fattispecie. Un divieto d'entrata può essere adottato anche in assenza di un giudizio penale, sia in ragione della mancata apertura di un procedimento penale, sia a causa della pendenza dello stesso. È sufficiente che l'autorità

amministrativa, sulla base di un proprio apprezzamento dei mezzi di prova, giunga alla conclusione che lo straniero adempie ai presupposti per l'adozione di un divieto d'entrata. Pertanto, l'autorità amministrativa valuta sulla base di criteri autonomi se l'allontanamento dalla Svizzera di uno straniero sia necessario ed opportuno, e può quindi giungere a conclusioni differenti da quelle ritenute dal giudice penale (cfr. DTF 140 I 145 consid. 4.3, 137 II 233 consid. 5.2.2, 130 II 493 consid. 4.2; sentenze TAF C-

2463/2013 del 7 maggio 2015 consid. 8.4, C-3061/2014 del 16 aprile 2015

consid. 7.2, e C-6205/2014 del 30 ottobre 2014 consid. 4).

8.

Considerato che l’ALC si applica al ricorrente in quanto cittadino italiano, bisogna innanzitutto verificare se, nel pronunciare il divieto d’entrata in sé, la SEM abbia rispettato le condizioni che reggono le restrizioni del diritto alla libera circolazione, valutando nella giusta misura se la presenza in Svizzera del ricorrente esporrebbe la sicurezza e l’ordine pubblici ad una minaccia attuale di una certa gravità (cfr. consid. 6.6).

    1. La SEM ritiene che il ricorrente, avendo violato gravemente il diritto penale da luglio ad agosto 2013, costituisca una minaccia grave ed attuale per la sicurezza e l'ordine pubblici. Dal canto suo, il ricorrente sostiene, perlomeno implicitamente, che la commissione di reati contro il patrimonio non giustifica l’emanazione di un divieto d’entrata, poiché il patrimonio non rientra nella categoria dei beni giuridici più sensibili (cfr. ricorso, pag. 11).

    2. I comportamenti illeciti del ricorrente sono stati sanzionati dalla CARP con sentenza del 4 aprile 2016 (cfr. consid. A). Nel periodo compreso tra luglio e ottobre 2013 (quattro mesi), il ricorrente ha, in parte in correità ed in parte con la complicità di una terza persona, aiutato ad alienare ventotto autovetture che sapeva, o doveva presumere, essere state ottenute da un terzo mediante un reato contro il patrimonio. Nello stesso intervallo, con le medesime modalità per quanto concerne la partecipazione al reato, e in cinquantadue occasioni, il ricorrente ha fatto uso, a scopo di inganno, di carte di circolazione italiane, nonché di certificati di proprietà italiani falsificati, nei suoi rapporti con l’Amministrazione federale delle dogane, e ciò nell’intento di procurarsi in Svizzera delle vetture e di procedere poi alla loro vendita (cfr. sentenza CARP, incarto Simic, pag. 323). In particolare, la CARP ha stabilito che il ricorrente “non ha agito con piena coscienza e volontà, ma con dolo soltanto eventuale”, pur ritenendo la sua colpa grave, poiché mosso da un mero fine di lucro (cfr. sentenza CARP, incarto Simic, pag. 339).

      Ora, vagliando l’insieme dei documenti disponibili, non si ravvisano validi motivi per scostarsi dalla valutazione della gravità degli atti incriminati operata dalla CARP. Su questa scia, contrariamente a quanto pretende il ricorrente (cfr. ricorso, pagg. 5, 6 e 11), bisogna ricordare che il dolo eventuale è una forma di intenzionalità a tutti gli effetti, seppure attenuata (cfr. art. 12 cpv. 2 del Codice penale svizzero [CP, RS 331.0]); si osservi che i reati di ricettazione [art. 160 CP] e di falsità in documenti [art. 251 CP] non sono nemmeno punibili per negligenza [cfr. PHILIPPE WEISSENBERGER, in: Niggli/Wiprächtiger {ed.}, Basler Kommentar, Strafrecht II, Art. 111 - 392 StGB, 3a ed., 2013, n. 67 ad art. 160 CP; MARCUS BOOG, in: op. cit., n. 181 ad art. 251 CP]).

    3. Il ricorrente ha violato il diritto penale dopo che, a causa di problemi del suo ex datore di lavoro, non ha più potuto contare su entrate finanziarie regolari. Tuttavia, invece di rivolgersi a chi di dovere per chiedere aiuto, egli si è lanciato nella compravendita illecita di autoveicoli dal valore tutt’altro che trascurabile, interrompendo il suo agire soltanto quando le autorità di perseguimento penale, impegnate in un’ampia inchiesta, si sono interessate anche a lui (in proposito, non si deve sottacere il fatto che, al momento dell’arresto del ricorrente, sia stata chiesta una cauzione di fr. 12'000.- [cfr. sentenza CAC, incarto Simic, pag. 10]).

      La ripetuta ricettazione di automobili, con le corrispondenti falsificazioni di documenti, ha comportato per il ricorrente un guadagno ragguardevole, soprattutto se rapportato al suo tenore di vita. In questo contesto, dati l’alto numero di autovetture ricettate e la frequenza con la quale i reati sono stati perpetrati, un intervallo di quattro mesi, contrariamente a quanto pretende il ricorrente, non può essere definito breve. Del resto, è per questi motivi che la CARP ha riconosciuto l’aggravante del mestiere, secondo l’art. 160 cpv. 2 CP. In questo senso, la facilità con cui il ricorrente ha commesso gli atti incriminati non appena si è trovato in difficoltà finanziarie, non lascia spazio a dubbi riguardo al potenziale rischio di recidiva nel quadro di circostanze simili.

      Peraltro, è opportuno aggiungere che, durante l’inchiesta penale e in occasione dei successivi dibattimenti davanti alla CAC e alla CARP, il ricorrente non ha mantenuto una versione lineare del suo comportamento, contraddicendosi, mentendo e minimizzando il suo coinvolgimento nei fatti incriminati (cfr. sentenza CARP, incarto Simic, in particolare le pagg. 368 a 375). Anche questa condotta processuale corrobora l’impressione che il ricorrente non abbia preso pienamente coscienza della gravità dei suoi atti,

      da cui l’attualità del rischio al quale egli espone l’ordine e la sicurezza pubblici.

    4. Sotto quest’aspetto, la decisione impugnata non presta il fianco a critiche, dimodoché l’attualità della minaccia, indubbiamente di una certa gravità, che il ricorrente rappresenta per l’ordine e la sicurezza pubblici, deve essere ammessa. E questo anche a volere prescindere da quanto deciso dalla CARP, poiché, come rilevato al consid. 7.4, la valutazione effettuata da quest’ultima, incentrata sulla colpa e sull’obiettivo di risocializzazione, può divergere da quella che questo Tribunale è chiamato ad effettuare in questa procedura, e che è finalizzata alla salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblici.

    5. In conclusione, tenendo conto, da un lato, della gravità delle infrazioni commesse contro il patrimonio altrui, anche se soltanto per dolo eventuale, e, dall’altro lato, del loro ripetersi nel tempo, anche se limitatamente a quattro mesi, la decisione impugnata soddisfa le condizioni che permettono alla SEM di derogare al principio della libera circolazione consacrato dall'ALC. Pertanto, la SEM non ha violato né l’art. 67 cpv. 2 lett. a LStrI, né l’art. 5 allegato I ALC, pronunciando il divieto d’entrata in quanto tale (art. 49 PA). Sotto questo profilo, il ricorso (conclusione principale) è quindi infondato.

9.

Bisogna in seguito stabilire se la durata di dieci anni del divieto d’entrata sia conforme all’art. 67 cpv. 3 2a frase LStrI (cfr. consid. 7.1).

    1. In concreto occorre tenere presente che, sebbene i reati commessi dal ricorrente siano oggettivamente gravi, come mostrato in precedenza, i suoi ultimi atti illegali risalgono a più di quattro anni fa. In quest’ottica, dato il tempo trascorso, più o meno lungo, e tenuto conto che il ricorrente non ha commesso nuove infrazioni dopo la condanna inflittagli il 4 aprile 2016, si deve riconoscere che la minaccia che egli rappresenta per l’ordine e la sicurezza pubblici non raggiunge più un livello di gravità sufficiente ad emanare un divieto d’entrata di durata superiore a cinque anni.

      Di conseguenza, pronunciando il divieto d’entrata impugnato in base al presupposto che il ricorrente costituisca un pericolo grave per l’ordine e la sicurezza pubblici, la SEM ha violato l’art. 67 cpv. 3 2a frase LStrI.

    2. Si noti ancora che il ricorrente pretende che la decisione impugnata sia arbitraria, poiché la durata di dieci anni del divieto d’entrata, ossia il doppio del massimo previsto dall’art. 67 cpv. 3 1a frase LStrI, non sarebbe motivata

e nemmeno legittima (cfr. ricorso, pag. 13). Ora, siccome il divieto d’entrata non può essere pronunciato per una durata superiore a cinque anni, non è necessario entrare nel merito di questa censura.

10.

Stabilito il limite temporale massimo del divieto d’entrata (cinque anni), deve ora esserne fissata la durata concreta in applicazione del principio di proporzionalità.

    1. Il principio di proporzionalità esige che le misure adottate dallo Stato siano idonee a raggiungere lo scopo desiderato e che, di fronte a soluzioni diverse, si scelgano quelle meno pregiudizievoli per i diritti dei privati. In altre parole, deve sussistere un rapporto ragionevole tra lo scopo pubblico perseguito ed i mezzi utilizzati (cfr. DTF 140 I 168 consid. 4.2.1; 136 I 87

      consid. 3.2; 136 IV 97 consid. 5.2.2). Si tratta quindi di valutare, bilanciando gli interessi privati e pubblici in gioco, quale sia la durata adeguata in concreto.

    2. Il ricorrente si richiama, da un lato, al fatto di essere impiegato presso un’azienda in Italia come soccorritore stradale, sottolineando che, per l’esercizio del suo lavoro, può succedere che debba recarsi in Svizzera. Dall’altro lato, egli riferisce di avere trovato un nuovo posto di lavoro in Ticino quale “consulente del personale” (cfr. ricorso, pag. 3), ciò che ha confermato nella sua replica, allegando un certificato intermedio di lavoro che precisa che egli è stato assunto da giugno 2017 (cfr. consid. H). È quindi necessario partire dal presupposto che il ricorrente, allo stato attuale delle cose, non sia più attivo come soccorritore stradale in Italia, ma lavori in Ticino come consulente del personale. Questo significa che egli può effettivamente far valere un interesse privato a recarsi in Ticino per esercitare la sua attività professionale.

      Cionondimeno, l’interesse pubblico all’allontanamento del ricorrente dalla Svizzera prevale in definitiva sul suo interesse privato, e ciò a causa della gravità delle infrazioni commesse nel 2013, delle modalità della loro esecuzione, della cospicuità delle somme di denaro in gioco, del rischio di recidiva e della conseguente minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblici, poco importando l’incensuratezza del ricorrente prima di allora. Questi elementi mostrano che le dette infrazioni non possono essere minimizzate, nonostante il fatto che siano di natura patrimoniale e che non abbiano, di conseguenza, messo a repentaglio beni giuridici sensibili, quali la vita o l’integrità delle persone. Beninteso, anche la circostanza che, al momento della commissione dei reati, il ricorrente si occupasse professionalmente

      della compravendita di automobili, non parla a suo favore, nella misura in cui egli avrebbe dovuto dimostrare maggiore prudenza nella sua condotta, conoscendo il mercato ed i rischi insiti nella detta attività, senza dimenticare che il suo datore di lavoro di allora aveva già avuto problemi con la giustizia (cfr. sentenza CAC, incarto Simic, pag. 243). Peraltro, il ricorrente non può trarre nulla dal fatto che si sia “distanziato da quell’ambiente, ovvero dalla situazione che l’ha portato a delinquere” (cfr. ricorso, pag. 6), trattandosi di una reazione normalmente esigibile da qualsiasi cittadino consapevole del suo dovere di rispettare la legge. A ciò si deve aggiungere che, sottoscrivendo il suo nuovo contratto di lavoro come consulente del personale in Ticino, il ricorrente non poteva non essere consapevole del rischio che il suo diritto alla libera circolazione potesse subire, a causa della sua passata condanna, restrizioni (si osservi che è legittimo chiedersi se il datore di lavoro fosse, o sia, a conoscenza della condanna in questione). Non è invece pertinente, in questo rispetto, l’argomento della SEM, secondo cui il ricorrente necessiterebbe, per lavorare in Ticino, di un permesso di frontaliere (cfr. consid. E), considerato che quest’ultimo non ha carattere costitutivo, ma unicamente dichiarativo (cfr. DTF 136 II 329 consid. 2 e 3).

    3. Proprio in relazione alle prospettive professionali del ricorrente, bisogna prendere atto che, nonostante le sue vicissitudini penali, egli ha trovato dapprima un impiego come soccorritore stradale in Italia, a partire dal 15 febbraio 2017, quindi un impiego in Ticino come consulente del personale, a decorrere dal 18 aprile 2017, che ha tuttavia cominciato ad esercitare, secondo quanto risulta dagli atti, soltanto dal giugno 2017 (cfr. consid. D e F). Ora, grazie a quest’ultima attività, egli ha acquisito, fino ad oggi, un’esperienza lavorativa di circa venti mesi. In questo senso, non si può sostenere che l’applicazione di una misura di allontanamento dalla Svizzera ostacolerebbe anche il reinserimento professionale del ricorrente in Italia, nella misura in cui l’esperienza acquisita in Svizzera potrà rivelarsi utile per la ricerca di un nuovo impiego in Italia, tanto più che il percorso professionale del ricorrente dimostra che egli dispone di una capacità d’adattamento che gli permette di lavorare in ambiti diversi.

      Da questo punto di vista, un divieto d’entrata di quattro anni non è dunque suscettibile di pregiudicare, in modo sproporzionato, l’interesse privato del ricorrente a recarsi in Ticino per lavorare.

    4. Si osservi ancora che il ricorrente non pretende di avere familiari in Svizzera, per cui non può avvalersi fondatamente della protezione garantita dall’art. 8 CEDU.

11.

In conclusione, pronunciando un divieto d’entrata di dieci anni, la SEM ha violato l’art. 67 cpv. 3 2a frase LStrI e il principio di proporzionalità nell’esercizio del suo potere d’apprezzamento (art. 49 lett. a PA). Stando così le cose, in accordo con le considerazioni sopraesposte, il ricorso (conclusione subordinata) deve essere parzialmente accolto e la decisione impugnata riformata, nel senso che la durata del divieto d’entrata è ridotta a quattro anni, per cui lo stesso è valido dal 5 settembre 2016 al 4 settembre 2020.

12.

Deve essere ancora puntualizzato che l’effetto sospensivo è stato restituito al ricorso con decisione incidentale del 7 giugno 2017 (cfr. consid. F), e che il ricorrente ha cominciato ad esercitare la sua nuova attività lavorativa in Ticino ad inizio giugno 2017. In questo contesto, considerato che il divieto d’entrata in sé è confermato e che il ricorrente non potrà più, riservati eventuali salvacondotti, entrare in Svizzera fino al 4 settembre 2020, è opportuno rimarcare che la decisione incidentale di restituzione dell’effetto sospensivo è divenuta caduca, vale a dire che essa non esplica più, in concomitanza con l’emanazione della presente sentenza finale, prima ancora che quest’ultima cresca formalmente in giudicato, alcun effetto. In questo senso, il divieto d’entrata, ridotto a quattro anni, ha ritrovato la sua esecutorietà (cfr. DTF 136 V 131 consid. 1.1.2; cfr. anche art. 103 cpv. 1 e

3 LTF).

13.

    1. Le spese processuali sono di regola messe a carico della parte soccombente e, in caso di soccombenza parziale, sono ridotte (art. 63 cpv. 1 PA). Esse comprendono la tassa di giustizia e i disborsi (art. 1 cpv. 1 del regolamento del 21 febbraio 2008 sulle tasse e sulle spese ripetibili nelle cause dinanzi al Tribunale amministrativo federale [TS-TAF, RS 173.320.2]); la tassa di giustizia è calcolata in funzione dell'ampiezza e della difficoltà della causa, del modo di condotta processuale e della situazione finanziaria delle parti (art. 63 cpv. 4bis PA e 2 cpv. 1 TS-TAF).

      In concreto, siccome le conclusioni del ricorrente sono state parzialmente accolte in relazione alla fissazione della durata del divieto d’entrata (conclusione subordinata), è giusto porre a suo carico, a titolo di spese processuali, fr. 400.- da prelevare sull'anticipo di fr. 1'000.- da lui già versato. Di conseguenza, fr. 600.- saranno restituiti al ricorrente una volta che la presente sentenza sarà cresciuta in giudicato.

    2. In relazione alle spese ripetibili, considerato che il ricorso è parzialmente ammesso, il ricorrente, rappresentato da un legale, ha diritto a un’indennità, ridotta in proporzione, per le spese necessarie derivanti dalla causa (art. 64 cpv. 1 PA e art. 7 cpv. 1 e 2 TS-TAF). Dato che il ricorrente non ha presentato alcuna nota d’onorario, l’indennità deve essere fissata sulla base degli atti di causa (art. 14 cpv. 2 TS-TAF). Ora, alla luce dell’ampiezza e del contenuto del ricorso è appropriato attribuire al ricorrente un’indennità ridotta per spese ripetibili di fr. 1'000.-. Si osservi ancora che la SEM, in quanto autorità federale, non ha diritto a un'indennità a titolo di ripetibili (art. 7 cpv. 3 TS-TAF).

(dispositivo alla pagina seguente)

Per questi motivi, il Tribunale amministrativo federale pronuncia:

1.

Il ricorso è parzialmente accolto e la decisione impugnata del 5 settembre 2016 è riformata, nel senso che la durata del divieto d'entrata è ridotta a quattro anni, ossia fino al 4 settembre 2020.

2.

Per il resto, il ricorso è respinto.

3.

Le spese processuali di fr. 400.- sono messe a carico del ricorrente e dedotte dall’anticipo di fr. 1'000.- da lui già versato. Al ricorrente saranno restituiti fr. 600.- dopo la crescita in giudicato della presente sentenza.

4.

Al ricorrente è attribuita un’indennità ridotta per spese ripetibili pari a fr. 1'000.-, a carico della SEM.

5.

Comunicazione:

  • al ricorrente (atto giudiziario; allegato: formulario «indirizzo per il pagamento»);

  • all’autorità inferiore (n. di rif. ; incarto di ritorno);

  • alla Sezione della popolazione, Bellinzona (per informazione). I rimedi giuridici sono menzionati alla pagina seguente.

Il presidente del collegio: Il cancelliere:

Daniele Cattaneo Dario Quirici

Rimedi giuridici:

Contro la presente decisione può essere interposto ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale, 1000 Losanna 14, entro un termine di trenta giorni dalla sua notificazione (art. 82 e segg., 90 e segg. e 100 LTF). Gli atti scritti devono essere redatti in una lingua ufficiale, contenere le conclusioni, i motivi e l'indicazione dei mezzi di prova ed essere firmati. La decisione impugnata e - se in possesso della parte ricorrente - i documenti indicati come mezzi di prova devono essere allegati (art. 42 LTF).

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