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Bundesstrafgericht Urteil

Kopfdaten
Instanz:Bundesstrafgericht
Abteilung:Beschwerdekammer: Rechtshilfe
Fallnummer:RR.2015.323
Datum:02.08.2016
Leitsatz/Stichwort:Assistenza giudiziaria internazionale in materia penale all'italia. Durata del sequestro (art. 33a OAIMP).
Schlagwörter : L Della; Mente; Autorità; Sentenza; Delle; Penal; Tribunale; Consid; Nella; Dell Penale; Corte; autorità; Sequestro; Decisione; Confisca; Ferma; Federal; Federale; Conti; Ltd; Quanto; Rogante; Conferma; Procedura; Stato
Rechtskraft:Kein Weiterzug, rechtskräftig
Rechtsnorm: Art. 12 or;
Kommentar zugewiesen:
Spühler, Basler Kommentar zur ZPO, Art. 321 ZPO ; Art. 311 ZPO, 2017
Entscheid

Bundesstrafgericht

Tribunal pénal fédéral

Tribunale penale federale

Tribunal penal federal

Numero dell'incarto: RR.2015.320 -323

Sentenza del 2 agosto 2016

Corte dei reclami penali

Composizione

Giudici penali federali Stephan Blättler, presidente,

Tito Ponti e Roy Garré ,

Cancelliere Giampiero Vacalli

Parti

1. a. ltd.,

2. B. LTD.,

3. C. LTD.,

4. D. Ltd. ,

tutte rappresentate dagli avv.ti Paolo Bernasconi e Luigi Mattei,

Ricorrenti

contro

Ministero pubblico della Confederazione ,

Controparte

Oggetto

Assistenza giudiziaria internazionale in materia penale all'Italia

Durata del sequestro (art. 33 a OAIMP )


Fatti:

A. Con sentenza del 4 aprile 2013, la Corte dei reclami del Tribunale penale federale ha parzialmente accolto un ricorso presentato dalle società A. Ltd., B. Ltd., C. Ltd. e D. Ltd. contro una decisione del 10 agosto 2012, mediante la quale il Ministero pubblico della Confederazione (in seguito: MPC) ha respinto una domanda di parziale dissequestro di conti bancari presso UBS SA, a Lugano, intestati alle predette, presentata nell'ambito di una procedura riguardante una richiesta di assistenza giudiziaria inoltrata dal Tribunale ordinario di Milano (v. sentenza RR.2012.215 -218). L'autorità giudicante ha nel contempo rinviato la causa al MPC affinché, prima di sbloccare parzialmente i conti in questione, desse la possibilità all'autorità rogante di esporre i motivi a favore del mantenimento della misura conformemente all'art. 12 n. 2 della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato (v. sentenza RR.2012.215 -218 consid. 2.5).

B. Informata dal MPC di quanto sopra, l'autorità rogante, con scritto del 15 maggio 2013, ha espresso la sua ferma opposizione ai parziali dissequestri pronunciati, indicandone i motivi. Preso atto delle motivazioni inoltrate dalle autorità italiane, il MPC, con decisione di chiusura del 7 giugno 2013, ha confermato il sequestro dei conti in parola (v. act. 1.7 pag. 2).

C. Contro tale decisione le società A. Ltd., B. Ltd., C. Ltd. e D. Ltd. sono insorte dinanzi alla Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale chiedendo il parziale dissequestro dei loro conti. Con sentenza del 6 dicembre 2013 questa Corte ha respinto il ricorso (v. act. 1.6). Avendo l'autorità rogante ricevuto nel frattempo, per via rogatoriale, nuova documentazione dalle autorità giudiziarie di Hong Kong ritenuta utile per stabilire la provenienza criminale dei valori patrimoniali sotto sequestro nonché per chiarire il ruolo delle persone che a vario titolo avrebbero influenzato le movimentazioni dei fondi , la presente autorità, in ossequio all'art. 12 CRic , ha ordinato al MPC di fissare all'autorità rogante un termine di sei mesi per fornire nuovi elementi provenienti dalla predetta documentazione atti a confermare il sequestro dei conti bloccati . Sulla base di detta risposta il MPC avrebbe dovuto decidere, alla luce delle vincolanti considerazioni esposte nella sentenza RR.2012.215 -218 del 4 aprile 2013, se mantenere o meno i sequestri, decisione soggetta alle consuete vie ricorsuali.

D. Asserendo che l'autorità rogante non avrebbe fornito, nel termine imposto, nessun nuovo elemento a favore del mantenimento dei sequestri e alla luce della sentenza dell'8 luglio 2014, mediante la quale il Tribunale di Milano (II Sezione penale) ha assolto tutti gli imputati nel processo in Italia, le società A. Ltd., B. Ltd., C. Ltd. e D. Ltd. hanno presentato al MPC, il 10 luglio 2014, un'istanza di riesame e di revoca di sequestro, ciò dopo che l'autorità d'esecuzione aveva già deciso una prima volta, più precisamente il 4 giugno 2014, di non entrare nel merito di una simile precedente richiesta inoltrata il 17 aprile 2014 (v. act. 1.7 pag. 3).

E. Con scritto del 15 luglio 2014 il MPC, basandosi su una comunicazione scritta del 14 luglio precedente ricevuta dall'autorità rogante, ha confermato il sequestro dei conti delle predette società (v. act. 1.7 pag. 3). Con decisione RR.2014.210 -213 del 17 settembre 2014 il Tribunale penale federale ha parzialmente accolto il ricorso inoltrato dalle società toccate contro detta decisione, ordinando il dissequestro del conto intestato a D. Ltd., ed il parziale dissequestro dei conti intestati alle altre società (v. act. 1.7).

F. Il 18 agosto 2015 il Tribunale federale, pronunciandosi sulla base di un ricorso presentato dall'UFG, ha annullato la predetta decisione nella misura in cui ordina il dissequestro del conto intestato a D. Ltd. ed il dissequestro dei conti delle altre tre società a concorrenza della somma eccedente l'importo di USD 87'686'000 (v. act. 1.8).

G. Il 9 settembre 2015 le società A. Ltd., B. Ltd., C. Ltd. e D. Ltd. hanno presentato al MPC un'istanza di riesame e di revoca dei sequestri (v. act. 1.2), la quale è stata respinta in data 7 dicembre 2015 (v. act. 1.1).

H. Con ricorso del 21 dicembre 2015 alla Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale le istanti si aggravano contro la decisione del MPC, postulando la revoca integrale dei sequestri ordinati a carico dei loro conti (v. act. 1).

I. A conclusione del proprio memoriale di risposta del 15 gennaio 2016 il MPC si riconferma nella propria decisione del 7 dicembre 2015 (v. act. 8). Nelle proprie osservazioni del 25 gennaio 2016 l'UFG postula la reiezione del ricorso (v. act. 9).

J. Con replica dell'8 febbraio 2016 le ricorrenti ribadiscono le proprie conclusioni (v. act. 13).

K. Invitati a presentare un'eventuale duplica, l'UFG ed il MPC, con scritti del 24 risp. 26 febbraio 2016, trasmessi alle ricorrenti per informazione, si sono riconfermati nelle loro posizioni (v. act. 15 e 16).

L. Il 21 marzo 2016 le ricorrenti hanno inoltrato delle osservazioni supplementari a seguito di una decisione della Corte d'appello di Milano del 17 marzo 2016 (v. act. 18). Invitati a formulare una loro eventuale presa di posizione in merito l'UFG ed il MPC, con scritti del 4 aprile 2016 hanno ribadito le loro conclusioni, allegando nel contempo degli scritti ricevuti dall'autorità rogante in risposta a loro richieste di aggiornamento in merito al procedimento estero (v. act. 20 e 21).

M. Invitate a prendere posizione su quanto sopra, le ricorrenti, con scritto del 18 aprile 2016, inviato al MPC e all'UFG per conoscenza, hanno confermato le loro richieste (v. act. 23).

N. Il 21 giugno 2016 le ricorrenti hanno trasmesso a questa Corte la motivazione scritta della sentenza della Corte d'Appello di Milano del 17 marzo 2016, formulando osservazioni supplementari (v. act. 25). Invitati nuovamente a prendere posizione su tali atti, il MPC e l'UFG, con scritti del 29 giugno risp. del 21 luglio 2016, trasmessi alle ricorrenti per conoscenza, hanno ribadito la loro posizione (v. act. 27 e 30).

Delle argomentazioni in fatto e in diritto delle parti si dirà, ove necessario, nei considerandi che seguono.

Diritto:

1.

1.1 In virtù dell'art. 37 cpv. 2 lett. a della legge federale del 19 marzo 2010 sull'organizzazione delle autorità penali della Confederazione (LOAP; RS 173.71) la Corte dei reclami penali giudica i gravami in materia di assistenza giudiziaria internazionale.

1.2 I rapporti di assistenza giudiziaria in materia penale fra la Repubblica Italiana e la Confederazione Svizzera sono anzitutto retti dalla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, entrata in vigore il 12 giugno 1962 per l'Italia ed il 20 marzo 1967 per la Svizzera (CEAG; RS 0.351.1), dall'Accordo italo-svizzero del 10 settembre 1998 che completa e agevola l'applicazione della CEAG ( RS 0.351.945.41), entrato in vigore mediante scambio di note il 1° giugno 2003 (in seguito: l'Accordo italo-svizzero), nonché, a partire dal 12 dicembre 2008 (Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, L 327/15 -17, del 5 dicembre 2008), dagli art. 48 e segg. della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 (CAS). Di rilievo nella fattispecie è anche la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, conclusa a Strasburgo l'8 novembre 1990, entrata in vigore il 1° settembre 1993 per la Svizzera ed il 1° maggio 1994 per l'Italia (CRic; RS. 0.311.53). Alle questioni che il prevalente diritto internazionale contenuto in detti trattati non regola espressamente o implicitamente, come pure quando il diritto nazionale sia più favorevole all'assistenza rispetto a quello pattizio (cosiddetto principio di favore), si applicano la legge federale sull'assistenza internazionale in materia penale del 20 marzo 1981 (AIMP; RS 351.1), unitamente alla relativa ordinanza (OAIMP; RS 351.11; v. art. 1 cpv. 1 AIMP , art. I n. 2 Accordo italo-svizzero; DTF 140 IV 123 consid. 2; 137 IV 33 consid. 2.2.2; 136 IV 82 consid. 3.1; 135 IV 212 consid. 2.3; 123 II 134 consid. 1a; 122 II 140 consid. 2). Il principio di favore vale anche nell'applicazione delle pertinenti norme di diritto internazionale (v. art. 48 n. 2 CAS, 39 n. 3 CRic e art. I n. 2 Accordo italo-svizzero). È fatto salvo il rispetto dei diritti fondamentali ( DTF 135 IV 212 consid. 2.3; 123 II 595 consid. 7c).

1.3 Il ricorso è stato interposto contro la decisione del MPC del 7 dicembre 2015 che ha confermato il sequestro dei valori depositati sui conti delle insorgenti presso l'UBS a Lugano. In quanto titolari dei conti oggetto della criticata misura d'assistenza, le società A. Ltd., B. Ltd., C. Ltd. e D. Ltd. sono legittimate a ricorrere (v. art. 80 h lett. b AIMP e art. 9 a OAIMP ; DTF 118 Ib 547 consid. 1d; TPF 2007 79 consid. 1.6 pag. 82). La decisione qui impugnata va proceduralmente trattata come una decisione di chiusura (v. TPF 2007 124 consid. 2; sentenza del Tribunale penale federale RR.2012.215 -218 dell'8 aprile 2013, consid. 1.3). Ne consegue che, da una parte, l'ammissibilità del gravame non è subordinata all'esistenza di un pregiudizio immediato ed irreparabile ai sensi dell'art. 80 e cpv. 2 AIMP e, dall'altra, il termine per ricorrere non è quello previsto per le decisioni incidentali (art. 80 k AIMP ). Interposto nel termine di trenta giorni previsto per le normali decisioni di chiusura, il ricorso è formalmente ammissibile.

2.

2.1 Conformemente al diritto di essere sentito (art. 29 cpv. 2 Cost .), l'autorità deve indicare nella sua decisione i motivi alla base della stessa (DTF 136 I 229 consid. 5.5). Essa non è tenuta a discutere in maniera dettagliata tutti gli argomenti sollevati dalle parti, né a statuire separatamente su ogni conclusione che le viene presentata. Essa può limitarsi all'esame delle questioni decisive per l'esito del litigio (DTF 134 I 83 consid. 4.1; 130 II 530 consid. 4.3; 126 I 97 consid. 2b e sentenze citate; sentenza del Tribunale federale 1B_380/2010 del 14 marzo 2011, consid. 3.2.1).

2.2 In concreto, va premesso che la presente autorità si limiterà ad analizzare unicamente quanto di nuovo è emerso susseguentemente alla sentenza del Tribunale federale 1C_464/2014 del 18 agosto 2015 (v. lett. F. supra), nell'ottica delle vincolanti considerazioni in diritto dell'Alta Corte. In detta sentenza è stato in particolare criticato il fatto che il Tribunale penale federale, nella sua pronuncia del 17 settembre 2014, abbia ordinato il dissequestro del conto di D. Ltd. nonché il dissequestro parziale degli altri conti senza attendere "la comunicazione delle motivazioni scritte della sentenza milanese e nemmeno l'effettivo inoltro o l'eventuale rinuncia da parte [del PM italiano] a proporre appello. Non è infatti manifesto che il sequestro litigioso o un'eventuale confisca dei relativi averi si fondi, in tutto o in parte, esclusivamente sulla menzionata norma", ovvero l'art. 12 sexies del Decreto legge 8 giugno 1992 n. 306. A questo proposito il Tribunale federale ha precisato che "una possibile confisca di averi che non avrebbero manifestamente alcun rapporto con i reati perseguiti in Italia o con una sentenza di condanna pronunciata dalle autorità estere ma fondata unicamente su una sproporzione dei beni rispetto al reddito o all'attività economica svolta e pertanto senza alcun rapporto con i reati perseguiti, appare come problematica" (consid. 3.2), rinunciando tuttavia ad approfondire ulteriormente la questione "visto che il relativo esame, a dipendenza delle motivazioni della sentenza milanese, potrebbe rivelarsi superfluo: ciò a maggior ragione anche nell'ipotesi in cui, di fronte alle attese motivazioni, l'autorità rogante rinunci definitivamente ed espressamente a richiedere la confisca degli averi depositati sui conti in esame" (ibidem). L'Alta Corte ha quindi aggiunto che verosimilmente le conclusioni della Procura milanese relative al sequestro litigioso "sono state implicitamente respinte, ma senza poter prendere conoscenza delle motivazioni di quel giudizio non si può valutare la portata effettiva del dispositivo, silente al riguardo. Rammentati inoltre i diversi procedimenti avviati nel quadro di numerose rogatorie, spesso connesse tra loro, i cui esiti non sono deducibili dal dispositivo della decisione milanese, occorre concludere che, al momento, la situazione non è ancora chiara, per cui di massima i sequestri devono essere mantenuti" (ibidem).

3. Data la complessità della situazione processuale è opportuno riportare pro memoria quanto in precedenza deciso da questo Tribunale in modo tale da valutare se le proprie considerazioni sono state invalidate dalla predetta sentenza o sono ancora pertinenti nel caso concreto.

4. Nella sentenza del 4 aprile 2013 ( RR.2012.215 -218), questa Corte ha segnatamente considerato (v. lett A supra):

2.2 Per quanto concerne l'entità dei valori sequestrati, questa Corte, nella sua sentenza del 4 ottobre 2010, aveva avuto modo di rilevare l'esistenza di contraddizioni tra le misure coercitive adottate e la quantificazione del provento di reato operata nella richiesta di rinvio a giudizio italiana, le quali il MPC avrebbe dovuto preferibilmente chiarire (v. RR.2010.135 -138, consid. 4.1). Potendo, ad ogni modo, il contenuto della richiesta di rinvio a giudizio ancora mutare su impulso del GUP (v. art. 423 Codice di procedura penale italiano [in seguito: CPP italiano]; Giovanni Conso/Vittorio Grevi , Commentario breve al Codice di procedura penale. Complemento giurisprudenziale, 7a ediz., Padova 2011, cifre III-IV ad art. 423), con eventuali conseguenze sulla quantificazione del provento di reato, e tenuto conto che, secondo l'autorità rogante, "all'esito dell'udienza preliminare saranno prese le decisioni in ordine al rinvio a giudizio degli imputati avanti alla competente sezione penale del Tribunale di Milano nonché ogni questione in ordine al sequestro degli averi attualmente bloccati" (v. sentenza RR.2010.135 -138 consid. 4.1), la presente autorità, in virtù degli art. 11 e seg. CRic e 33 a OAIMP , ha confermato i sequestri contestati anche per quanto riguarda la loro entità (v. ibidem). Orbene, in data 18 ottobre 2011 il GUP ha emesso un decreto che dispone il giudizio che quantifica il provento del reato di appropriazione indebita, tenuto conto della prescrizione in quel momento, in USD 13'260'071.25, ovvero il 45% dell'importo di USD 29'466'825 corrispondente alle somme accreditate da E. ad F. tra il 31 marzo 2004 ed il 30 novembre 2005 (v. act. 1.4 pag. 3). Tale decreto è stato confermato dalla Corte di cassazione in data 18 maggio 2012 (v. act. 1.5). Quanto precede indurrebbe a considerare non più giustificato il blocco totale degli averi delle società ricorrenti, essendo questi assai più elevati della somma in questione. Sennonché, con il summenzionato decreto viene contestato a G. e H., persone che avrebbero operato quali fiduciari di Frank Agrama, nella loro qualità di beneficiari economici dei conti n. 1 intestato a B. Ltd., n. 2 intestato a C. Ltd. e n. 3 intestato a A. Ltd., tutti presso UBS a Lugano, di aver occultato su detti conti, compiendo quindi atti di riciclaggio ai sensi dell'art. 648 - bis CP italiano, "la somma complessiva di $ 77,186 mln proveniente dal conto corrente di F. presso Irish National Bank di Dublino nonché la somma di $ 10,50 mln proveniente dal conto B. Ltd presso Bank of the West Los Angeles (...) denaro costituente provento del delitto di appropriazione indebita continuata ai danni di Mediaset spa commesso nel periodo 1995-2005" (v. act. 1.4 pag. 6 e seg.). Risulta evidente che quanto precede deve essere preso in considerazione da questa Corte per determinare l'importo che deve rimanere sequestrato in Svizzera. Da respingere in questo ambito sono le censure ricorsuali riguardo alla presunta illiceità dell'estensione delle indagini per riciclaggio a G. e H., avvenuta nel 2009. Trattandosi di un'inchiesta molto complessa che dura oramai da diversi anni, è naturale e comprensibile che nel corso della stessa possano essere emersi elementi che hanno permesso, col tempo, di meglio chiarire i fatti, segnatamente i flussi di denaro. Le informazioni contenute nello scritto del 9 dicembre 2011 (v. act. 7.5), frutto della corretta e normale attività di verifica dell'autorità d'esecuzione della validità di una domanda di assistenza, costituiscono un complemento rogatoriale legittimo e anche logico, visto che riguarda il presunto riciclaggio del denaro oggetto della presunta appropriazione indebita per la quale è stata presentata la rogatoria nel 2005, riciclaggio contestato formalmente a G. e H. dal 2009. È vero che la decisione impugnata non dedica particolare attenzione al reato di riciclaggio in questione, anche se poi nelle sue osservazioni del 21 gennaio 2013 (v. act. 12 pag. 2) il MPC dichiara di non dubitare "dell'affermazione fornita dal pubblico ministero italiano in merito all'entità del corpo del reato, che viene quantificato per il capo di riciclaggio a ca. 117 milioni di euro". La presente Corte deve tenere comunque in considerazione tutti gli elementi dell'incarto per statuire sulla validità di una rogatoria, non essendo vincolata dagli argomenti delle parti o dalle loro conclusioni (v. DTF 132 I 140 consid. 1.1; 131 I 153 consid. 1; 131 II 571 consid. 1, 361 consid. 1). Le ricorrenti sono state altresì messe in condizione di prendere posizione sullo scritto del 9 dicembre 2011 inviato dall'autorità rogante, in ossequio al loro diritto di essere sentite. Per tacere del fatto che le informazioni contenute in detto scritto figuravano già nella richiesta di rinvio a giudizio del 9 marzo 2010 ed erano comunque parte del fascicolo processuale della presente causa (v. act. 1.21).

(...)

2.4 Appurato quanto precede, occorre esaminare, alla luce degli atti dell'incarto, se i sequestri contestati debbano o meno essere confermati nella loro integralità. Occorre innanzitutto rilevare che nel decreto che dispone il giudizio del 18 ottobre 2011, il quale è stato confermato dalla Corte suprema di cassazione il 18 maggio 2012 (v. act. 1.5), il conto n. 4 presso UBS intestato a D. Ltd., a differenza dei conti delle altre ricorrenti, non viene in alcun modo menzionato come possibile vettore di denaro d'origine criminale (v. act. 1.4 pag. 6), fatto già evidenziato da questa Corte nella sua sentenza del 4 ottobre 2010 (v. sentenza del Tribunale penale federale RR.2010.135 -138, consid. 4.1 pag. 8 in fine), senza però che questo abbia portato ad ulteriori spiegazioni né dal MPC né dall'autorità rogante, la quale nemmeno lo menziona nella sua risposta del 16 febbraio 2012 (v. act. 7.8). Per detto conto, con un saldo il 31 dicembre 2011 di USD 3'592'204 (v. act. 7.11), non appaiono più esserci motivi per mantenerne il sequestro, dato che non si vede come allo stadio attuale della procedura in Italia, dopo il citato passaggio dello scoglio del decreto del GUP (v. supra consid. 2.2) e all'interno del perimetro invalicabile posto dal principio accusatorio (v. art. 6 n . 1 e 3 lett. a e b CEDU ; Christoph Grabenwarter/Katharina Pabel , Europäische Menchenrechtskonvention, 5a ediz., Monaco 2012, pag. 443 e segg.; Walter Kälin/Jörg Künzli , Universeller Menschenrechtsschutz, 2a ediz., Basilea 2008, pag. 505 e segg.; Jörg Paul Müller/Markus Schefer , Grundrechte in der Schweiz, 4a ediz., Berna 2008, pag. 980 e segg.), vi siano ancora margini per ipotizzare in maniera proceduralmente legittima un legame fra il conto in questione e gli atti di riciclaggio rimproverati a G. e H. ma neppure con gli imputati del reato a monte, segnatamente con Frank Agrama e le società a lui riconducibili (v. act. 1.4 pag. 2 e seg.). In questo ambito occorre rilevare che secondo l'art. 417 CPP italiano la richiesta di rinvio a giudizio contiene, tra l'altro, l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge (lett. b) nonché l'indicazione delle fonti di prova acquisite (lett. c). Il fatto e le aggravanti costituiscono la cosiddetta imputazione e cioè l'accusa dalla quale l'imputato deve difendersi e che nel corso delle indagini preliminari può essere approssimativa, ma che con l'esercizio dell'azione penale deve essere definitiva, precisa e circostanziata. La lett. b di detta disposizione impone al pubblico ministero di formulare l'accusa in modo chiaro e preciso al fine di consentire l'esercizio del diritto di difesa e del diritto di prova (v. Codice di procedura penale esplicato, 16a ediz., Napoli 2011, pag. 579). Tale esigenza di chiarezza e precisione si ripercuote naturalmente anche per quanto riguarda il decreto che dispone il giudizio (v. art. 429 CPP italiano; G. Conso/V. Grevi, op. cit., cifra V ad art. 429 CPP ). Ciò precisato, secondo il decreto summenzionato, G. e H. avrebbero occultato sui conti intestati a B. Ltd., C. Ltd., e A. Ltd., oggetto della decisione impugnata, una somma complessiva di USD 77'186'000 proveniente dal conto corrente di F. presso Irish National Bank di Dublino nonché una somma di USD 10'500'000 proveniente dal conto B. Ltd. presso Bank of the West Los Angeles; in totale dunque USD 87'686'000 (v. act. 1.4 pag. 6, capo e, lett. a). È a torto che l'autorità d'esecuzione e l'autorità rogante sommano, apparentemente, a tale importo USD 30'000'000 menzionati alla lett. b del capo e), il quale prevede che G. e H. "trasferivano in data 24.5.2005 e 1.9.2005 dal conto C. Ltd. presso UBS Lugano complessivi $ 30 milioni a favore del conto n. 5 presso UBS Hong Kong intestato ad A. Ltd. - somme poi trasferite, per sottrarle a provvedimenti di sequestro da parte delle autorità elvetiche, tra il 9 e il 19 gennaio 2006, da UBS Hong Kong al conto A. Ltd. presso Bank of the West Los Angeles, ulteriormente ritrasferite, tra il 12 ed il 20 gennaio 2006, a favore dei conti C. Ltd. e B. Ltd. presso Bank of the West Los Angeles e infine definitivamente fuoriuscite dai conti C. Ltd. e B. Ltd. con la dicitura security transfer". Come ben si comprende, la somma di USD 30'000'000 di cui sopra è in realtà già compresa nell'importo di USD 87'686'000, fatto sul quale questa autorità, nella sua sentenza del 4 ottobre 2010 (v. pag. 8), aveva già attirato l'attenzione. Anche su tale punto, il MPC e l'autorità rogante non hanno preso posizione. In questo senso, anche per i conti di pertinenza di B. Ltd., C. Ltd., e A. Ltd., non appaiono più esserci motivi per il mantenimento integrale del sequestro, nella misura in cui al di là della somma di USD 87'686'000 non si vede come allo stadio attuale della procedura i valori in questione potrebbero ancora formare in futuro oggetto di confisca.

2.5 Tuttavia, prima di procedere ad uno sblocco sia del conto di D. Ltd. che dei conti intestati alle società B. Ltd., C. Ltd., e A. Ltd., in applicazione dell'art. 12 n . 2 CRic , la Parte richiesta deve dare alla Parte richiedente, in tutti i casi in cui è possibile, "la possibilità di esporre i motivi a favore del mantenimento della misura". Ciò è espressione del principio della buona fede tra Stati e delle finalità di politica criminale comunque fissate nel preambolo della stessa CRic. In questo senso il MPC dovrà comunicare senza indugio alle autorità italiane il contenuto delle motivazioni di cui al consid. 2.4 di questa sentenza dando pedissequamente alle stesse un termine di 30 giorni per esprimersi in merito giusta l'art. 12 n . 2 CRic . Sulla base di detta risposta il MPC deciderà, alla luce delle vincolanti considerazioni qui sopra esposte, se mantenere o revocare parzialmente i sequestri. Dovesse ritenere confermate le ragioni di una revoca dei sequestri oltre la citata soglia di USD 87'686'000, l'autorità d'esecuzione, prima di emanare una decisione formale in tal senso, dovrà di nuovo interpellare l'autorità rogante, fissandole un nuovo termine di 30 giorni, affinché si determini sulle modalità di dissequestro, indicando, per quanto riguarda i conti intestati alle società B. Ltd., C. Ltd., e A. Ltd., quelli su cui sono ancora ipotizzabili confische nel perimetro indicato dalla decisione del GUP del 18 ottobre 2011, non essendo possibile, per questa Corte, alla luce della documentazione agli atti, definire dei criteri più precisi di ripartizione fra di essi. Diverso invece il caso per il conto n. 4 presso UBS SA, intestato a D. Ltd., il quale, in caso di conferma delle ragioni del dissequestro, andrebbe sbloccato nella sua totalità, senza necessità di raccogliere ulteriori informazioni. La decisione sui sequestri del MPC sarà soggetta alle consuete vie ricorsuali .

5. Per i predetti motivi il Tribunale penale federale ha parzialmente accolto il ricorso delle ricorrenti.

6. Il 6 dicembre 2013, con sentenza RR.2013.193 -196, la stessa Corte ha altresì considerato quanto segue (v. lett. C supra):

3.2 Nella fattispecie, la Corte dei reclami penali, con la sua sentenza RR.2012.215 -218 del 4 aprile 2013, ha ordinato il dissequestro parziale dei conti delle ricorrenti, ritenendo le misure, a suo tempo ordinate, non più giustificate alla luce del decreto che dispone il giudizio del 18 ottobre 2011 emesso dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Milano, atto confermato dalla Corte di cassazione italiana in data 18 maggio 2012 (v. sentenza RR.2012.214 consid. 2.3). Nel contempo, l'autorità giudicante, in ossequio alla CRic, ha dato la possibilità all'autorità rogante di esprimersi sulla decisione di dissequestro. All'uopo, il MPC è stato invitato a comunicare alle autorità italiane il contenuto della suddetta sentenza, dando pedissequamente alle stesse un termine di 30 giorni per esprimersi in merito. Sulla base di detta risposta, l'autorità d'esecuzione era tenuta a decidere, alla luce delle vincolanti considerazioni esposte nella sentenza del 4 aprile 2013, se mantenere o meno il sequestro, decisione soggetta alle consuete vie ricorsuali (v. ibidem). Orbene, sulla base dello scritto del 15 maggio 2013, il MPC ha riconfermato i sequestri dei conti delle società ricorrenti, senza tuttavia presentare nuovi motivi rispetto alla procedura sfociata nella sentenza RR.2012.215 -218.

Va rilevato che nel suddetto scritto del 15 maggio 2013 le autorità italiane hanno menzionato per la prima volta la possibilità di confiscare i valori patrimoniali bloccati in Svizzera sulla base dell'art. 12-sexies, comma 1, della Legge del 7 agosto 1992, n. 356, che ha convertito, con modificazioni, il Decreto Legge dell'8 giugno 1992, n. 306, recante la denominazione "Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa" (in seguito: D.l. n. 306; v. act. 1.19, pag. 3 e seg.). Secondo tale disposizione, "nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell' art. 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 320, 322, 322-bis, 325, 416, sesto comma, 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473, 474, 517-ter e 517-quater, 416-bis, 600, 601, 602, 629, 630, 644, 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis, 648-ter del codice penale, nonché dall'art. 12-quinquies, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356 , ovvero per taluno dei delitti previsti dagli articoli 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 , è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. Le disposizioni indicate nel periodo precedente si applicano anche in caso di condanna e di applicazione della pena su richiesta, a norma dell' art. 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale". Questa modalità di confisca non è di per sé assimilabile alla procedura di prevenzione patrimoniale italiana, la quale è già stata oggetto di giurisprudenza da parte di questa Corte (v. TPF 2010 158 ). Occorre dunque esaminare se i principi sviluppati in detta giurisprudenza sono qui applicabili in analogia.

3.3 La Corte di cassazione italiana ha già avuto modo di chinarsi sulla confisca in questione, affermando che il sequestro preventivo e la successiva confisca dei beni patrimoniali prevista dall'art. 12-sexies D.l. n. 306 non sono subordinati all'accertamento di un nesso eziologico tra i reati tassativamente enunciati nella norma di riferimento ed i beni oggetto della cautela reale e del successivo provvedimento ablatorio: il legislatore, infatti, ha operato una presunzione di accumulazione, senza distinguere se tali beni siano o meno derivati dal reato per il quale si procede o è stata inflitta la condanna; ne consegue che non è necessaria la sussistenza del nesso di pertinenzialità tra i beni e i reati ascritti agli imputati, bensì un vincolo pertinenziale, di significato peculiare e più ampio, tra il bene e l'attività delittuosa facente capo al soggetto, connotato dalla mancanza di giustificazione circa la legittima provenienza del patrimonio nel possesso del soggetto nei confronti del quale sia stata pronunciata condanna o sia stata disposta l'applicazione della pena (Cassazione penale, Sezione II, sentenza n. 10549 del 26 febbraio 2009; Pasquale Tancredi , I beni confiscati alla criminalità organizzata, Aspetti giuridici e sociologici, pubblicato in Internet dal Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità presso il Dipartimento di Teoria e storia del diritto dell'Università di Firenze [www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/law-ways/tancredi/index.htm]; Leonardo Filippi/Maria Francesca Cortesi , Il codice delle misure di prevenzione, Torino 2001, pag. 102 e segg.). Tale forma di confisca si basa su un'insindacabile scelta politico criminale, una presunzione iuris tantum d'illecita accumulazione, nel senso che il provvedimento ablatorio incide su tutti i beni di valore economico non proporzionato al reddito o all'attività economica del condannato e dei quali questi non possa giustificare la provenienza, trasferendo sul soggetto, che ha la titolarità o la disponibilità dei beni, l'onere di dare un'esauriente spiegazione in termini economici (e non semplicemente giuridico-formali) della positiva liceità della loro provenienza, con l'allegazione di elementi che, pur senza avere la valenza probatoria civilistica in tema di diritti reali, possessori e obbligazionari, siano idonei a vincere tale presunzione (Cassazione penale, Sezione I, sentenza n. 21357 del 13 maggio 2008, che riprende quanto espresso in Cassazione penale, Sezioni unite, sentenza n. 920 del 17 dicembre 2003). Non si richiede pertanto la prova del nesso di pertinenzialità tra i beni e il reato oggetto della condanna, né la connessione temporale tra l'acquisizione dei beni e la consumazione del crimine ( v. P. Tancredi , op. cit., capitolo II cifra 3.1 e giurisprudenza citata); si conferma la ragionevolezza della presunzione di provenienza illecita dei beni patrimoniali, valorizzando l'elemento della sproporzione che va accertata attraverso una ricostruzione storica della situazione dei redditi e delle attività economiche del condannato al momento dei singoli acquisti (Cassazione penale, ibidem). Quanto all'onere della prova, la Corte di cassazione ha dichiarato che al fine di disporre la confisca conseguente a condanna per uno dei reati indicati nell'art. 12-sexies, allorché sia provata l'esistenza di una sproporzione tra il reddito dichiarato dal condannato o i proventi della sua attività economica e il valore economico dei beni da confiscare e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi, è necessario, da un lato, che, ai fini della sproporzione, i termini di raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori economici in gioco, siano fissati nel reddito dichiarato o nelle attività economiche non al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel momento dei singoli acquisti rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti, e, dall'altro, che la giustificazione credibile consista nella prova della positiva liceità della loro provenienza e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna (cit. in P. Tancredi , op. cit., capitolo II cifra 3.2 e giurisprudenza citata).

Orbene, se la procedura di prevenzione patrimoniale è applicabile a beni patrimoniali riconducibili ad una persona indiziata di appartenere ad un'organizzazione criminale, nel caso della confisca giusta l'art. 12-sexies D.l. n. 306 l'autorità inquirente deve semplicemente dimostrare, oltre alla disponibilità o titolarità del bene, anche per interposta persona, in capo ad un soggetto condannato per determinati delitti, solo il valore sproporzionato del bene rispetto al reddito o all'attività economica svolta. Il pubblico ministero, quindi, mentre procede alle indagini penali, effettua parallelamente a carico dell'indagato una corrispondente indagine patrimoniale, al fine di svelare la reale entità del patrimonio riconducibile all'interessato con l'obiettivo finale di far risaltare il requisito della sproporzione quale condizione cardine per l'applicabilità della misura ablatoria (v. P. Tancredi , op. cit., capitolo II cifra 3.2; Antonio Gialanella , La confisca di prevenzione antimafia, lo sforzo sistemico della giurisprudenza di legittimità e la retroguardia del legislatore, in F. Cassano (curatore), Le misure di prevenzione patrimoniali dopo il "pacchetto sicurezza", Roma, 2009, pag. 163 e segg.; Anna Maria Muageri , La riforma delle sanzioni patrimoniali: verso un actio in rem?, in O. Mazza/F. Viganò (curatori), Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, Torino 2008). In definitiva, non presupponendo né l'esistenza di un'infrazione penale né un legame tra questa infrazione e gli oggetti e valori da confiscare, occorre concludere che l'istituto in esame non presenta nessuna affinità con le procedure di confisca penale previste o riconosciute dal diritto svizzero. Non potendo la modalità di confisca in questione essere assimilata ad una causa penale ai sensi degli art. 1 cpv. 3 e 63 AIMP , la TPF 2010 158 non risulta applicabile. L'autorità d'esecuzione ha del resto essa stessa omesso di riprendere nella decisione impugnata il richiamo a questo istituto, per la prima volta emerso nel sopraccitato scritto del 15 maggio 2013, tacitamente anticipando il qui emerso giudizio di non conformità ai dettami dell'assistenza giudiziaria in materia penale.

3.4 Qui di rilievo è per contro la documentazione trasmessa rogatorialmente da Hong Kong, di cui riferisce l'autorità rogante nel suo scritto del 28 settembre 2013 (v. act. 13.1). Quest'ultima afferma che in data 12 agosto 2013 il Dipartimento di Giustizia di quel Paese ha trasmesso, a più di sette anni dall'invio della rogatoria, documenti acquisiti nel gennaio del 2007. Si tratterebbe di documentazione relativa anche alle società A. Ltd., C. Ltd., B. Ltd. e D. Ltd., nonché di atti acquisiti presso la società I. fiduciaria appartenente a G. La trasmissione di tale documentazione sarebbe stata bloccata per molti anni da svariati ricorsi interposti all'estero da Frank Agrama ed altri. Tali ricorsi sarebbero stati definitivamente respinti dalla Court of Final Appeal di Hong Kong in data 9 agosto 2013. L'autorità rogante ritiene che dall'analisi di detta documentazione possano scaturire ulteriori informazioni utili per stabilire la provenienza criminale dei valori patrimoniali sotto sequestro nonché per chiarire il ruolo delle persone che a vario titolo avrebbero influenzato le movimentazioni dei fondi. Orbene, precisato che, contrariamente a quanto affermato dalle ricorrenti, nel 2007 alle autorità inquirenti italiane è stata trasmessa da Hong Kong unicamente la documentazione bancaria concernente un conto intestato a A. Ltd. presso UBS a Hong Kong (v. act. 16.3, pag. 7), questa Corte ritiene che sia nello spirito dell'art. 12 CRic permettere alle autorità italiane di analizzare la documentazione in questione e di fornire, se del caso, elementi utili alla presente procedura, spiegandone esattamente la loro portata giuridica e specificando in concreto le misure procedurali che intende intraprendere. In definitiva, il MPC dovrà comunicare all'autorità rogante quanto precede, dando pedissequamente alla stessa un termine di sei mesi per fornire nuovi elementi provenienti dalla documentazione ricevuta da Hong Kong atti a confermare il sequestro dei conti delle ricorrenti. Sulla base di detta risposta il MPC deciderà, alla luce delle vincolanti considerazioni esposte nella sentenza RR.2012.215 -218 del 4 aprile 2013, se mantenere o meno i sequestri. Tale decisione sarà soggetta alle consuete vie ricorsuali.

Per i predetti motivi il Tribunale penale federale ha respinto la domanda di sospensione della procedura del MPC così come il ricorso.

7. Da ultimo nella decisione del 17 settembre 2014 il Tribunale penale federale ha in particolare considerato quanto segue.

3.2 In concreto, visto il recinto materiale e formale imposto sia dalla sentenza 4 aprile 2013 che da quella 6 dicembre 2013 (v. supra consid. 2), questa Corte non può che limitare l'esame sostanziale della causa al contenuto dello scritto 14 luglio 2014, pena la violazione del principio dell'intangibilità del giudicato e della certezza del diritto. Con il predetto scritto, il pubblico ministero italiano ha informato l'autorità d'esecuzione della sentenza dell'8 luglio 2014 emanata dal Tribunale di Milano, affermando che quest'ultimo "ha assolto gli imputati dal reato di frode fiscale loro ascritto dichiarando altresì la prescrizione del reato di appropriazione indebita" (v. allegato ad act. 1.3 pag. 1 e 1.4). Più precisamente, "dalla lettura del dispositivo (all. 1) emerge che: i reati di appropriazione indebita sono stati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione; il reato di frode fiscale è stato dichiarato estinto per prescrizione limitatamente all'annualità 2005; per le restanti annualità (2006, 2007 e 2008) gli imputati sono stati assolti con la formula "perché il fatto non costituisce reato", che si riferisce all'assenza dell'elemento psicologico; i reati di riciclaggio contestati a G. e H. sono stati riqualificati come fatti di appropriazione indebita e pertanto dichiarati estinti per intervenuta prescrizione (v. ibidem). L'autorità rogante afferma inoltre che "il Tribunale ha deciso in modo difforme a quanto richiesto da questo Pubblico Ministero, pertanto ci riserviamo di proporre appello avverso la decisione del Tribunale dopo avere valutato le motivazioni (v. allegato ad act. 1.3 pag. 2). Essa aggiunge, infine, che "con riferimento a quanto indicato nel considerando 3.4 della decisione del TPF del 6 dicembre 2013 si conferma che i documenti trasmessi da Hong Kong hanno ribadito il ruolo di Frank Agrama quale beneficiario effettivo - tramite trust - delle società formalmente riferibili a G. e H." (v. ibidem). Orbene, tenuto conto dell'esito della sentenza italiana, la quale ha potuto ovviamente esaminare la documentazione proveniente da Hong Kong per cui questa Corte aveva eccezionalmente concesso un'ulteriore sospensione della decisione di dissequestro parziale (riguardante la somma eccedente l'importo di USD 87'686'000), non vi è più margine a questo punto per un supplementare rinvio dello stesso, viste le sue ragioni materiali così come già esposte nella sentenza 4 aprile 2013, in particolare al consid. 2.3 (v. supra consid. 2.3.1). Le conclusioni presentate dal pubblico ministero italiano al Tribunale di Milano in data 22 maggio 2012 confermano del resto la necessità di mantenere il blocco unicamente sull'importo summenzionato (v. act. 1.1 doc. 3), nella misura in cui l'autorità requirente ha chiesto la confisca (ex art. 240 primo comma CP italiano) dei valori patrimoniali depositati sui conti delle ricorrenti unicamente a concorrenza di USD 87.6 milioni (v. anche sentenza RR.2013.193 -196 del 6 dicembre 2013, consid. 3.3, per quanto riguarda l'inapplicabilità della confisca ex art. 12-sexies D.l. n. 306). Non può per contro essere dato seguito alla richiesta delle ricorrenti di dissequestrare l'integralità dei beni patrimoniali bloccati, nella misura in cui la sentenza dell'8 luglio 2014 emanata dal Tribunale di Milano non contiene elementi sufficienti a rovesciare le conclusioni di cui nella sentenza di questo Tribunale del 4 aprile 2013 al considerando 2.4 limitatamente all'importo in questione (v. supra consid. 2.3.1).

Per i predetti motivi il Tribunale penale federale ha parzialmente accolto il ricorso e ordinato il dissequestro del conto intestato a D. Ltd., nonché dei conti delle altre società a concorrenza della somma eccedente l'importo di USD 87'686'000.

8. Occorre quindi valutare quanto di queste considerazioni è ancora valido alla luce della sentenza 1C_464/2014 del Tribunale federale e quali conseguenze si possono trarre dalla attuale situazione processuale italiana. L'Alta Corte ha infatti giudicato che alla luce del mero dispositivo della sentenza italiana di prima istanza la situazione non fosse chiara: "ritenuto che nel caso di specie la provenienza delittuosa dei beni sequestrati è ancora dubbia, è a ragione che il MPC ha lasciato il compito di delucidare compiutamente le complesse fattispecie all'autorità estera" (consid. 3.4). Ciò nondimeno ha sottolineato che "in applicazione del principio di proporzionalità (al riguardo cfr. DTF 141 I 20 consid. 6.2.1) non si potrebbe mantenere una siffatta misura, quando fosse manifesto che una decisione di confisca non potrebbe più essere pronunciata. In concreto, considerate le incertezze, le particolarità e le diverse ramificazioni della fattispecie, non sono tuttavia ravvisabili motivi che imporrebbero di scostarsi dal principio della buona fede e dubitare delle affermazioni espresse dall'autorità rogante, nonché di non attendere d'essere in presenza di una decisione passata in giudicato ed esecutiva dello Stato estero o di un espresso ritiro della domanda o richiesta di confisca" (ibidem). Dopo avere analizzato anche il contenuto di un telefax del 26 settembre 2014 della Procura milanese il Tribunale federale conclude che non vi sono motivi "per non attendere le motivazioni scritte della sentenza milanese, nonché, se del caso, esaminare gli argomenti addotti in un eventuale appello della Procura estera e decidere, a dipendenza di detto esame, se occorra o meno attendere l'emanazione di una decisione passata in giudicato ed esecutiva. [...] Questo modo di procedere [...] rispetta quanto stabilito dall'art. 33 a OAIMP ( RS 351.11) relativo alla durata del sequestro, secondo cui gli oggetti e i beni la cui consegna allo Stato richiedente soggiace a una decisione definitiva ed esecutiva di quest'ultimo ai sensi dell'art. 74 a AIMP restano sotto sequestro sino alla notifica di tale decisione o fintanto che lo Stato richiedente non abbia comunicato all'autorità esecutiva competente che la suddetta decisione non può più essere pronunciata secondo il diritto di tale Stato, segnatamente per intervenuta prescrizione. In effetti la Svizzera, nell'ipotesi di una possibile decisione di confisca e di consegna degli averi in questione si esporrebbe al rischio, in caso di dissequestro, di non potervi più dare seguito" (consid. 3.6). Il Tribunale federale, nella sua decisione rescissoria, pone l'accento sulla necessità di assicurarsi che l'impossibilità di una confisca penale sia manifesta, prima di procedere ad un tale sblocco e giudica in questo senso le considerazioni di questa Corte nella propria sentenza del 17 settembre 2014 non sufficienti o comunque premature per escludere la sussistenza di una tale eventualità. Si tratta dunque di sapere se alla luce delle motivazioni della sentenza italiana di prima istanza ed ora anche della sentenza di appello vi sono ragioni per ritenere che una confisca sia ancora possibile o meno. Il perimetro entro cui può essere data una risposta a questa domanda è stato definito dal Tribunale federale in maniera più ristretta rispetto a quello entro cui questa Corte si è mossa nel complesso delle proprie sentenze del 4 ottobre 2010, del 4 aprile 2013, del 6 dicembre 2013 e del 17 settembre 2014. Il Tribunale federale pone in particolare accento sul criterio della buona fede fra Stati, per cui è possibile scostarsi da quanto affermato dall'autorità rogante soltanto in caso di manifesta impossibilità della confisca. Orbene a questo proposito, alla luce della sentenza del 17 marzo 2016 della Corte d'appello di Milano e con mente a tutte le riserve già manifestate da questo Tribunale nelle proprie sentenze del 4 aprile 2013, del 6 dicembre 2013 e del 17 settembre 2014, la cui sostanza non è stata di per sé inficiata dalla sentenza 1C_464/2014 del Tribunale federale, non si vede come la prospettata confisca sia ancora possibile, perlomeno per quanto riguarda le somme che non potevano logicamente entrare in considerazione entro il quadro accusatorio definito dal GUP nel suo decreto del 18 ottobre 2011 (v. supra consid. 4.2.2), visto che la Corte d'appello di Milano, confermando quanto deciso dall'istanza precedente, ha ordinato la restituzione agli aventi diritto di tutte le somme in sequestro (v. act. 25.1 pag. 49 e seg.), portando quella chiarezza richiesta dal Tribunale federale nella precitata sentenza, senza che sia più necessario attendere ulteriori passi procedurali. Di rilievo in questo ambito le conclusioni del Tribunale di Milano, condivise dalla Corte d'appello di Milano (v. ibidem), per quanto concerne le accuse mosse nei confronti di G. e H., soprattutto in relazione alla costatazione secondo cui il reato di appropriazione indebita loro contestato risulta prescritto (v. art. 33 a OAIMP ), ossia (v. act. 1.9 pag. 75):

"In conclusione deve ritenersi che G. e H., in quanto legate da rapporti economici con Frank Agrama, da rapporti di carattere fiduciario nella gestione di società a lui riconducibili quanto meno dagli anni 90, beneficiarie economiche dei conti correnti bancari ove sono confluite le somme di denaro provenienti da appropriazioni indebite e sottoscrittori dei contratti di acquisto dei diritti tv, a prezzi « gonfiati » , hanno, con le condotte siffatte concorso nella realizzazione del reato di appropriazione indebita contestato nel precedente capo a); per tali ragioni esse non possono qui rispondere della successiva condotta di riciclaggio che rimane a tutti gli effetti un cd. « post factum » non punibile. Da ciò ne consegue che il fatto loro contestato nel capo e) va riqualificato ai sensi degli artt. 81 cpv., 110, 112 n 1, 61 nn° 7 e 11, 646 c.p. ormai prescritto. In ordine a tali fatti - così riqualificati - va pronunciata sentenza, ex art. 531 c.p.p., di non doversi procedere stante l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Pertanto, la richiesta - avanzata dalla Procura della Repubblica - di confisca delle somme « bloccate » sui predetti conti correnti a Lugano, non può trovare accoglimento stante la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione come peraltro affermato dalla Suprema Corte. Trattasi, infatti, di somme costituenti il cd. "profitto" del reato di appropriazione indebita la cui confisca è consentita, ex art 240/I° comma c.p., solo nel caso di pronuncia di sentenza di condanna, ipotesi, come è evidente, non ravvisabile nel caso in esame. Quanto alla confisca richiesta ai sensi dell'art. 12 sexies D.L. 8.06.92 n° 306 - convertito con modificazioni nella L. 7.08.92 n° 356 - con riferimento alla "restante somma", essa non può essere disposta ostandovi sia la qualificazione giuridica del reato (art. 646 c.p.) sia il tipo di pronuncia" .

Lo stesso MPC, nelle proprie osservazioni del 26 febbraio 2016, dichiarava di avere avuto svariati colloqui con l'autorità rogante, in cui è stato debitamente informato in merito alla procedura di appello e alla necessità di confermare le misure coercitive in attesa che il Tribunale di appello di Milano si pronunci in merito (act. 16 pag. 2), atteso che il Procuratore pubblico italiano ha ivi chiesto la confisca degli averi sequestrati in Svizzera pari a USD 133'890'968 (act. 1.14 pag. 36). Le stesse autorità italiane indicavano dunque in maniera chiara lo scoglio dell'appello come termine decisivo ad quem dell'intera procedura, per cui è molto sorprendente che nella loro risposta del 1° aprile 2016 il termine ad quem venga ancora una volta procrastinato senza che sia in alcun modo dato sapere quali sarebbero le chance concrete di un ipotetico ricorso in cassazione, tanto più che nel corso di tutto l'iter processuale italiano le conclusioni del Pubblico ministero in capo al destino di questi fondi sono state costantemente respinte dalle stesse autorità giudicanti italiane, in definitiva confermando la correttezza di tutte le censure che questo Tribunale ha avuto più volte occasione di formulare sulla proporzionalità del sequestro litigioso. Non va dimenticato infatti che le criticità constatate da questo Tribunale non concernevano il merito del processo estero, ma la manifesta impossibilità di procedere ad una confisca perlomeno dei valori eccedenti la somma di USD 87'686'000, dato il perimetro accusatorio già definito con il decreto che dispone il giudizio del 18 ottobre 2011 e confermato in maniera definitiva dalla stessa Corte suprema di Cassazione il 18 maggio 2012 (v. supra consid. 4.2.2). A queste condizioni non si vede come una confisca fondata sull'art. 240 CP/I possa essere ancora ragionevolmente ipotizzabile, né come si possa giustificare un ulteriore mantenimento dei sequestri a fronte dell'inequivocabile ed univoca evoluzione della procedura in Italia. Questo anzitutto per i valori eccedenti la somma di USD 87'686'000, ma a questo punto, viste le costanti pronunce di merito italiane, probabilmente per l'integralità delle somme sequestrate. Per giurisprudenza il sequestro non può infatti essere prolungato a tempo indeterminato, nella misura in cui il trascorrere del tempo genera il rischio di un pregiudizio eccessivo alla garanzia della proprietà ( TPF 2007 124 consid. 8). A prescindere dalle osservazioni del 26 settembre 2014 della Procura milanese, riportate nella predetta sentenza al consid. 3.5, non si comprende infatti come nel caso concreto l'autorità rogante possa ancora assodare l'esistenza di un nesso tra un preteso reato ed i valori attualmente sequestrati in Svizzera a maggior ragione per quei valori la cui confisca non fa nemmeno parte del quadro accusatorio definito dal decreto con cui il GUP ha disposto il giudizio il 18 ottobre 2011. Contrariamente a quanto sostenuto dall'autorità rogante in quello stesso scritto, la lotta contro il crimine organizzato non è intralciata dalla giurisprudenza in questione, visto che nella TPF 2010 158 questo Tribunale, a fronte di misure di prevenzione patrimoniale, ha già confermato l'assistenza internazionale per questa tipologia di reati, non da ultimo alla luce delle similitudini con l'art. 72 CP , richiamato l'art. 260 ter CP . Si tratta di una giurisprudenza poi confermata con le sentenze RR.2013.176 del 4 settembre 2013 e RR.2015.177 -178 del 29 ottobre 2015. Né vi sono in casu similitudini di sorta con la fattispecie giudicata nella recente sentenza RR.2015.302 del 2 giugno 2016, in cui questo Tribunale ha avuto occasione di precisare la propria giurisprudenza sulla cosiddetta confisca allargata giusta l'art. 12 sexies L. 356/92, ammettendo l'assistenza internazionale nel caso di un'organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti. Lo stesso Tribunale federale ha del resto dichiarato che una possibile confisca di averi che non avrebbero manifestamente alcun rapporto con i reati perseguiti in Italia o con una sentenza di condanna pronunciata dalle autorità estere ma fondata unicamente su una sproporzione dei beni rispetto al reddito o all'attività economica svolta e pertanto senza alcun rapporto con i reati perseguiti, appare come problematica (sentenza 1C_464/2014 consid. 3.2; v. supra consid. 2.2). E comunque l'applicabilità stessa dell'art. 12 sexies L. 356/92 è già di per sé esclusa sia per la natura del reato in esame che per il tipo di pronuncia, come inequivocabilmente assodato dal Tribunale di Milano nella sopraccitata sentenza.

9. Ciò nondimeno, prima di procedere allo sblocco dei conti, in applicazione dell'art. 12 n . 2 CRic , la Parte richiesta deve dare alla Parte richiedente, in tutti i casi in cui è possibile, la possibilità di esporre i motivi a favore del mantenimento della misura. Questo in virtù del principio della buona fede tra Stati e delle finalità di politica criminale comunque fissate nel preambolo della stessa CRic. Questa possibilità era già stata concessa con la sentenza RR.2012.215 -218 del 4 aprile 2013, ma dato il tenore della successiva sentenza del Tribunale federale 1C_464/2014 del 18 agosto 2015 vi è motivo di dare all'autorità rogante un'ulteriore possibilità di esprimersi, atteso che nella sua lettera del 1° aprile 2016 essa si limita a ribadire l'esigenza di attendere il passaggio in giudicato della sentenza, ma non adduce nessuna motivazione sostanziale a favore del mantenimento delle misure. Dopo che ben due autorità di giudizio italiane hanno già respinto in toto le conclusioni della Procura milanese, il giudice dell'assistenza è chiamato infatti a valutare i motivi a favore di un mantenimento dei sequestri in maniera più severa che agli inizi della procedura e l'autorità rogante non può semplicemente evocare la (di per sé ovvia) facoltà di ricorrere in cassazione, come solo argomento a conferma dei sequestri. Il principio della buona fede fra Stati va infatti ponderato con le garanzie dello stato di diritto e con la legittima pretesa delle ricorrenti di rientrare in possesso dei propri averi se le autorità giudiziarie estere non hanno accertato l'esistenza di una loro origine delittuosa. In questo senso l'autorità di esecuzione dovrà comunicare senza indugio all'autorità rogante il contenuto delle predette considerazioni dando pedissequamente alla stessa un termine di 30 giorni per esprimersi in merito giusta l'art. 12 n . 2 CRic . Sulla base di detta risposta l'autorità rogata deciderà se mantenere o meno i sequestri. Tale decisione sarà soggetta alle consuete vie ricorsuali. Nell'attesa i sequestri vanno mantenuti.

10. Da quanto sopra discende che il ricorso va accolto.

11.

11.1 Visto l'esito della procedura non si riscuote tassa di giustizia (art. 63 cpv. 2 PA richiamato l'art. 39 cpv. 2 lett. b LOAP ). La cassa del Tribunale penale federale restituirà alla ricorrente l'anticipo delle spese già pervenuto pari a fr. 10'000.--.

11.2 Giusta l'art. 64 cpv. 1 PA l'autorità di ricorso, se ammette il ricorso tutto o in parte, può, d'ufficio o a domanda, assegnare al ricorrente un'indennità per le spese indispensabili e relativamente elevate che ha sopportato. Il regolamento del Tribunale penale federale sulle spese, gli emolumenti, le ripetibili e le indennità della procedura penale federale (RSPPF; RS 173.713.162) concretizza queste disposizione agli art. 10 e segg. In base all'art. 12 cpv. 2 RSPPF , se l'avvocato, come in casu, non presenta alcuna nota delle spese, l'onorario è fissato secondo il libero appezzamento della Corte dei reclami penali. Nella fattispecie , appare adeguato un onorario di fr. 5'000.-- L'indennità è messa a carico del Ministero pubblico della Confederazione in quanto autorità inferiore giusta l'art. 64 cpv. 2 PA .


Per questi motivi, la Corte dei reclami penali pronuncia:

1. Il ricorso è accolto. La causa è rinviata al Ministero pubblico della Confederazione affinché proceda come definito al consid. 9.

2. Non vengono prelevate spese. La cassa del Tribunale penale federale restituirà alle ricorrenti l'anticipo delle spese già pervenuto pari a fr. 10'000.--.

3. Il Ministero pubblico della Confederazione verserà alle ricorrenti un importo di fr. 5'000.-- a titolo di ripetibili.

Bellinzona, 3 agosto 2016

In nome della Corte dei reclami penali

del Tribunale penale federale

Il Presidente: Il Cancelliere :

Comunicazione a:

- Avv.ti Paolo Bernasconi e Luigi Mattei

- Ministero pubblico della Confederazione

- Ufficio federale di giustizia, Settore Assistenza giudiziaria

Informazione sui rimedi giuridici

Il ricorso contro una decisione nel campo dell'assistenza giudiziaria internazionale in materia penale deve essere depositato presso il Tribunale federale entro 10 giorni dalla notificazione del testo integrale della decisione (art. 100 cpv. 1 e 2 lett. b LTF ). Il ricorso è ammissibile soltanto se concerne un'estradizione, un sequestro, la consegna di oggetti o beni oppure la comunicazione di informazioni inerenti alla sfera segreta e se si tratti di un caso particolarmente importante (art. 84 cpv. 1 LTF ). Un caso è particolarmente importante segnatamente laddove vi sono motivi per ritenere che sono stati violati elementari principi procedurali o che il procedimento all'estero presenta gravi lacune (art. 84 cpv. 2 LTF ).

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