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Bundesverwaltungsgericht Urteil A-953/2020

Kopfdaten
Instanz:Bundesverwaltungsgericht
Abteilung:Abteilung I
Dossiernummer:A-953/2020
Datum:04.06.2021
Leitsatz/Stichwort:Imposta preventiva
Schlagwörter : Consid; Dell’; Della; Autorità; Azioni; Società; L’autorità; Ricorrente; Inferiore; Posta; Delle; L’art; Imposta; Tribunale; Dalla; Prestazione; Signor; Preventiva; Presente; Decisione; Contabili; Denaro; Nella; Giudizio; Affari; Rinvii; D’affari; All’autorità; Quanto; Agosto
Rechtsnorm: Art. 12 Or;
Referenz BGE:-
Kommentar zugewiesen:
Spühler, Basler Kommentar zur ZPO, Art. 321 ZPO ; Art. 311 ZPO, 2017
Weitere Kommentare:
Entscheid

B u n d e s v e r w a l t u n g s g e r i c h t

T r i b u n a l a d m i n i s t r a t i f f é d é r a l

T r i b u n a l e a m m i n i s t r a t i v o f e d e r a l e T r i b u n a l a d m i n i s t r a t i v f e d e r a l

Il TF non è entrato nel merito del ricorso con decisione del 27.07.2021 (2C_563/2021)

Corte I

A-953/2020

S e n t e n z a d e l 4 g i u g n o 2 0 2 1

Composizione Giudici Raphaël Gani (presidente del collegio), Annie Rochat Pauchard, Marianne Ryter, cancelliera Sara Pifferi.

Parti A. ,

ricorrente,

contro

Amministrazione federale delle contribuzioni AFC, Imposta federale diretta, Imposta preventiva, Tasse di bollo, Eigerstrasse 65, 3003 Berna,

autorità inferiore.

Oggetto Imposta preventiva (riscossione).

Fatti:

A.

A.a La società anonima B. , con sede a X. , è stata iscritta nel Registro di commercio in data [data 2002] con un capitale azionario di complessivi 100'000 franchi, suddiviso in cento azioni al portatore del valore nominale di 1'000 franchi. Detta società, sotto la ragione sociale

B.

in liquidazione, con sede a Y. , è poi stata radiata

d’ufficio dal Registro di commercio il [data 2015] a seguito della chiusura della procedura di fallimento pronunciata dalla Pretura del Distretto di Z. con decreto [data 2015]. A suo tempo, il suo scopo sociale era:

« […] ».

Nei periodi fiscali dal 2007 al 2012, la società aveva in locazione un immobile sito a X. -Y. , di proprietà della società anonima C. (attuale C. in liquidazione), con sede a W. , in cui aveva sede il motel/postribolo anche conosciuto come « D. ». Di fatto, la B. si è occupata di gestire tale postribolo, composto da un bar e da 23 camere, sino alla sua chiusura in data 26 aprile 2012 a seguito di un intervento della Polizia cantonale del Canton Ticino.

In quel periodo, l’amministratore unico della B. E. .

era il signor

A.b Il signor A. era azionista nella misura del 50% delle società B. e C. . L’altro 50% era detenuto dal signor F. .

B.

    1. Il 10 luglio 2012, il capo della Divisione affari penali e inchieste (DAPI) dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) ha ordinato l’avvio di un’inchiesta penale amministrativa per sottrazione d’imposta e per truffa

      fiscale nei confronti dei signori A.

      e F. . In qualità di

      amministratori di fatto e di azionisti della B. , essi erano sospettati di aver partecipato alla gestione della società e di aver approfittato dei dividendi non regolarmente contabilizzati da quest’ultima.

      A seguito dell’apertura dell’inchiesta, la DAPI ha poi effettuato diverse perquisizioni, interrogato le persone coinvolte, messo sotto sequestro beni e raccolto le prove necessarie ad appurare tali sospetti.

    2. Il 5 gennaio 2015 la DAPI ha intimato al signor A. il processo verbale finale (di seguito: PVF) relativo alla fattispecie nel quale ha

      riassunto le risultanze dell’inchiesta e le conclusioni alle quali è arrivata dopo aver analizzato l’apparato probatorio.

    3. II 12 gennaio 2016 sulla base delle risultanze dell’inchiesta della DAPI e in particolar modo del PVF, la Divisione Controllo esterno dell’AFC ha

      provveduto a notificare al signor A.

      un conteggio d’imposta

      preventiva in correlazione con l’imposta preventiva dovuta dalla B. nei periodi fiscali 2007-2012. Difatti, secondo dette risultanze, essa ha ritenuto che nei periodi fiscali 2007-2012 la B. avrebbe effettuato delle prestazioni valutabili in denaro per complessivi 2'313'929 franchi, di cui il 50% imputabili al signor A. , mentre il restante 50% imputabili al signor F. .

    4. Il 5 febbraio 2016, il signor A. ha chiesto una revisione del suddetto conteggio, richiamando, per quanto riguarda la motivazione, lo scritto del « mio socio F. »

    5. Il 27 luglio 2016, la Divisione Controllo Esterno dell’AFC ha emanato una decisione formale nei confronti del signor A. , con cui ha confermato il predetto conteggio, sancendo che lo stesso è personalmente debitore di un importo di imposta preventiva pari a 404'937.55 franchi, oltre accessori, nonché debitore solidale con il signor F. del pagamento dell’importo di imposta preventiva dovuto da quest’ultimo pari a 404'937.55 franchi, oltre accessori.

      Sempre il 27 luglio 2016, la Divisione Controllo Esterno dell’AFC ha emanato una decisione formale anche nei confronti del signor F. . Tale decisione è cresciuta in giudicato.

    6. Avverso la decisione 27 luglio 2016 che lo concerne, il signor

      1. ha interposto reclamo 24 agosto 2016 dinanzi all’AFC.

        Successivamente, in data 6 ottobre 2017 l’AFC ha ricevuto delle

        « Osservazioni aggiuntive spontanee verbale finale » redatte su carta intestata al signor A. , ma non datate né firmate.

    7. Con decisione su reclamo del 20 gennaio 2020, l’AFC ha confermato integralmente la decisione del 27 luglio 2016 della sua Divisione Controllo esterno, respingendo il reclamo del signor A. .

C.

    1. Avverso la predetta decisione su reclamo, il signor A.

      (di

      seguito: ricorrente) ha inoltrato un ricorso 19 febbraio 2020 dinanzi al Tribunale amministrativo federale, postulandone in via principale l’annullamento e chiedendo di essere liberato da ogni responsabilità pecuniaria sia in virtù della cancellazione della società dal Registro di commercio, sia in virtù del suo ruolo ininfluente nella vicenda. In via subordinata, chiede il rinvio dell’incarto all’AFC per un nuovo calcolo dei contributi, nonché di essere liberato dalla responsabilità solidale nei confronti dell’altro azionista, il signor F. . In sostanza, il ricorrente contesta in dettaglio la ricostruzione delle cifre d’affari della società, nonché la sua qualità di responsabile solidale per il pagamento dell’importo dovuto. Il ricorrente sottolinea di non aver adottato alcun comportamento attivo e intenzionale nella vicenda, nonché di non aver avere alcuna colpa, sicché non gli sarebbe imputabile alcuna responsabilità personale. Si appella inoltre al principio della presunzione di innocenza (in dubio pro reo). Tenuto conto della radiazione della società, egli sostiene che sarebbe decaduto ogni debito fiscale e dunque anche quello posto a suo carico.

    2. Con risposta 8 aprile 2020, l’AFC (di seguito: autorità inferiore) ha postulato il rigetto del ricorso, prendendo posizione sulle censure sollevate dal ricorrente e riconfermandosi nella propria decisione.

    3. Con replica spontanea del 30 maggio 2020 (« osservazioni »), il ricorrente ha preso posizione sulla risposta dell’autorità inferiore.

D.

Ulteriori fatti e argomentazioni verranno ripresi, per quanto necessari, nei considerandi in diritto del presente giudizio.

Diritto:

1.

    1. Il Tribunale amministrativo federale giudica i ricorsi contro le decisioni ai sensi dell’art. 5 PA, emanate dalle autorità menzionate all’art. 33 LTAF, riservate le eccezioni di cui all’art. 32 LTAF (cfr. art. 31 LTAF). In particolare, le decisioni emanate dall’AFC su reclamo in materia di riscossione dell’imposta preventiva – come in concreto – sono impugnabili dinanzi al Tribunale (cfr. art. 39 della legge federale del 13 ottobre 1965 sull’imposta preventiva [LIP, RS 642.21], in combinato disposto con l’art. 32 LTAF). Il Tribunale è dunque competente per dirimere la presente vertenza. Fatta

      eccezione per quanto prescritto direttamente dalla LTAF come pure da eventuali normative speciali, la procedura dinanzi al Tribunale è di principio retta dalla PA (cfr. art. 37 LTAF; art. 2 cpv. 4 PA). Su riserva dell’art. 2 cpv. 1 PA – che per inciso menziona dei principi comunque applicati per analogia dal Tribunale nell’ambito delle procedure in materia d’imposta preventiva – quanto precede vale altresì per la presente procedura di ricorso ([tra le tante] sentenza del TAF A-2164/2020 del 3 agosto 2020 consid. 1.1).

    2. Il presente ricorso è stato interposto tempestivamente (cfr. art. 20 segg., art. 50 PA), nel rispetto delle esigenze di contenuto e di forma previste dalla legge (cfr. art. 52 PA). L’atto impugnato è una decisione dell’AFC fondata sul diritto pubblico federale giusta l’art. 5 PA, che condanna il ricorrente al pagamento di crediti d’imposta preventiva. Poiché la decisione impugnata comporta un onere pecuniario per il ricorrente, quest’ultimo risulta legittimato a ricorrere ai sensi dell’art. 48 cpv. 1 PA.

2.

    1. Con ricorso al Tribunale amministrativo federale possono essere invocati la violazione del diritto federale, compreso l’eccesso o l’abuso del potere di apprezzamento (cfr. art. 49 lett. a PA), l’accertamento inesatto o incompleto di fatti giuridicamente rilevanti (cfr. art. 49 lett. b PA) nonché l’inadeguatezza (cfr. art. 49 lett. c PA; cfr. MOSER/BEUSCH/KNEUBÜHLER, Prozessieren vor dem Bundesverwaltungsgericht, 2a ed. 2013, n. 2.149).

    2. Il Tribunale amministrativo federale non è vincolato né dai motivi addotti (cfr. art. 62 cpv. 4 PA), né dalle considerazioni giuridiche della decisione impugnata, né dalle argomentazioni delle parti (cfr. DTF 142 V 551 consid. 5; 141 V 234 consid. 1; DTAF 2007/41 consid. 2; MOOR/POLTIER, Droit administratif, vol. II, 3a ed. 2011, no. 2.2.6.5, pag. 300). I principi della massima inquisitoria e dell’applicazione d’ufficio del diritto sono tuttavia limitati: l’autorità competente procede difatti spontaneamente a constatazioni complementari o esamina altri punti di diritto solo se dalle censure sollevate o dagli atti risultino indizi in tal senso (cfr. DTF 141 V 234 consid. 1 con rinvii; 122 V 157 consid. 1a; 121 V 204 consid. 6c; DTAF 2007/27 consid. 3.3). Secondo il principio di articolazione delle censure (« Rügeprinzip ») l’autorità di ricorso non è tenuta a esaminare le censure che non appaiono evidenti o non possono dedursi facilmente dalla constatazione e presentazione dei fatti, non essendo a sufficienza sostanziate (cfr. DTF 141 V 234 consid. 1; MOSER/BEUSCH/KNEUBÜHLER, op. cit., n. 1.55). Il principio inquisitorio non è quindi assoluto, atteso che la sua portata è limitata dal dovere delle parti di collaborare all’istruzione della causa (cfr. DTF 143 II 425 consid. 5.1; 140 I 285 consid. 6.3.1; 128 II 139 consid. 2b). Il dovere

processuale di collaborazione concernente in particolare il ricorrente che interpone un ricorso al Tribunale nel proprio interesse, comprende, in particolare, l’obbligo di portare le prove necessarie, d’informare il giudice sulla fattispecie e di motivare la propria richiesta, ritenuto che in caso contrario arrischierebbe di dover sopportare le conseguenze della carenza di prove (cfr. art. 52 PA; cfr. DTF 140 I 285 consid. 6.3.1; 119 III 70 consid. 1; MOOR/POLTIER, op. cit., no. 2.2.6.3, pag. 293 e segg.).

3.

Prima di entrare nel merito del ricorso, il Tribunale deve sincerarsi dell’eventuale prescrizione dei crediti d’imposta preventiva qui in oggetto.

3.1

      1. La prescrizione è infatti una questione di diritto che va esaminata d’ufficio dall’autorità e non necessita d’essere sollevata dall’assoggettato (cfr. DTF 142 II 182 consid. 3.2.1; sentenza del TF 2C_243/2014 del 4 dicembre 2014 consid. 5 con rinvio; MICHAEL BEUSCH, Der Untergang der Steuerforderung, 2012, pag. 278; STEPHANIE EICHENBERGER, in: Oberson/Hinny [ed.], Commentaire droits de timbre, 2006, n. 5 ad art. 30 LTB). Poiché la prescrizione del credito fiscale – se constatata – comporta la perenzione della pretesa dell’autorità inferiore, pure tale doglianza verrà esaminata qui di seguito dal Tribunale.

      2. La prescrizione dei crediti fiscali in materia di imposta preventiva è retta dall’art. 17 LIP. Per quanto riguarda fattispecie di carattere penale, determinante è invece la legge federale del 22 marzo 1974 sul diritto penale amministrativo (DPA, RS 313.0), applicabile all’imposta preventiva virtù del rinvio dell’art. 67 cpv. 1 LIP (cfr. [tra le tante] sentenza del TAF A-458/2017 del 23 agosto 2018 consid. 6.1.1; sentenza parziale e decisione incidentale del TAF A-550/2016 del 22 giugno 2017 consid. 4.3.1 con rinvii). Giusta l’art. 12 cpv. 4 DPA, l’obbligo di pagamento o di restituzione non si prescrive finché non siano prescritte l’azione penale e l’esecuzione della pena. Riguardo alle contravvenzioni consistenti nella sottrazione o nella messa in pericolo di tasse o nell’ottenimento indebito di una restituzione, di una riduzione o di un condono di tasse ai sensi dell’art. 11 cpv. 2 DPA, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che – in base al diritto in vigore a partire dal 1° ottobre 2002 – il termine di prescrizione è di 7 anni (cfr. art. 11 cpv. 2 DPA in relazione con l’art. 333 cpv. 6 lett. b CP e l’art. 97 cpv. 1 lett. d CP; DTF 143 IV 228 consid. 4.4 con rinvii; 134 IV 328 consid. 2.1; [tra le tante] sentenza del TAF A-2078/2016 del 1° novembre 2016 consid. 4.2.2 con rinvii; BEUSCH/MALLA, in: Zweifel/Beusch/Bauer-Balmelli [ed.], Kommentar zum Schweizerischen Steuerrecht, Bundesgesetz über

        die Verrechnungssteuer, 2a ed. 2012 [di seguito: VStG-Kommentar], n. 51 segg. ad « Vorbemerkungen zu Art. 61-67 »). Tale è in particolare il caso in presenza di una sottrazione d’imposta ai sensi dell’art. 61 LIP, verosimilmente realizzata allorquando una società anonima fa una prestazione valutabile in denaro facilmente riconoscibile come tale dai partecipanti, senza tuttavia dichiarare e pagare spontaneamente l’imposta preventiva. Il termine di prescrizione di 7 anni è sospeso durante i procedimenti d’opposizione, di reclamo o giudiziari circa l’obbligo di pagamento o restituzione (cfr. art. 11 cpv. 3 DPA; DTF 143 IV 228 consid. 5 con rinvii; [tra le tante] sentenze del TAF A-2164/2019 del 3 agosto 2020 consid. 4.1.2 con rinvii; A-458/2017 del 23 agosto 2018 consid. 6.1.1; BEUSCH/MALLA, VStG-Kommentar, n. 56 ad « Vorbemerkungen zu Art. 61-67 »).

      3. Conformemente all’art. 98 CP – applicabile in virtù dell’art. 2 DPA – il termine di prescrizione di 7 anni decorre dal giorno in cui l’autore ha esercitato la sua attività colpevole, detto giorno non essendo tuttavia preso in conto nel calcolo del termine (cfr. DTF 143 IV 228 consid. 4.5; 134 IV 297 consid. 4.1). Allorquando una società anonima effettua una prestazione valutabile in denaro cedendo ad un azionista o ad una persona a lui vicina dei redditi non contabilizzati e ciò, in violazione della legislazione amministrativa federale, il termine di prescrizione inizia a decorrere soltanto all’indomani della data di consegna del bilancio erroneo, rispettivamente del conto erroneo – ovvero, del documento contabile nel quale non sono stati contabilizzati i ricavi ceduti agli azionisti o a persone vicine a quest’ultimi – all’AFC (« [d]ie […] Verjährungsfrist […] beginnt erst nach dem Termin zu laufen, an dem die unrichtige Jahresrechnung bei der ESTV eingereicht wurde […] » in: sentenza del TF del 26 marzo 1987 consid. 5, in: ASA 56 pag. 203 segg.; cfr. DTF 143 IV 228 considd. 4.6.1-4.6.3; sentenza parziale e decisione incidentale del TAF A-550/2016 del 22 giugno 2017 consid. 4.4.2 con rinvii). In tal caso, l’attività colpevole ai sensi dell’art. 98 CP consiste nella consegna di documenti contabili irregolari alla competente autorità (cfr. [tra le tante] sentenze del TAF A-2164/2019 del 3 agosto 2020 consid. 4.1.3; A-458/2017 del 23 agosto 2018 consid. 6.1.2 con rinvii).

Qualora invece una società abbia omesso non solo di contabilizzare la prestazione valutabile in denaro da lei effettuata, ma anche di allestire e/o di consegnare i propri rendiconti all’AFC, la decorrenza del termine di prescrizione di 7 anni va calcolata tenendo conto altresì di quanto disposto dall’art. 38 cpv. 2 LIP e soprattutto dall’art. 21 cpv. 1 dell’ordinanza del 19 dicembre 1966 sull’imposta preventiva (OIPrev, RS 642.211) in combinato disposto con l’art. 699 cpv. 2 CO (società anonima). Più nel dettaglio, in virtù dell’art. 21 cpv. 1 OIPrev, ogni società anonima (art. 9 cpv. 1 LIP) è

tenuta a consegnare spontaneamente i propri conti annuali all’AFC, nei 30 giorni successivi alla loro approvazione. Ai sensi dell’art. 699 cpv. 2 CO, l’assemblea ordinaria – durante la quale vengono per l’appunto approvati i conti annuali – si svolge ogni anno, entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale. Sulla base di detti disposti di legge, è dunque lecito considerare che nel caso in cui una società non ottemperi al suo obbligo di consegna dei conti annuali all’AFC, il termine di prescrizione inizia a decorrere all’indomani dei sei mesi e trenta giorni dopo la fine dell’esercizio durante il quale detta società ha effettuato una prestazione valutabile in denaro soggetta all’imposta preventiva (cfr. sentenza del TAF A-2164/2019 del 3 agosto 2020 consid. 4.1.3).

3.2 In concreto, i crediti d’imposta preventiva oggetto della ripresa fiscale dell’autorità inferiore concernono i periodi fiscali 2007-2012 in rapporto a delle prestazioni valutabili in denaro nella forma di distribuzioni dissimulate di reddito effettuate dalla B. a persone ad essa vicine, ai sensi dell’art. 4 cpv. 1 lett. b LIP e dell’art. 20 cpv. 1 OIPrev. Trattandosi di fatto di una sottrazione d’imposta, risulta qui applicabile il termine di prescrizione di 7 anni (cfr. consid. 3.1.2 del presente giudizio). Detto ciò, occorre stabilire il giorno in cui l’autore ha esercitato la sua attività colpevole, il termine di prescrizione decorrendo l’indomani di tale data (cfr. consid. 3.1.3 del presente giudizio).

Ora, secondo quanto indicato dall’autorità inferiore (cfr. decisione impugnata, consid. 6.2) e risultante dai due Moduli 103 agli atti (cfr. atto n. 13 dell’incarto prodotto dall’autorità inferiore [di seguito: inc. AFC]), i conti 2007-2008 della società sono stati inviati all’AFC nel mese di novembre 2009, ma al più presto in data 16 novembre 2009, giorno in cui si è tenuta l’assemblea generale che ha approvato i conti annuali. Il termine di prescrizione ha dunque iniziato a decorrere all’indomani del loro invio, ossia al più presto in data 17 novembre 2009 e sarebbe giunto a scadenza al più presto in data 17 novembre 2016. Sennonché esso è stato validamente sospeso con decisione 27 luglio 2016 e lo è rimasto durante la procedura di reclamo dinanzi all’AFC e quella successiva di ricorso dinanzi al Tribunale (cfr. consid. 3.1.2 del presente giudizio).

Sempre secondo quanto indicato dall’autorità inferiore (cfr. decisione impugnata, consid. 6.2), i conti 2009-2012 della società non sono invece mai stati inviati all’AFC. Quelli 2009-2010 sono però stati ritrovati (cfr. atto

n. 12 dell’inc. AFC). Da questi e dalla ricostruzione effettuata dalla DAPI è risultato che la società ha omesso di contabilizzare dei ricavi di sua

spettanza, senza dichiarare e pagare spontaneamente l’imposta preventiva. In tal caso, così come giustamente ritenuto dall’autorità inferiore, si deve considerare che il termine di prescrizione di 7 anni ha iniziato a decorrere all’indomani dei sei mesi e trenta giorni dopo la fine dell’esercizio durante il quale la società ha effettuato una prestazione valutabile in denaro soggetta all’imposta preventiva (cfr. consid. 3.1.3 del presente giudizio). In concreto, i conti 2009 della società avrebbero dovuto essere inviati all’autorità inferiore al più tardi entro il 30 luglio 2010, quelli 2010 entro il 30 luglio 2011, quelli 2011 entro il 30 luglio 2012 e quelli 2012 entro il 30 luglio 2013. Il termine di prescrizione di 7 anni è quindi iniziato a decorrere all’indomani di tali date, ovvero il 31 luglio 2010, il 31 luglio 2011, il 31 luglio 2012 e il 31 luglio 2013 e sarebbe giunto a scadenza il 31 luglio 2017, 31 luglio 2018, il 31 luglio 2019 e il 31 luglio 2020. Sennonché, tale termine è stato validamente sospeso dall’autorità inferiore con decisione del 27 luglio 2016 e lo è rimasto durante la procedura di reclamo dinanzi all’AFC e quella successiva di ricorso dinanzi al Tribunale (cfr. consid. 3.1.2 del presente giudizio).

Ne discende che tutti i crediti fiscali oggetto della ripresa fiscale dell’autorità inferiore non sono ancora prescritti.

4.

Ciò appurato, nel caso in disamina, oggetto del ricorso è la ripresa d’imposta preventiva operata nei confronti del ricorrente dall’autorità inferiore, in correlazione con le cifre d’affari conseguite dalla società B. durante i periodi fiscali 2007-2012, ma da lei non contabilizzate, nell’ambito dell’attività del bar e dell’affittacamere del motel/postribolo « D. ». Di fatto, l’autorità inferiore ha infatti ritenuto che dette cifre d’affari sarebbero state incassate « in nero » dal ricorrente e dal signor F. , nella loro qualità di azionisti della società. In tale contesto, essa ha ritenuto la sussistenza di prestazioni valutabili in denaro erogate dalla società B. nella forma di distribuzioni dissimulate di utile ai suoi azionisti – tra cui il qui ricorrente – ai sensi dell’art. 4 cpv. 1 lett. b LIP in combinato disposto con l’art. 20 cpv. 1 OIPrev. Tale ripresa fiscale essendo qui recisamente contestata dal ricorrente, per il Tribunale si tratterà essenzialmente di esaminare se la stessa è corretta o meno.

5.

In tale ottica, qui di seguito verranno innanzitutto richiamati i principi applicabili alla fattispecie.

    1. La Confederazione può riscuotere un’imposta preventiva sul reddito dei capitali mobili (cfr. art. 132 cpv. 1 Cost.; art. 1 cpv. 1 LIP). L’imposta preventiva è rimborsata al beneficiario della prestazione decurtata dell’imposta (cfr. art. 1 cpv. 2 LIP).

    2. Stante l’art. 4 cpv. 1 lett. b LIP, oggetto dell’imposta sono, tra l’altro, i redditi di capitali mobili da azioni, quote sociali, in società, a garanzia limitata o cooperative, buoni di partecipazione e buoni di godimento, emessi da una persona domiciliata in Svizzera. Per i redditi di capitali mobili essa ammonta al 35% della prestazione imponibile (cfr. art. 13 cpv. 1 lett. a LIP).

      L’art. 20 cpv. 1 OIPrev considera reddito imponibile di azioni, ogni prestazione valutabile in denaro corrisposta dalla società ai titolari di diritti di partecipazione, o a terze persone loro vicine, che non abbia il carattere di rimborso delle quote di capitale sociale versato esistenti all’atto della prestazione (come ad esempio: dividendi, buoni, azioni gratuite, buoni di partecipazione gratuiti, eccedenze di liquidazione, ecc.). La nozione di prestazione valutabile in denaro ai sensi dell’art. 20 OIPrev corrisponde di principio a quella dell’art. 20 cpv. 1 lett. c della legge federale del 14 dicembre 1990 sull’imposta federale diretta (LIFD, RS 642.11; cfr. DTF 143 IV 288 consid. 4.1; sentenze del TF 2C_123/2016 del 21 novembre 2017

      consid. 3.3; 2C_263/2014 del 21 gennaio 2015 consid. 5.1; [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.2 con rinvii).

      In assenza di lacune sostanziali o d’irregolarità formali atte a mettere in dubbio la credibilità della contabilità del contribuente, come pure in assenza di una divergenza manifesta ed importante tra i risultati allibrati e lo stato reale di fatto, le autorità fiscali devono attenersi alla presunzione d’esattezza di cui fruisce tale contabilità (cfr. DTF 134 II 207 consid. 3.3; 106 Ib 311 considd. 3c e 3d; [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.2 con rinvii).

      1. Ai sensi dell’art. 20 cpv. 1 OIPrev, nella nozione di prestazione valutabile in denaro rientra altresì la cosiddetta « distribuzione dissimulata di utili » o « distribuzione occulta di utili » (« verdeckte Gewinausschütungen »). Per costante giurisprudenza, si è di fronte ad una simile prestazione valutabile in denaro, allorquando le tre seguenti condizioni cumulative risultano adempiute (cfr. DTF 143 IV 228 consid. 4.1; 140 II 88 consid. 4.1;

        138 II 57 consid. 2.2; sentenze del TF 2C_9/2017 del 7 agosto 2020 con-

        sid. 4.1; 2C_91/2019 del 12 settembre 2019 consid. 3.1; [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.2.1 con rinvii):

        1. La società effettua una prestazione senza ottenere un’adeguata controprestazione da parte del beneficiario, ciò che di fatto ne comporta l’impoverimento economico. Tale prestazione non ha carattere di rimborso delle quote di capitale sociale.

        2. Questa prestazione è corrisposta ad un titolare di diritti di partecipazione della società, ossia ad uno degli azionisti della società (titolare diretto) o a terze persone vicine a quest’ultimo (titolare indiretto). Essa trova il proprio fondamento esclusivamente in un rapporto di partecipazione alla società stessa: una simile prestazione deve procurare al suo beneficiario un vantaggio che in analoghe circostanze non sarebbe stato accordato alle medesime condizioni ad una terza persona non partecipe alla società, per cui la prestazione risulta insolita.

        3. Il carattere insolito della prestazione, in particolare la sproporzione tra la prestazione e la controprestazione, deve essere riconoscibile per gli organi della società.

        A tal proposito, è qui doveroso precisare che nella prassi viene talvolta indicato che le condizioni cumulative da adempiere sono invero quattro. Ciò è dovuto al fatto che la seconda condizione sopracitata viene talvolta suddivisa a sua volta in due: (a) prestazione accordata ad un azionista o a una persona a lei vicina; (b) prestazione che non sarebbe stata accordata alle medesime condizioni ad un terzo (cfr. sentenze del TF 2C_9/2017 del 7 agosto 2020 consid. 4.1; 2C_91/2019 del 12 settembre 2019 consid. 3.1; [tra le tante] sentenza del TAF A-6214/2018 del 20 aprile 2020 consid. 2.4.2). Ciò posto, va altresì precisato che le prestazioni che la società effettua a favore dei suoi azionisti o di terze persone a lui vicine, fondate su un’altra base giuridica che il rapporto di partecipazione, ad esempio su un contratto di diritto privato che avrebbe potuto essere concluso anche con un terzo estraneo alla società, non sono invece soggetti all’imposta preventiva (cfr. DTF 144 II 427 consid. 6.1; 119 Ib 431 consid. 2b; sentenza del TF 2C_499/2011 del 9 luglio 2012 consid. 4.2; [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.2.1 con rinvii).

      2. Quali prestazioni valutabili in denaro, qualificate pure come distribuzioni dissimulate di utile, valgono anche le rinunce a determinati proventi in favore dell’azionista o di una persona a lui vicina, con una corrispondente riduzione, presso la società, dell’utile esposto nel conto economico. Questa forma di prestazione valutabile in denaro viene definita con la nozione di

        « prelevamento anticipato dell’utile » o di « sottrazione previa dell’utile » (« Gewinnvorwegnahme »), anche se in realtà non ha per oggetto la

        sottrazione di utili già concretamente confluiti nella società. Essa sussiste per l’appunto quando la società rinuncia interamente o parzialmente a degli introiti normalmente di sua spettanza, che vengono così incassati direttamente dall’azionista o da una persona a lui vicina, rispettivamente quando quest’ultimi non forniscono una controprestazione che la società esigerebbe da un terzo indipendente (cfr. DTF 119 Ib 116 consid. 2; 113 Ib 23 consid. 2d; sentenze del TF 2C_9/2017 del 7 agosto 2020 consid. 4.1; 2C_91/2019 del 12 settembre 2019 consid. 3.2 con rinvii; 2C_726/2009 del 20 gennaio 2010 consid. 2.2 con rinvii; [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.2.2 con rinvii).

      3. Secondo la giurisprudenza, una terza persona vicina all’azionista ai sensi dell’art. 20 OIPrev può essere una persona fisica imparentata con l’azionista o anche una persona giuridica ch’egli controlla. La prassi considera inoltre come vicini all’azionista i soggetti con cui quest’ultimo intrattiene delle relazioni personali o commerciali che dall’insieme delle circostanze appaiono come il vero motivo della prestazione imponibile. In particolare sono da ritenere tali quelle persone alle quali l’azionista permette di fare uso della società come se fosse la loro (cfr. [tra le tante] sentenze del TF 2C_857/2020 dell’11 febbraio 2021 consid. 4.5; 2C_177/2016 e 2C_178/2016 del 30 gennaio 2017 consid. 4.3 con rinvii; 2C_377/2009 del 9 settembre 2009 consid. 2.2; 2A.342/2005 del 9 maggio 2006 consid. 2.2; DTAF 2011/45 consid. 4.2 con rinvii; [tra le tante] sentenze del TAF A- 2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.2.3 con rinvii; A-2288/2017 dell’8 maggio 2020 consid. 3.2.1 con rinvii).

5.3 L’obbligazione fiscale spetta al debitore della prestazione imponibile, il quale deve eseguirla dopo averne dedotto l’imposta preventiva (cfr. art. 10 cpv. 1 in relazione con l’art. 14 cpv. 1 LIP). Il beneficiario della prestazione è quindi – tenuto conto dell’obbligazione del debitore di trasferirgli l’imposta preventiva – il destinatario dell’imposta, ovverosia colui che sopporta il carico fiscale. Egli non ha tuttavia alcuna obbligazione procedurale da adempiere nel contesto della procedura di percezione dell’imposta preventiva; tali obblighi devono difatti essere adempiuti dal debitore della prestazione che è il soggetto fiscale (cfr. [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.3 con rinvii).

5.4

      1. In materia di imposta preventiva, la dichiarazione e il pagamento del tributo sono rette dal principio dell’autotassazione, in applicazione del quale il contribuente ha l’obbligo di annunciarsi come tale all’AFC, senza

        esservi sollecitato (cfr. art. 38 cpv. 1 LIP) e deve, alla scadenza dell’imposta (cfr. art. 16 LIP), presentare spontaneamente all’AFC il rendiconto prescritto, corredato dei giustificativi e pagare in pari tempo l’imposta o compiere la notifica sostitutiva del pagamento (cfr. artt. 19 e 20 LIP; art. 38 cpv. 2 LIP). Il contribuente è quindi il solo responsabile nella compilazione esatta dei moduli dei rendiconti e delle dichiarazioni d’imposta e dei questionari (cfr. art. 39 cpv. 2 lett. 1 LIP) nonché nel procedere con il versamento dell’imposta preventiva dovuta (cfr. [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.4.1 con rinvii).

      2. La prova dell’esistenza di una prestazione valutabile in denaro ai sensi dell’art. 20 OIPrev – e meglio dei tre/quattro relativi elementi costitutivi (cfr. consid. 5.2.1 del presente giudizio) – incombe all’AFC. Il criterio della prestazione « giustificata dall’uso commerciale », applicato in materia di imposte dirette non è un elemento costitutivo negativo di una prestazione valutabile in denaro. L’autorità fiscale deve in particolare apportare la prova che la società ha accordato a un azionista o a una persona vicina una prestazione valutabile in denaro senza ottenere una controprestazione adeguata. La prova diretta che il beneficiario della prestazione è un azionista o un terzo vicino alla società contribuente non è tuttavia necessaria, essendo infatti sufficiente che non sia possibile spiegare in alcun altro modo lo svolgimento dell’insolita operazione (cfr. sentenze del TF 2C_9/2017 del 7 agosto 2020 consid. 4.1; 2C_16/2015 del 6 agosto 2015 consid. 2.5.3 con rinvii). Se le prove addotte dall’AFC costituiscono degli indizi sufficienti in merito all’esistenza di una simile sproporzione, rispettivamente se la stessa rende verosimile la sussistenza di una prestazione valutabile in denaro, spetta allora al contribuente dimostrare il contrario. In tal caso, il contribuente può contestare il proprio assoggettamento all’imposta adducendo la controprova atta a dimostrare che il criterio dell’uso commerciale è adempiuto (cfr. DTF 138 II 57 consid. 7.1; sentenze del TF 2C_9/2017 del 7 agosto 2020 consid. 4.2; 2C_91/2019 del 12 settembre

        2019 consid. 3.3; 2C_16/2015 del 6 agosto 2015 consid. 2.5.3 con rinvii; DTAF 2011/45 consid. 4.3.2.2 con rinvii; [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.4.2 con rinvii). La controprova è apportata, allorquando la prova principale viene rovesciata. Non è tuttavia necessario che il Tribunale sia convinto dell’esattezza della contestazione (cfr. DTF 130 III 321 consid. 3.4; 120 II 393 consid. 4b; [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.4.2 con rinvii).

        In linea di massima, il principio dell’autotassazione (cfr. art. 38 LIP; consid. 5.4.1 del presente giudizio) e l’obbligo di collaborare del contribuente

        (cfr. art. 39 LIP; consid. 5.4.3 del presente giudizio) non modificano la suddetta ripartizione dell’onere probatorio. Una violazione dell’obbligo di collaborare con conseguente mancanza di prove per l’autorità fiscale può però eventualmente condurre ad un’inversione dell’onere probatorio (cfr. sentenza del TAF A-6214/2018 del 20 aprile 2020 consid. 1.6.4 con rinvii).

      3. Giusta l’art. 39 LIP, la società contribuente deve dunque indicare coscienziosamente all’autorità fiscale tutti i fatti che possono essere importanti per l’accertamento dell’obbligazione fiscale o delle basi di calcolo dell’imposta; essa deve in particolare presentare, su richiesta, tutti i documenti corredati dai giustificativi e da altra documentazione (cfr. lett. b). Se è vero che l’autorità fiscale non deve sostituire il proprio potere d’apprezzamento a quello della direzione commerciale della società contribuente, vero è anche che quest’ultima deve tuttavia provare che le prestazioni in questione sono giustificate dall’uso commerciale. Solo in tal modo, l’autorità fiscale può sincerarsi che il motivo alla base del carattere insolito di dette prestazioni è puramente commerciale e non dovuto alle strette relazioni personali o economiche in essere tra la società e il beneficiario delle prestazioni (cfr. DTF 119 Ib 431 consid. 2c con rinvii; sentenze del TF 2C_499/2011 del 9 luglio 2012 consid. 4.3; 2A.342/2005 del 9 maggio 2006 consid. 2.3; [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.4.3 con rinvii).

Chi sostiene che un pagamento da esso incassato non lo concerne, deve essere in grado di provare tale allegazione producendo dei documenti giustificativi. Analogamente, chi effettua un pagamento senza che lo stesso risulti giustificato da alcun documento deve sopportare le conseguenze di una simile mancanza di prove, nel senso che deve attendersi che lo stesso venga qualificato a livello fiscale come una prestazione valutabile in denaro soggetta ad imposta preventiva. Inoltre, può sussistere una prestazione valutabile in denaro soggetta all’imposta preventiva, se appare ovvio che sono gli azionisti stessi della società ad essere i suoi beneficiari e se non è data un’altra spiegazione. Quando la società contribuente fa tutto quanto in suo potere per produrre tutte le prove e i documenti giustificativi richiesti dall’autorità fiscale ai sensi dell’art. 39 LIP, quest’ultima ne deve tenere conto nel proprio giudizio (cfr. sentenza del TF 2C_499/2011 del 9 luglio 2012 consid. 4.3 con rinvii; [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.4.3 con rinvii).

5.5

      1. Allorquando l’AFC accerta l’esistenza di una prestazione valutabile in denaro soggetta all’imposta preventiva, segnatamente nella forma di una

        distribuzione dissimulata di utili, la cui entità non è tuttavia chiaramente quantificabile, essa ne stabilisce l’ammontare ricorrendo alla tassazione d’ufficio. Ciò è in particolare il caso, allorquando la società contribuente non adempie ai doveri impostigli dalla legge, rispettivamente non fornisce delle indicazioni affidabili oppure fornisce solo indicazioni insufficienti o errate. Le lacune nella tenuta della contabilità della società contribuente non devono infatti né procurarle un vantaggio fiscale, né condurre ad una perdita d’imposta. Il ricorso alla tassazione d’ufficio deriva implicitamente dagli artt. 39 e 41 lett. a LIP. In tale contesto, quando esegue una tassazione d’ufficio, l’AFC deve fondarsi sul corso ordinario delle cose e sul comportamento del contribuente. La tassazione d’ufficio deve permettere all’AFC di ricostruire la fattispecie imponibile, la più verosimile alla realtà. In caso di dubbi, l’AFC non è tenuta a tenere conto della fattispecie più favorevole al contribuente (cfr. sentenze del TF 2C_499/2011 del 9 luglio 2012 consid. 5.5; 2C_502/2008 del 18 dicembre 2008 consid. 4.2; [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.5.1 con rinvii; MICHAEL BEUSCH, VStG-Kommentar, n. 9 ad art. 13 LIP con rinvii).

        Analogamente a quanto avviene in materia IVA, l’AFC deve scegliere il metodo di stima che meglio le permette di tenere in considerazione le caratteristiche della società contribuente in questione. Quali metodi di stima, entrano in linea di conto i metodi che tendono a completare o ricostruire una contabilità mancante e quelli che si fondano sui dati basati sull’esperienza in rapporto ai risultati parziali incontestati derivanti dalla contabilità. Le parti probanti della contabilità e i documenti esistenti devono essere presi in considerazione, per quanto possibile, nella stima. Essi possono altresì servire di base di calcolo (cfr. [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.5.1 con rinvii).

      2. Nella procedura di ricorso il contribuente può contestare l’adempimento dei presupposti per una stima, come pure la stima stessa delle cifre d’affari realizzate in quanto tali. Orbene, l’onere della prova in merito alla sussistenza dei presupposti per procedere ad una tassazione d’ufficio (primo stadio), come pure riguardo ai motivi alla base della conseguente stima (secondo stadio), incombono all’AFC. Ciò precisato, nell’esaminare la correttezza della stima effettuata dall’autorità inferiore il Tribunale amministrativo federale procede con un certo riserbo e non sostituisce il proprio potere di apprezzamento a quello di quest’ultima, se non in presenza di errori manifesti. Qualora i presupposti per una tassazione d’ufficio siano dati, la prova che le valutazioni svolte dall’AFC non sono corrette rispettivamente portano a risultati manifestamente errati spetta al contribuente (terzo stadio). In tale ottica, è necessario che il contribuente

indichi chiaramente in che misura la pretesa fiscale debba essere minore di quella valutata dall’AFC, dimostrando che il risultato della valutazione è frutto di errori rilevanti. Egli non può limitarsi a criticare in via del tutto generica le basi del calcolo, bensì deve dimostrare con dei documenti giustificativi che la stima effettuata dall’AFC è manifestamente erronea (cfr. sentenze del TF 2C_885/2019 del 5 marzo 2020 consid. 4.1.5 con rinvii; 2C_1077/2012 del 24 maggio 2014 consid. 2.5). Solo in tal caso il Tribunale sostituisce il suo potere d’apprezzamento a quello dell’autorità inferiore, correggendo la tassazione (cfr. sentenze del TF 2C_499/2011 del 9 luglio 2012 consid. 5.5; 2C_502/2008 del 18 dicembre 2008 consid. 4.2; [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.5.2 con rinvii).

5.6 Giusta l’art. 16 cpv. 1 lett. c LIP, l’imposta preventiva scade trenta giorni dopo che è sorto il credito fiscale. Per i redditi da capitale mobiliare, il credito fiscale sorge alla scadenza della prestazione imponibile (cfr. art. 12 cpv. 1 LIP). Un interesse di mora del 5% annuo è dovuto, senza diffida, sugli importi di imposta non ancora pagati alle scadenze stabilite dal cpv. 1 fino al giorno del pagamento (cfr. art. 12 cpv. 2 LIP in combinato disposto con l’art. 1 dell’ordinanza del 29 novembre 1996 del Dipartimento federale delle finanze concernente l’interesse di mora in materia d’imposta preventiva [RS 642.212]; [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.6 con rinvii).

5.7

      1. Allorquando la sottrazione d’imposta ai sensi dell’art. 61 LIP è stabilita con verosimiglianza, in virtù del rinvio dell’art. 67 cpv. 1 LIP, la riscossione posticipata dei crediti d’imposta preventiva è retta dall’art. 12 DPA (cfr. [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.7.1 con rinvii).

      2. L’art. 12 cpv. 1 lett. a DPA dispone che qualora, per un’infrazione alla legislazione amministrativa federale, una tassa non è stata a torto riscossa, essa deve essere pagata successivamente, interessi compresi, e ciò indipendentemente dalla punibilità di una determinata persona. L’art. 12 cpv. 2 DPA precisa che obbligata al pagamento è la persona che ha fruito dell’indebito profitto, segnatamente quella obbligata al pagamento della tassa elusa. Di conseguenza, quando una società effettua una prestazione valutabile in denaro a favore dei titolari di diritti di partecipazione, o a terze persone a lei vicine, senza deduzione dell’imposta preventiva sottratta (cfr. art. 20 cpv. 1 OIPrev in correlazione con l’art. 4 cpv. 1 lett. b LIP), quest’ultimi sono chiamati, sulla base dell’art. 12 cpv. 2 DPA, a restituire la

        somma di cui hanno indebitamente fruito. Accanto a dette persone beneficiarie della prestazione valutabile in denaro, tenuta al pagamento è altresì la stessa società che l’ha erogata (cfr. art. 10 cpv. 1 LIP in correlazione con l’art. 14 cpv. 1 LIP). Affinché l’art. 12 cpv. 2 DPA trovi applicazione, occorre che sia oggettivamente stata compiuta un’infrazione penale. L’applicazione di questa norma non dipende per contro né da una responsabilità penale specifica, né da una colpa, né ancora dal promovimento di una procedura penale. L’art. 12 cpv. 1 DPA permette dunque di procedere al recupero di una tassa (o un tributo) che non è stata percepita a seguito di un’infrazione alla legislazione amministrativa federale, anche qualora nessuno sia punibile (cfr. [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.7.2 con rinvii).

      3. In virtù dell’art. 12 cpv. 3 DPA, la persona che, intenzionalmente, ha commesso l’infrazione o vi ha partecipato risponde in solido, con le persone obbligate al pagamento secondo il cpv. 2, della somma da pagare o da restituire (cfr. [tra le tante] sentenza del TAF A-2153/2019 del 3 agosto 2020 consid. 6.7.2 con rinvii). La responsabilità solidale di cui all’art. 12 cpv. 3 DPA concerne l’autore dell’infrazione e/o il compartecipe. Detta norma si applica all’autore e al compartecipe che non sono già assoggettati personalmente all’obbligo di pagamento in virtù dell’art. 12 cpv. 2 DPA. Per impegnare la loro responsabilità solidale, l’autore e il compartecipe devono aver commesso infrazione intenzionalmente. Un’infrazione commessa per negligenza o per omissione non comporta infatti una responsabilità solidale. A differenza dei cpv. 1 e 2 dell’art. 12 DPA – in virtù dei quali l’autorità amministrativa può emanare delle decisioni d’assoggettamento suscettibili di fare l’oggetto di misure d’esecuzione – il cpv. 3 dell’art. 12 DPA esige che sia un’autorità penale o giudiziaria a pronunciarsi in merito alla responsabilità solidale di una persona (cfr. DTF 115 Ib 216 consid. 3a; 114 Ib 94 consid. 5c; [tra le tante] sentenze del TAF A-3056/2015 del 22 dicembre 2016 consid. 5.6.5; A-3798/2009 del 27 marzo 2012 consid. 5.2.6). La questione a sapere se un’infrazione sia stata commessa intenzionalmente è infatti una questione di responsabilità penale di competenza esclusiva delle autorità penali. Ora, a livello dell’Amministrazione, la stessa autorità (al massimo un altro Dipartimento di detta autorità) è spesso responsabile sia della determinazione del credito fiscale che dell’azione penale. Tuttavia il percorso si divide al più tardi con la procedura giudiziaria. Il Tribunale amministrativo federale è competente solo per determinare l’importo del credito fiscale, mentre il chiarimento degli aspetti di diritto penale è (in linea di principio) lasciato ai tribunali penali cantonali o se necessario al Tribunale penale federale. Riguardo alla responsabilità solidale dell’art. 12 cpv. 3 DPA, è stato sancito che l’autorità amministrativa può solo

pronunciarsi sull’importo dei crediti fiscali e deve lasciare all’autorità penale la questione della responsabilità solidale fondata sulla colpa penale. L’autorità amministrativa fissa quindi solo l’importo massimo in relazione al quale l’autorità penale deve decidere sulla responsabilità solidale (cfr. DTF 115 Ib 216 consid. 3a; 114 Ib 94 consid. 5c; sentenza del TF 2C_363/2010, 2C_405/2010 e 2C_406/2010 del 6 ottobre 2010 consid. 7.1; sentenza del TAF A-6686/2018 e A-6691/2018 del 30 agosto 2019 consid. 1.1.2).

6.

Stabiliti i principi applicabili, per poter verificare la fondatezza della ripresa d’imposta preventiva in oggetto, il Tribunale deve in primo luogo determinare se per i periodi fiscali 2007-2012 l’autorità inferiore poteva ritenere nei confronti della B. , la sussistenza di prestazioni valutabili in denaro soggette all’imposta preventiva ai sensi dell’art. 4 cpv. 1 lett. b LIP in combinato disposto con l’art. 20 cpv. 1 OIPrev, in particolare fondandosi sugli elementi di prova raccolti dalla DAPI, così come da lei poi ripresi puntualmente nella decisione impugnata.

Più concretamente, per il Tribunale si tratterà dunque (1) di verificare se nel caso della B. le tre (quattro) condizioni cumulative alla base della sussistenza di una prestazione valutabile in denaro risultano qui adempiute (cfr. consid. 6.1 del presente giudizio). In caso affermativo, (2) il Tribunale dovrà poi stabilire se vi siano i presupposti per una tassazione d’ufficio (cfr. consid. 6.2 del presente giudizio), dal momento che l’autorità inferiore – e prima di lei, la DAPI – ha ricorso alla ricostruzione delle cifre

d’affari non contabilizzate dalla B.

per stabilire l’entità delle

prestazioni valutabili in denaro, ovvero la base imponibile all’imposta preventiva. In caso affermativo, (3) il Tribunale dovrà poi verificare se la ricostruzione dell’ammontare delle prestazioni valutabili in denaro erogate dalla B. è corretta o meno (cfr. consid. 6.3 del presente giudizio). In correlazione con quest’ultimo punto, (4) il Tribunale dovrà infine verificare l’attribuzione delle prestazioni valutabili in denaro ai relativi beneficiari operata dall’autorità inferiore (cfr. consid. 6.4 del presente giudizio).

6.1 Ciò premesso, il Tribunale deve innanzitutto verificare se nel caso della

società B.

l’autorità inferiore poteva ritenere la sussistenza di

prestazioni effettuate senza ottenere un’adeguata controprestazione nella forma di distribuzioni dissimulate di utile ai suoi azionisti (cfr. in merito all’onere probatorio a carico dell’autorità fiscale, consid. 5.4.2 del presente giudizio). Come detto, si tratta qui di esaminare l’adempimento dei

presupposti alla base di una prestazione valutabile in denaro (cfr. in merito ai presupposti, consid. 5.2.1 del presente giudizio).

6.1.1

        1. Nella decisione impugnata, l’autorità inferiore – sulla base delle risultanze dell’inchiesta penale amministrativa della DAPI, così come riassunte nel PVF del 5 gennaio 2015 – ha ritenuto nei confronti della B. la sussistenza di prestazioni valutabili in denaro nella forma di

          « distribuzioni dissimulate di utile » ai suoi due azionisti, ovvero il ricorrente e il signor F. , durante i periodi fiscali 2007-2012, in correlazione con una parte delle cifre d’affari da lei non contabilizzate e realizzate nell’ambito della gestione del postribolo/motel « D. » (cfr. decisione impugnata, consid. 3.1.1).

        2. Più nel dettaglio, l’autorità inferiore indica che secondo quanto

ricostruito dalla DAPI, la B.

aveva in locazione il motel

« D. » a X. -Y. , di proprietà della società C. , nel quale veniva esercitata l’attività di bar che serviva da punto di incontro tra prostitute e clienti e di affittacamere, dove in seguito venivano intrattenuti i clienti. La direttrice del locale risultava essere la signora Wanda E. , moglie del signor E. , amministratore unico della B. . Come risulterebbe dagli interrogatori, la signora E. non si sarebbe però mai occupata di gestire la società. Di fatto, sarebbe stato il signor E. ad occuparsi dell’intera gestione del bar e dell’affittacamere. Il signor E. avrebbe amministrato e gestito autonomamente il locale, si sarebbe occupato delle fatture e dell’ordinazione della merce. Due volte al mese, esso si sarebbe incontrato con i proprietari del motel, ovvero il qui ricorrente e il signor F. (a metà mese solo con il signor F. , mentre a fine mese con entrambi), e insieme avrebbero verificato le fatture e l’andamento degli incassi. Sarebbero però stati i due proprietari ad autorizzare il signor E. a pagare le fatture, a decidere quale cifra d’affari comunicare al contabile affinché venisse contabilizzata e a spartirsi a fine mese « in nero » una parte degli incassi a contanti, nella misura del 50% ciascuno (cfr. decisione impugnata, consid. 3.1.1).

L’autorità inferiore ha poi rilevato che il ricorrente e il signor F. erano inoltre gli azionisti della B. , in ragione del 50% ciascuno. Per i periodi fiscali 2007-2012, il ricorrente avrebbe lui stesso ammesso di detenere il 50% delle azioni della B. (cfr. PVF del 5 gennaio 2015, punto n. 3.4). In tali circostanze, l’autorità inferiore, basandosi su quanto emerso dall’inchiesta della DAPI, ha ritenuto che ogni mese, una parte

degli incassi della B.

sarebbe stata spartita tra i due predetti

azionisti e proprietari del motel prima che questi venissero contabilizzati, in ragione del 50% ciascuno. In tali condizioni, essa ha ritenuto che si trattava palesemente di vantaggi e di prestazioni che non sarebbero mai stati accordati ad un terzo esterno alla società, senza controprestazione corrispondente e senza essere contabilizzati. Ciò non avrebbe alcuna giustificazione economica e troverebbe la sua motivazione solo e unicamente sulla base dello stretto legame tra queste persone e la società (cfr. decisione impugnata, consid. 3.2.1). Infine, l’autorità inferiore ha ritenuto la mancata contabilizzazione dei ricavi della società come talmente insolita che difficilmente avrebbe potuto passare inosservata ai suoi organi (cfr. decisione impugnata, consid. 3.3).

6.1.2 A tal proposito, il Tribunale osserva come l’analisi della DAPI – riassunta in dettaglio ai punti n. 3.1-3.2 e 3.4 del PVF del 5 gennaio 2015 (cfr. atto n. 10 dell’inc. AFC), con puntuali citazioni degli estratti dei processi verbali d’interrogatorio (di seguito: PVI; contenuti nell’atto n. 11 dell’inc. AFC) su cui essa si è fondata – che precede, così come ripresa dall’autorità inferiore nella decisione impugnata, risulti corretta. All’epoca della decisione impugnata, tutti gli elementi a disposizione dell’autorità inferiore erano infatti tali ch’essa poteva ritenere la sussistenza di prestazioni valutabili in denaro nella forma di distribuzioni dissimulate di

utile erogate dalla B.

ai suoi due azionisti. In effetti, nel caso

concreto è pacifico che durante i periodi fiscali 2007-2012 detta società abbia omesso di contabilizzare una parte delle cifre d’affari da lei conseguite mediante l’attività di bar e di affittacamere del motel

« D. ». È altresì pacifico che dette cifre d’affari sono state incassate « in nero » direttamente dai suoi due azionisti, nonché proprietari del predetto motel, ovvero il qui ricorrente e il signor F. . Tale elemento non viene infatti contestato dal ricorrente, tant’è che è lui stesso ad avere ammesso tale circostanza (cfr. PVI ricorrente del 13 novembre 2014, pagg. 2 seg. [atti DAPI n. 130.100.071-072]). È altresì accertato che il ricorrente era azionista nella misura del 50% della B. , così come da lui stesso dichiarato a più riprese dinanzi alla DAPI (cfr. citato PVF, punto n. 3.4 con rinvii alle dichiarazioni del ricorrente). L’altro azionista nella misura del 50% restante era il signor F. (cfr. citato PVF, punto

n. 3.4.2). Si tratta palesemente di vantaggi e prestazioni che non sarebbero mai stati accordati ad un terzo esterno alla società, senza controprestazione corrispondente e senta essere contabilizzati. Ciò non trova alcuna giustificazione economica e si può spiegare solo e unicamente sulla base dello stesso legame tra i due azionisti e la società. I due beneficiari di detti ricavi – e dunque delle prestazioni valutabili in denaro – erano il ricorrente

e il signor F. . La mancata contabilizzazione dei ricavi è poi così insolita, che non poteva essere ignorata dagli organi della società.

In tale contesto, il Tribunale ritiene dunque che, nel caso della società B. l’autorità inferiore era legittimata a ritenere, sulla base degli elementi a sua disposizione, la sussistenza di prestazioni valutabili in denaro nella forma di distribuzioni dissimulate di reddito ai suoi due azionisti, ovvero il ricorrente e il signor F. , ai sensi dell’art. 4 cpv. 1 lett. b LIP in combinato disposto con l’art. 20 cpv. 1 OIPrev.

    1. Appurata la sussistenza di prestazioni valutabili in denaro, il Tribunale deve esaminare se in concreto vi sono i presupposti per una tassazione d’ufficio (cfr. consid. 5.5 del presente giudizio), visto che l’autorità inferiore

      • e prima di lei la DAPI – ha ricorso alla ricostruzione delle cifre d’affari non

        contabilizzate dalla B.

        per stabilire l’entità delle prestazioni

        valutabili in denaro, ovvero la base imponibile all’imposta preventiva.

        A tal proposito, il Tribunale rileva – come giustamente indicato dall’autorità inferiore (cfr. decisione impugnata, consid. 3.1.1) – che è assodato che una parte degli incassi della società è stata spartita « in nero » direttamente a contanti, prima che gli stessi venissero contabilizzati dalla società. Già da ciò si deduce che la contabilità della B. era senz’altro lacunosa, non riportando detti incassi percepiti dal ricorrente e dal signor F. . Tale elemento non è peraltro contestato dal ricorrente, sicché non vi è motivo di mettere in dubbio tale elemento. In tali circostanze, si deve ritenere che è a giusto titolo che la DAPI e poi l’autorità inferiore hanno ricorso ad una stima – ovvero una tassazione d’ufficio – per ricostruire le cifre d’affari della società (cfr. consid. 5.5.1 del presente giudizio).

    2. Ciò stabilito, il Tribunale deve verificare se la ricostruzione da parte dell’autorità inferiore dell’ammontare delle prestazioni valutabili in denaro erogate dalla B. è plausibile, adeguata e corretta. In tale contesto, si precisa che il Tribunale non si discosta dalla stima dell’autorità inferiore, se non in presenza di errori manifesti (cfr. consid. 5.5.2 del presente giudizio).

      1. Nella decisione impugnata, l’autorità inferiore si è essenzialmente fondata sulla ricostruzione della DAPI riassunta nel PVF del 5 gennaio 2015, per stabilire le cifre d’affari del bar e dell’affittacamere del motel (cfr. decisione impugnata, consid. 3.1.1).

        1. Per quanto concerne la ricostruzione della cifra d’affari del bar, la DAPI si è fondata sui dati a sua disposizione, ossia a) gli scontrini di cassa sequestrati dalla Polizia cantonale in data 26 aprile 2012 e b) l’acquisto della merce, come segue (cfr. decisione impugnata, consid. 3.1.1.1).

          1. L’autorità inferiore indica che, secondo gli scontrini di cassa sequestrati dalla Polizia cantonale, concernenti il periodo 1° aprile 2012 – 26 aprile 2012 (26 giorni), risultavano incassi per 44'330 franchi (cfr. atti DAPI

            n. 140.200.196-200). Gli inquirenti hanno quindi stabilito l’incasso mensile in 51'150 franchi (= fr. 44'330 / 26 giorni x 30 giorni). Considerando tale cifra quale incasso standard, la DAPI è quindi giunta ad un incasso annuale di 613'800 franchi (= fr. 51'150 x 12 mesi). Poiché, per l’anno 2012 l’attività è cessata a fine aprile, la cifra d’affari totale è stata calcolata in 197'780 franchi (= [fr. 51'150 x 3 mesi] + fr. 44'330).

            2007

            2008

            2009

            2010

            2011

            2012

            Scontrini

            fr.

            613'800

            fr.

            613'800

            fr.

            613'800

            fr.

            613'800

            fr.

            613'800

            fr. 197'780

          2. Al fine di avvicinarsi il più possibile agli incassi reali, l’autorità inferiore precisa che la DAPI ha poi chiesto a tutti i fornitori conosciuti, ovvero quelli indicati in contabilità e/o di cui è stata trovata una fattura, copie delle fatture intestate alla società B. concernenti l’acquisto di merce nel periodo in questione ed ha moltiplicato la quantità di merce acquistata con un prezzo unitario. II prezzo unitario corrisponde a quello risultante dagli scontrini di cassa sequestrati dalla Polizia cantonale concernenti il periodo dal 1° al 26 aprile 2012 (cfr. atti DAPI

          n. 140.200.196-200). Quale esempio, l’autorità inferiore indica che, secondo tali scontrini (cfr. atto DAPI n. 140.200.196) per il caffè sono stati incassati 6'868.50 franchi per complessivi 1'158 franchi caffè venduti: il bar applicava quindi un prezzo di vendita unitario del caffè di 5.93134715 franchi (= fr. 6'868.50 / fr. 1'158). Se poi ad esempio si prendono le 780 unità di caffe acquistate il 31 gennaio 2006, moltiplicate con il prezzo unitario summenzionato, si arriva quindi ad un totale incassato dal bar di 4'626.45 franchi (cfr. atto DAPI n. 142.200.047). Di seguito riportiamo la cifra d'affari annuale derivante da tale ricostruzione (cfr. per i dettagli, atto DAPI n. 142.200.047-174).

          2007

          2008

          2009

          2010

          2011

          2012

          Fatture

          fr.

          927'428

          fr.

          666'650

          fr. 831'291

          fr.

          728'909

          fr.

          650'786

          fr. 198'631

          La cifra d’affari del bar è poi stata calcolata facendo una media aritmetica tra le due ricostruzioni summenzionate.

          2007

          2008

          2009

          2010

          2011

          2012

          Scontrini

          fr. 613'800

          fr. 613'800

          fr. 613'800

          fr. 613'800

          fr. 613'800

          fr. 197'780

          Fatture

          fr. 927'428

          fr. 666'650

          fr. 831'291

          fr. 728'909

          fr. 650'786

          fr. 198'631

          Totale

          fr. 1'541'228

          fr. 1'280'450

          fr. 1'445'091

          fr. 1'342’709

          fr. 1'264'586

          fr. 396'411

          Media

          fr. 770'614

          fr. 640'225

          fr. 722'545

          fr. 671'354

          fr. 632'293

          fr. 198'205

        2. Per quanto concerne invece la ricostruzione della cifra d’affari dell’affittacamere, la DAPI ha ricostruito a) il prezzo medio delle camere e

          b) il numero delle ragazze che hanno soggiornato presso la struttura, come segue (cfr. decisione impugnata, consid. 3.1.1.2).

          1. L’autorità inferiore indica che, poiché non esisteva un tariffario ufficiale, il prezzo delle camere è stato dapprima calcolato dalla DAPI secondo quanto indicato dalle persone coinvolte durante gli interrogatori effettuati dalla Polizia cantonale. Facendo la media tra quanto dichiarato dal ricorrente e dai signori E. e G. (cameriere e gerente del motel nell’ultimo periodo) nei primi interrogatori, il prezzo medio di una camera ammontava così a 152.50 franchi per notte (cfr. citato PVF, punto n. 3.3.2.1, con rinvii ai singoli interrogatori). Tuttavia, in occasione dei successivi interrogatori effettuati dalla DAPI, i proprietari della B. – il ricorrente e il signor F. – hanno dichiarato che vi erano differenti categorie di camere e che nel corso degli anni i prezzi avevano subito delle modifiche. La DAPI ha dunque deciso di prendere in considerazione le nuove indicazioni dei proprietari, riducendo a 125 franchi il prezzo medio di una camera per notte (cfr. citato PVF, punti n. 3.3.3 e 3.3.4).

            2007

            2008

            2009

            2010

            2011

            2012

            Prezzo

            fr.

            125

            fr.

            125

            fr.

            125

            fr.

            125

            fr.

            125

            fr.

            125

          2. Per quanto riguarda il numero di ragazze che hanno soggiornato presso la struttura, e quindi dei pernottamenti, la DAPI ha ritenuto affidabili le notifiche effettuate dal gerente signor E. all’Ente del Turismo del X. (cfr. atto DAPI n. 125.114.004-117, riassunte nell’atto DAPI n. 125.114.005).

          2007

          2008

          2009

          2010

          2011

          2012

          Pernott.

          6'622

          6'519

          6'935

          6'587

          6'328

          1'631

          La cifra d’affari dell’affittacamere è quindi stata calcolata moltiplicando il prezzo medio delle camere con il numero dei pernottamenti presso la struttura.

          2007

          2008

          2009

          2010

          2011

          2012

          Prezzo

          fr. 125

          fr. 125

          fr. 125

          fr. 125

          fr. 125

          fr. 125

          Pernott.

          6'622

          6'519

          6'935

          6'587

          6'328

          1'631

          Totale

          fr. 827'750

          fr. 814'875

          fr. 866'875

          fr. 823'375

          fr. 791'000

          fr. 203'875

        3. Sulla base delle due predette ricostruzioni (cfr. considd. 6.3.1.1 e

6.3.1.2 del presente giudizio), l’autorità inferiore ha ritenuto che la cifra d’affari complessiva realizzata da entrambe le attività della B. , ovvero quella di bar e affittacamere, cosi come ricostruita dalla DAPI, ammonterebbe quindi a (cfr. decisione impugnata, consid. 3.1.1.3):

2007

2008

2009

2010

2011

2012

Bar

fr. 770'614

fr. 640'225

fr. 722'545

fr. 671'354

fr. 632'293

fr. 198'205

Affitt.

fr. 827'750

fr. 814'875

fr. 866'875

fr. 823'375

fr. 791'000

fr. 203'875

Totale CA ricostruita

fr. 1'598'364

fr. 1'455'100

fr. 1'589'420

fr. 1'494'729

fr. 1'423'293

fr. 402’080

Per stabilire i ricavi non contabilizzata dalla B. , l’autorità inferiore indica che per gli anni 20072010 sono poi stati dedotti i ricavi (ricavi d’esercizio ristorazione e camere) risultanti dai rendiconti della società (cfr. conti B. ), ossia i ricavi che sono stati effettivamente dichiarati dalla società. Per gli anni 2011 e 2012, poiché la B. non disponeva di una contabilità definitiva, sono invece stati dedotti i costi dell’attività definiti per apprezzamento. Per fare ciò, l’autorità inferiore precisa che è stata fatta una ratio tra i costi sopportati dalla società nel 2010 di 1'021'675 franchi (= totale costi fr. 1'037'203 ./. utile d’esercizio fr. 15'528; cfr. conti B. , 2010) e la cifra d’affari 2010 di 1'494'729 franchi. Si è quindi giunti ad una percentuale del 68.35% (= fr. 1'021'675 / fr. 1'494'729 x 100), che è poi stata applicata alla cifra d’affari del 2011 e del 2012. Per l’anno 2011 i costi ammonterebbero a 972'821 franchi (= 68.35 % di fr. 1'423'293) e per l’anno 2012 a 274'822 franchi (= 68.35% di fr. 402'080). Se detta stima dei costi non fosse stata effettuata dall’AFC, sarebbe allora stato l’importo totale della cifra d’affari ricostruita a dover essere considerata come non contabilizzata dalla società e – come tale – a costituire una prestazione agli azionisti per gli anni 2011 e 2012.

2007

2008

2009

2010

2011

2012

CA

ricostruita

fr. 1'598'364

fr. 1'455'100

fr. 1'589'420

fr. 1'494'729

fr. 1'423'293

fr. 402'080

./. ricavi

dichiarati

fr. 1'132'111

fr. 1'125'969

fr. 1'081'028

fr. 1'062'306

fr. 0

fr. 0

./. costi

stimati

fr. 0

fr. 0

fr. 0

fr. 0

fr. 972'821

fr. 274'822

Totale ricavi non contabiliz.

fr.

466'253

fr.

329'131

fr.

508'392

fr.

432'423

fr.

450'472

fr. 127'258

Sulla base di quanto emerge dalla tabella qui sopra, l’autorità inferiore ha ritenuto che il totale degli ricavi non contabilizzati dalla B. per i periodi 2007-2012 ammonterebbe quindi a 2'313'929 franchi (= fr. 466'253

+ fr. 329'131 + fr. 508'392 + fr. 432'423 + fr. 450'472 + fr. 127'258). Questo

importo, secondo l’autorità inferiore, corrisponderebbe dunque alla

prestazione fatta dalla B. controprestazione.

senza ottenere un’adeguata

6.3.2 Visti gli atti dell’incarto – in particolar modo il PVF del 5 gennaio 2015 (cfr. atto n. 10 dell’inc. AFC) e i relativi allegati (cfr. atto n. 11 dell’inc. AFC, in particolare atti DAPI ivi contenuti n. 125.114.004-117, n. 140.200.196200 e n. 140.200.196 su cui poggia la ricostruzione delle cifre d’affari del bar e dell’affittacamere) – quanto ritenuto dall’autorità inferiore e dalla DAPI appare non solo plausibile, ma del tutto convincente, sicché il Tribunale non può che confermare le loro conclusioni. Al fine di evitare inutili ripetizioni, l’analisi dettagliata dei predetti calcoli e degli elementi presi in conto per la suddetta ricostruzione verrà esposta dal Tribunale nell’ambito dell’esame delle censure del ricorrente (cfr. consid. 7 del presente giudizio, a cui si rinviano le parti). Per quanto qui necessario, il Tribunale osserva come la ricostruzione delle cifre d’affari della DAPI ripresa dall’autorità inferiore – così come appena esposta poc’anzi (cfr. consid. 6.3.1 del presente giudizio) – appaia oggettivamente corretta, la stessa fondandosi sui documenti giustificativi a disposizione (scontrini di cassa [cfr. atti DAPI n. 140.200.196-200], fatture dei fornitori [cfr. atti DAPI n. 142.200.047-174]

e notifiche all’Ente del Turismo del X.

[cfr. atti DAPI

n. 125.114.004-117]), la contabilità esistente (cfr. atto n. 12 dell’inc. AFC) e le dichiarazioni delle persone coinvolte nella vicenda (cfr. citato PVF, punti

n. 3.3.2.1, 3.3.3 e 3.3.4, ove sono riportate tali dichiarazioni). Il metodo applicato dall’autorità inferiore per ricostruire le cifre d’affari del bar e dell’affittacamere risulta plausibile e proporzionato.

Peraltro, come indicato dall’autorità inferiore (cfr. decisione impugnata, consid. 3.1.2.4 in fine; risposta 8 aprile 2020, pag. 3), il Tribunale osserva come il ricorrente abbia comunque confermato dinanzi alla DAPI di aver investito in nero, congiuntamente al signor F. , 2 milioni di franchi in un capannone ubicato a V. e che tali fondi provenivano dai

profitti distribuiti dalla società B.

(cfr. PVI ricorrente del

13 novembre 2014, pag. 7 [atto DAPI n. 130.100.075]). Ora, questo importo si avvicina di molto all’importo totale dei ricavi non contabilizzati di

2'313'929 franchi risultante dalla ricostruzione delle cifre d’affari del bar e dell’affittacamere effettuata dalla DAPI e ripresa dall’autorità inferiore nella decisione impugnata, rendendo detta ricostruzione ancor più plausibile.

In tale frangente, in assenza altresì di errori manifesti, il Tribunale non intravvede alcun motivo per discostarsi dalla predetta ricostruzione, sicché si deve ritenere che l’importo totale delle prestazioni valutabili in denaro ammonta a 2'313'929 franchi, così come ritenuto dall’autorità inferiore (cfr. consid. 6.5.2 del presente giudizio).

    1. Da ultimo, il Tribunale deve ora verificare l’attribuzione delle prestazioni valutabili in denaro ai relativi beneficiari operata dall’autorità inferiore. Più concretamente, si tratta di stabilire se l’autorità inferiore – e prima di lei, la DAPI – poteva attribuire al ricorrente il 50% delle prestazioni valutabili in denaro in oggetto e il restante 50% al signor F. .

      Nella decisione impugnata, l’autorità inferiore ha constatato che il ricorrente

      • per sua stessa ammissione – era azionista nella misura del 50% della B. , nonché che il signor F. era azionista del restante 50% di detta società. Dette due persone erano altresì proprietari del motel, ove avveniva l’attività di bar e di affittacamere, del quale si sono spartiti in contanti e in nero il 50% dei ricavi. In tali circostanze, l’autorità inferiore ha applicato la proporzione 50/50, imputando al ricorrente il 50% delle prestazioni valutabili in denaro e il restante 50% al signor F. (cfr. decisione impugnata, considd. 3.1.1 e 3.2.1; risposta 8 aprile 2020, pag. 3). Tale modo di procedere appare qui corretto e trova riscontro negli atti (cfr. in particolare, già citato PVF, punto n. 3.4; PVI ricorrente del 13 novembre 2014, pagg. 2 seg. [atti DAPI n. 130.100.071-072]; PVI E. del 27 aprile 2012, pag. 3 [atto DAPI n. 140.200.132]), sicché il Tribunale non intravvede un motivo per discostarsene. Poiché detta proporzione non è peraltro contestata dal ricorrente, la stessa va pertanto confermata.

    2. In definitiva, visto quanto precede, il Tribunale è di avviso che sia a giusto titolo che l’autorità inferiore – e prima di lei, la DAPI – ha ritenuto nel caso della B. la sussistenza di prestazioni valutabili in denaro nella forma di distribuzioni dissimulate di utile ai suoi due azionisti, ovvero il qui ricorrente e il signor F. , nella misura del 50% ciascuno, soggette all’imposta preventiva ai sensi l’art. 4 cpv. 1 lett. b LIP in combinato disposto con l’art. 20 cpv. 1 OIPrev.

7.

Ciò constatato, il Tribunale deve ora esaminare in dettaglio se sulla base delle censure e delle prove presentate dal ricorrente in questa sede, lo stesso è riuscito a produrre la controprova inficiante l’analisi dell’autorità inferiore e della DAPI (cfr. consid. 5.4.2 del presente giudizio).

    1. A tal proposito, il Tribunale rileva preliminarmente che il ricorrente non contesta né la sua qualità di azionista nella misura del 50% della B. , né la sua qualità di proprietario nella misura del 50% del motel

      « D. », come neppure di aver beneficiato delle cifre d’affari conseguite e non contabilizzate da detta società nella gestione di detto motel. Tali elementi non sono dunque qui litigiosi. Di fatto, il ricorrente contesta soltanto la ricostruzione delle cifre d’affari – per i motivi già esposti dinanzi all’autorità inferiore, così come indicati nell’allegato 1 accluso al ricorso – e il suo assoggettamento al pagamento dei crediti d’imposta preventiva in oggetto, poiché nessuna responsabilità personale o solidale gli sarebbe imputabile (cfr. ricorso 19 febbraio 2020, pagg. 1-3; osservazioni 30 maggio 2020, pagg. 1-3).

      Ciò premesso, qui di seguito (cfr. considd. 7.2 e 7.3 del presente giudizio), il Tribunale esaminerà dapprima le censure relative alla ricostruzione delle cifre d’affari del bar e dell’affittacamere. Le censure concernenti la responsabilità personale e solidale del ricorrente per il pagamento dei crediti d’imposta in oggetto, verranno invece esaminate dal Tribunale in un secondo momento (cfr. consid. 8 del presente giudizio, al quale si rinviano le parti).

    2. In concreto, il ricorrente contesta la ricostruzione delle cifre d’affari della B. , sostenendo che le cifre proposte dall’autorità inferiore sarebbero molto aleatorie. A suo avviso, tali cifre d’affari potrebbero essere ricostruite in maniera del tutto diversa da quanto effettuato dall’autorità inferiore, rinviando per i motivi all’allegato 1 denominato « osservazioni aggiuntive spontanee verbale finale », ch’egli aveva già prodotto dinanzi all’autorità inferiore (cfr. atto n. 3 dell’inc. AFC), richiamando in particolare le sue contestazioni circa gli scontrini di cassa, l’acquisto merci e l’asserita conseguente errata ricostruzione della media (cfr. ricorso 19 febbraio 2020, pag. 1; osservazioni 30 maggio 2020, pag. 1).

Così facendo il ricorrente non si confronta tuttavia sufficientemente con quanto indicato dall’autorità inferiore al consid. 3.1.2.4 della decisione impugnata, in risposta alle censure da lui sollevate nell’allegato 1, come invece richiesto dall’obbligo di motivare le proprie censure (cfr. consid. 2.1 del presente giudizio). In tali circostanze, il Tribunale si limiterà dunque a

verificare se è a giusto titolo che l’autorità inferiore non ha tenuto conto delle censure sollevate dal ricorrente nell’allegato 1, per quanto concerne la ricostruzione delle cifre d’affari del bar (cfr. consid. 7.2.1 del presente giudizio) e dell’affittacamere (cfr. consid. 7.2.2 del presente giudizio).

7.2.1

        1. Circa la ricostruzione delle cifre d’affari del bar, nell’allegato n. 1 il ricorrente ha in sostanza contestato la sola presa in conto degli scontrini di cassa concernenti un periodo di soli 26 giorni, sostenendo che non si tratterebbe di un campione rappresentativo determinato secondo le corrette regole statistiche (cfr. allegato 1, pagg. 1 seg.). Il ricorrente ha altresì contestato il volume degli acquisti, indicando che si sarebbe dovuto tenere conto dei costi sostenuti dalla società B. (cfr. allegato 1, pagg. 2 seg.). Lo stesso ha poi contestato la conseguente presa in conto della media aritmetica tra le due ricostruzioni (cfr. allegato 1, pag. 3).

        2. Al riguardo, nella decisione impugnata, l’autorità inferiore ha spiegato al ricorrente che, in assenza di una contabilità tenuta correttamente, la DAPI ha dovuto ricostruire le cifre d’affari della società B. sulla base dei dati a sua disposizione. Per quanto concerne gli scontrini di casa, essa precisa che né il ricorrente, né nessuna altra persona coinvolta nella vicenda, avrebbe mai trasmesso gli scontrini di cassa relativi agli anni 2007-2012. Per tale motivo, essa si è fondata sui soli scontrini a sua disposizione. Per avvicinarsi il più possibile alla realtà, la DAPI ha poi effettuato una seconda ricostruzione in funzione dell’acquisto della merce ed effettuato una media aritmetica delle due ricostruzioni (cfr. decisione impugnata, consid. 3.1.2.4).

        3. In tale contesto, il Tribunale ritiene che le spiegazioni dell’autorità inferiore siano sufficienti e plausibili, sicché non intravvede alcun motivo per discostarsene. In assenza di una contabilità completa e dei relativi documenti giustificativi – come nel caso della società B. – l’autorità inferiore e la DAPI sono infatti autorizzate a ricorrere alla tassazione d’ufficio, nonché a ricostruire le cifre d’affari sulla base degli elementi a loro disposizione (cfr. consid. 5.5.1 del presente giudizio). Ora, il fatto di basarsi da un lato sugli scontrini di casa a disposizione concernenti un periodo di 26 giorni e dall’altro sull’acquisto di merci (fatture dei fornitori), prendendo in considerazione la media aritmetica dei risultati ottenuti dalle due ricostruzioni appare qui non solo come proporzionato e plausibile, ma anche favorevole al ricorrente, la stessa conducendo ad una cifra d’affari ricostruita più bassa. Il Tribunale non intravvede alcun motivo per discostarsi dal metodo di stima scelto dalla DAPI e ripreso dall’autorità

inferiore. Del resto in questa sede, come visto (cfr. consid. 7.1 del presente giudizio), il ricorrente si è limitato a contestare in maniera generica la predetta ricostruzione, senza tuttavia confrontarsi con la decisione impugnata e/o produrre mezzi di prova a sostegno della sua posizione, quali ad esempio dei documenti giustificativi comprovanti le cifre d’affari effettive del bar.

7.2.2

        1. Circa la ricostruzione della cifra d’affari dell’affittacamere, nell’allegato 1 il ricorrente ha in sostanza contestato la presa in conto dei dati forniti dall’Ente del Turismo del X. , in quanto statistici e non effettivi. Il ricorrente ha poi sottolineato che per il prezzo di vendita delle camere non sarebbe stata fatta un’attenta analisi poiché alcuni avventori avrebbero di chiarato dei prezzi più bassi ed in tale prezzo sarebbe pure compreso il pranzo, per un costo medio di 20 franchi (cfr. allegato 1, pagg 3 segg.).

        2. Al riguardo, nella decisione impugnata, l’autorità inferiore ha spiegato al ricorrente che sarebbe stato lui stesso, nel corso di un interrogatorio, a confermare che non vi era motivo di dubitare dell’esattezza delle indicazioni fornite da parte del signor E. all’Ente del Turismo del X. (cfr. atto DAPI n. 130.100.074). Per quanto concerne invece il prezzo delle camere, l’autorità inferiore ribadisce che in un primo tempo esso è stato fissato a 152.50 franchi, dopo aver effettuato una media dei prezzi indicati dal ricorrente e il signor E. e dal signor G. . In seguito esso è stato ridotto a 125 franchi, visto che in un secondo tempo il ricorrente avrebbe confermato di stimare il prezzo medio a 121.90 franchi

          (cfr. atto DAPI n. 130.100.074) e il signor F.

          a 120/130 franchi

          (cfr. atto DAPI n. 130.100.104). L’autorità inferiore ha poi indicato che il ricorrente non avrebbe apportato alcun elemento sufficiente per determinare se il costo medio del pranzo si attestasse effettivamente a 20 franchi e se le ragazze ne beneficiassero realmente e in che misura. D’altra parte, la ricostruzione della DAPI avrebbe permesso di risalire alla reale cifra d’affari della società B. poiché questa sarebbe stata contabilizzata in misura nettamente minore. Essa ha infine indicato che i costi per il vitto sarebbero già stati contabilizzati dalla società B. e quindi già presi in conto (cfr. p. es. conto costi « n. 4050 – Alimentari-Cucina-Pizzeria » della predetta società) e che non vi sarebbero prove che la stessa abbia dovuto supportate costi ulteriori in tale ambito (cfr. decisione impugnata, consid. 3.1.2.4).

        3. Anche in questo caso, le spiegazioni dell’autorità inferiore appaiono sufficienti e plausibili, sicché il Tribunale non intravvede alcun motivo per

discostarsene. Lo si ricorda ancora una volta, in assenza di una contabilità completa e dei relativi documenti giustificativi – come nel caso della società

qui in esame – l’autorità inferiore e la DAPI sono infatti

autorizzate a ricorrere alla tassazione d’ufficio, nonché alla ricostruzione delle cifre d’affari sulla base degli elementi a loro disposizione (cfr. consid. 5.5.1 del presente giudizio). Quanto indicato dall’autorità inferiore trova riscontro negli atti da lei citati, in particolar modo dai PVI del ricorrente e delle altre persone interessate. Ciò sancito, il Tribunale rileva in particolare come il ricorrente non risulti qui credibile allorquando contesta l’attendibilità dei dati dell’Ente del Turismo. Non si vede infatti come esso possa in un primo momento averli ritenuti attendibili dinanzi alla DAPI (cfr. PVI ricorrente del 13 marzo 2014, pag. 6 [atto DAPI n. 130.100.074]) per poi affermare il contrario nell’allegato 1. Per quanto attiene invece al prezzo medio della stanza, il Tribunale ritiene che la media presa in conto dall’autorità inferiore sia piuttosto favorevole al ricorrente, dal momento che tiene conto della media aritmetica tra i prezzi più bassi dichiarati in un secondo momento dallo stesso ricorrente (cfr. sopracitato PVI ricorrente, pag. 6) e il signor F. (cfr. PVI F. del 13 novembre 2014, pag. 4 [atto DAPI n. 130.100.104]), rispetto a quelli più alti indicati da altre persone coinvolte nella vicenda. In assenza di prove circa i costi del pranzo, il Tribunale ritiene poi che non vi siano gli estremi per tenere conto del costo medio di 20 franchi indicato dal ricorrente. Del resto, come indicato dall’autorità inferiore, il vitto è già stato contabilizzato dalla società B. (cfr. la voce costi « n. 4050 – Alimentari-Cucina-Pizzeria » nella contabilità di detta società di cui all’atto n. 12 dell’inc. AFC) e dunque preso in conto nella ricostruzione della DAPI.

7.2.3 In definitiva, il Tribunale giunge dunque alla conclusione che gli elementi sollevati dal ricorrente non sono tali da rimettere in discussione la ricostruzione delle cifre d’affari della B. effettuata dalla DAPI e ripresa dall’autorità inferiore, per quanto concerne l’attività del bar e dell’affittacamere. Ne consegue che la predetta ricostruzione va qui integralmente confermata, mentre il ricorso respinto su questo punto.

7.3 Ciò sancito, il Tribunale rileva che, in caso di conferma della ricostruzione delle cifre d’affari della società della DAPI ripresa dall’autorità inferiore nella decisione impugnata, il ricorrente ha chiesto di non tenere conto dei calcoli alla sua base, in quanto essi rappresenterebbero, tra tutti i calcoli possibili e sostenibili, quelli a lui meno favorevoli, rispettivamente l’eventualità peggiore possibile (cfr. osservazioni 30 maggio 2020, pag. 1). Per il resto, il ricorrente ha rinviato ad una sentenza del Tribunale, indicando la

seguente referenza: A-6199/2013 del 3 settembre 2013 (cfr. ricorso 19 febbraio 2020, pag. 1; osservazioni 30 maggio 2020, pag. 1).

Sennonché detta richiesta non può essere qui accolta. Che il metodo di ricostruzione scelto dalla DAPI e ripreso dall’autorità inferiore non piaccia al ricorrente, non è un motivo sufficiente per ritenerlo inapplicabile. Il ricorrente dimentica infatti che lo stesso non può limitarsi a sostenere che la ricostruzione in questione rappresenterebbe « l’eventualità peggiore possibile », lo stesso essendo tenuto ad apportare la prova che i calcoli effettuati dalla DAPI e dall’autorità inferiore sono manifestamente erronei (cfr. consid. 5.5.2 del presente giudizio). Ora, come visto (cfr. consid. 7.2.3 del presente giudizio), una tale prova non è stata da lui prodotta. Ciò constatato, si sottolinea che, in assenza di prove, di documenti giustificativi e di una contabilità corretta e completa, il ricorrente è tenuto a sopportare le conseguenze di una tassazione d’ufficio. Il richiamo generico ad una sentenza dello scrivente Tribunale – peraltro non rinvenibile, la referenza essendo errata – non gli è poi di alcun soccorso, il ricorrente dovendo comunque indicare per quale motivo tale sentenza troverebbe applicazione al suo caso e perché sarebbe qui determinante (cfr. circa il dovere di motivare le proprie censure, consid. 2.2 del presente giudizio). Ciò non è qui il caso, sicché non vi è ragione di attardarsi ulteriormente al riguardo. Ne consegue, che il suo ricorso va respinto anche su questo punto.

8.

Ciò sancito, il Tribunale deve infine esaminare la cerchia delle persone tenute al pagamento della predetta ripresa d’imposta preventiva ai sensi dell’art. 12 cpv. 2 DPA (cfr. considd. 5.7.1 e 5.7.2 del presente giudizio), tale punto essendo contestato recisamente dal ricorrente.

    1. Di fatto, il ricorrente contesta il suo assoggettamento al pagamento dei crediti d’imposta preventiva in oggetto, sostenendo di non aver mai agito come amministratore di fatto della società, di non aver mai adottato un comportamento attivo e intenzionale sulla gestione societaria. A suo avviso non gli sarebbe imputabile né una responsabilità personale, né una responsabilità solidale. Asserendo che le varie procedure penali passate e soprattutto quelle in corso sembrerebbero giungere a conclusioni discordanti, il ricorrente sostiene che occorrerebbe prudenza e l’applicazione del principio « in dubio pro reo ». In ogni caso, il ricorrente sostiene che con la

      cancellazione della società B.

      antecedentemente all’apertura

      della procedura contro detta società, sarebbe decaduto ogni debito fiscale e di conseguenza anche i debiti che ne deriverebbero per gli azionisti e le altre persone coinvolte a titolo sussidiario. Il ricorrente ritiene dunque di

      non poter essere validamente chiamato in causa (cfr. ricorso 19 febbraio 2020, pag. 1 segg.; osservazioni 30 maggio 2020, pag. 2).

    2. Sennonché quanto asserito dal ricorrente non può essere condiviso dal Tribunale, per i motivi seguenti.

      1. In presenza di una presunta sottrazione di imposta come nel caso in disamina, ovvero di un’infrazione alla legislazione amministrativa federale, la riscossione posticipata dell’imposta preventiva elusa è retta dall’art. 12 DPA (cfr. consid. 5.7.1 del presente giudizio). In virtù dell’art. 12 cpv. 2 DPA assoggettati al pagamento retroattivo sono le persone tenute al pagamento dell’imposta preventiva, nonché quelle che hanno fruito dell’indebito profitto (cfr. cfr. art. 10 cpv. 1 LIP in correlazione con l’art. 14 cpv. 1 LIP e l’art. 12 cpv. 2 DPA; consid. 5.7.2 del presente giudizio). Nel caso concreto, gli assoggettati al pagamento retroattivo sono dunque indubbiamente la società B. – che ha omesso di dichiarare le prestazioni valutabili in denaro – nonché il ricorrente e il signor F. , quali persone che – incassando « in nero » una parte dei ricavi conseguiti, ma non contabilizzati dalla predetta società – hanno di fatto fruito dell’indebito profitto. In tale contesto, va precisato che, in virtù dell’art. 12 cpv. 2 DPA, l’assoggettamento posticipato al pagamento dell’imposta preventiva dei beneficiari delle prestazioni valutabili in denaro, interviene nei loro confronti indipendentemente da una qualsiasi colpa. È infatti sufficiente che gli stessi

        • come in concreto – abbiamo beneficiato di un vantaggio pecuniario. Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, poco importa dunque sapere allo stesso possa essere imputata una colpa o meno, rispettivamente s’egli abbia o meno adottato un comportamento attivo e intenzionale nella gestione della società B. .

          Ciò precisato, il Tribunale rileva poi che, poiché – come già rilevato (cfr. parte in fatto del presente giudizio, sub lett. A.a) – la B. è stata a suo tempo radiata dal Registro di commercio, nei confronti di quest’ultima una ripresa fiscale appare chiaramente impossibile. Si deve dunque ritenere che gli unici rimasti assoggettati al pagamento posticipato dell’imposta preventiva ex art. 12 cpv. 2 DPA sono il signor F. e il ricorrente, così come giustamente rilevato dall’autorità inferiore.

      2. Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, il fatto che la società B. sia stata cancellata prima dell’avvio della procedura da parte dell’autorità inferiore non comporta la decadenza dei crediti d’imposta preventiva correlati alle prestazioni valutabili in denaro da lei erogate ai suoi azionisti, nella forma di distribuzioni dissimulate di reddito. Come detto

        (cfr. consid. 8.2.1 del presente giudizio), l’art. 12 cpv. 2 DPA permette di ricercare detti crediti d’imposta non solo presso la società, ma anche presso coloro che hanno concretamente incassato i ricavi non contabilizzati dalla società. Come visto, nel caso della B. sono il qui ricorrente e il signor F. ad avere incassato « in nero » una parte dei ricavi conseguiti e non contabilizzati da detta società. In qualità di beneficiari di detti ricavi, gli stessi sono tenuti al pagamento dell’imposta preventiva ex art. 12 cpv. 2 DPA.

      3. Vano è poi l’appello al principio in dubio pro reo, tale principio non trovando applicazione nell’ambito dell’art. 12 cpv. 2 DPA. Detto principio – come giustamente indicato dall’autorità inferiore (cfr. risposta 8 aprile 2020, pag. 4) – può semmai giocare un ruolo nell’ambito dell’art. 12 cpv. 3 DPA. Ora però, lo scrivente Tribunale non è chiaramente competente per pronunciarsi in merito alla responsabilità solidale ai sensi dell’art. 12 cpv. 3 DPA, tale prerogativa essendo delle competenti autorità penali (cfr. consid. 5.7.3 del presente giudizio). Per tale motivo, il Tribunale non può entrare nel merito delle censure del ricorrente circa la sua responsabilità solidale ex art. 12 cpv. 3 DPA, qui manifestamente irricevibili.

9.

In definitiva, alla luce dei considerandi che precedono, il Tribunale giunge alla conclusione che il ricorso del ricorrente, per quanto qui ricevibile (cfr. consid. 8.2.3 del presente giudizio), va respinto. Ne consegue che la decisione impugnata va integralmente confermata.

10.

In considerazione dell’esito della lite, giusta l’art. 63 cpv. 1 PA, le spese di procedura sono poste a carico del ricorrente qui integralmente soccombente (cfr. art. 1 segg. del regolamento del 21 febbraio 2008 sulle tasse e sulle spese ripetibili nelle cause dinanzi al Tribunale amministrativo federale [TS-TAF, RS 173.320.2]). Nella fattispecie esse sono stabilite in 12'500 franchi (cfr. art. 4 TS-TAF), importo che verrà detratto interamente dall’anticipo spese di 12'500 franchi da lui versato a suo tempo.

Per questi motivi, il Tribunale amministrativo federale pronuncia:

1.

Il ricorso è respinto, per quanto ricevibile.

2.

Le spese processuali pari a 12'500 franchi sono poste a carico del ricorrente. Alla crescita in giudicato del presente giudizio, tale importo verrà interamente dedotto dall’anticipo spese di 12'500 franchi da lui versato a suo tempo.

3.

Comunicazione a:

  • ricorrente (atto giudiziario)

  • autorità inferiore (n. di rif. ***; atto giudiziario)

I rimedi giuridici sono menzionati alla pagina seguente.

Il presidente del collegio: La cancelliera:

Raphaël Gani Sara Pifferi

Rimedi giuridici:

Contro la presente decisione può essere interposto ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale, 1000 Losanna 14, entro un termine di 30 giorni dalla sua notificazione (art. 82 e segg., 90 e segg. e 100 LTF). Il termine è reputato osservato se gli atti scritti sono consegnati al Tribunale federale oppure, all'indirizzo di questo, alla posta svizzera o a una rappresentanza diplomatica o consolare svizzera al più tardi l'ultimo giorno del termine (art. 48 cpv. 1 LTF). Gli atti scritti devono essere redatti in una lingua ufficiale, contenere le conclusioni, i motivi e l'indicazione dei mezzi di prova ed essere firmati. La decisione impugnata e – se in possesso della parte ricorrente – i documenti indicati come mezzi di prova devono essere allegati (art. 42 LTF).

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